L'incendio

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Io non lo so se sia vero che quando sta per succederti qualcosa che ti sconvolgerà la vita, te lo senti; so che quella notte io e Donnie avevamo fatto le stesse cose di sempre: soliti giri, soliti interventi. L’estate stava arrivando e si sentiva nell’aria, con il suo profumo di mare e di ragazze che stavano fuori dai locali a chiacchierare, con la brezza tiepida a scompigliar loro capelli e vestiti e cieli stellati sopra le loro teste, sopra una città frizzante, piena di vita. C’erano un po’ di turisti in giro per la città, qualche rissa da sedare dovuta alla troppa birra, niente di strano.

So che quando ci siamo avviati su per Lawn Market per tornare in centrale non c’era motivo per cui io guardassi verso la palazzina in ristrutturazione all’angolo con l’Upper Bow, una vecchia casa di quattro piani davanti alla quale passavamo ogni sacrosanta notte.

Eppure lo feci.

Non ricordo davvero cosa mi spinse a farlo; forse avevo percepito il crepitio delle fiamme, forse avevo sentito l’odore acre del fumo, oppure semplicemente avevo compiuto quel gesto senza pensarci e per puro caso mi ero accorto che dietro i vetri della finestra al primo piano si intravedeva un sinistro bagliore rossastro.

In quel momento non mi soffermai a pensare a queste cose: dovevamo mettere in salvo gli abitanti delle case vicine, chiamare i vigili del fuoco, assicurarci che nessuno passasse nei pressi della palazzina. Sono quelle situazioni in cui il tempo si dilata, sembra infinito, i secondi scorrono lenti nonostante la concitazione che li anima; quelle in cui vivi ogni cosa come se non fossi nel tuo corpo, registri ogni particolare con una lucidità impressionante, eppure quando provi a ripensarci, quando tutto è finito, ti sembrano solo un groviglio confuso di ricordi appallottolati.

Mentre aspettavamo i soccorsi e gli evacuati si radunavano in gruppetti confusi e spaventati al margine della via insieme ai primi curiosi, un boato assordante richiamò la mia attenzione verso l’edificio: il tetto era crollato, le fiamme danzavano in cima alla palazzina; fu allora che notai una sagoma (femminile ? Davvero avevo capito che si trattava di una ragazza, in mezzo a tutta quella confusione?) muoversi dietro i vetri esplosi per via del calore al piano inferiore.

Ciò che accadde dopo lo ricordo a malapena, è solo un insieme di fotogrammi alla rinfusa che sanno di bruciato: io che sfondo la porta della palazzina a spallate, Donnie che mi urla di fermarmi, il suono delle sirene in avvicinamento, il buio fumoso dell’androne, le vampate di calore e le lingue di fuoco che lambiscono le scale, una trave che crolla poco distante da me.

Ed ecco lei, per terra, scossa dai colpi di tosse, col viso coperto di sangue.

Ricordo di averla presa in braccio, di averle chiesto se fosse l’unica lì dentro; ricordo il suo sguardo e la sua implorazione: “Non lasciarmi”.

Tutto crollava intorno a noi, un’altra trave mi aveva sbarrato il passaggio. Non volevo morire, non così e non quella notte; dicono che non si possa scegliere il proprio destino, ma io ero determinato ad andarmene da lì, con lei. Trovai il modo di aggirare l’ostacolo, nonostante il fumo mi chiudesse la gola e annebbiasse la vista.

Poi, nella mia mente, si fa tutto ancora più confuso. Ricordo di aver visto una luce intensa, di aver sentito diverse voci chiamarmi per nome e infine il nulla, il vuoto assoluto.

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Lei scuote piano il capo, rileggendo i suoi appunti. Non mi guarda e a volte mi chiedo se mi ascolti oppure no, quando mi chiede di parlarle di ciò che provo; sfoglia lentamente le pagine del quaderno ed infine mi incoraggia a continuare:

- Adesso parlami di quello che vuoi tu.

ShadowsWhere stories live. Discover now