Incubi

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L’aria è quella di una sera di fine estate, carica del ricordo di giorni leggeri, greve dell’odore di pioggia in arrivo. La terrazza sovrasta la città, i rumori sono ovattati; lei guarda lo Scott’s Monument e non mi sente arrivare. La chiamo, bramoso del suo sguardo, del suo sorriso. Lei non si gira.

Ci separano pochi metri, ma ho l’impressione di impiegare ore per percorrerli. Tutto ciò che mi concede è la vista della sua schiena perfetta, dei suoi capelli corvini accarezzati dal vento.

C’è uno strano silenzio nel quale la mia voce si scioglie quando provo a chiamarla ancora. La distanza fra noi non diminuisce e io intanto so, sento che c’è qualcosa che non va: non è casa mia, questa, anche se ne son convinto. Non è il mio tempo. Sembra una foto sbiadita del secolo scorso. È successo in un’altra vita. Quante volte l’ho sentito dire…

Allungo una mano verso di lei, si volta. Il suo viso è una maschera di sangue. Sorride. Sento freddo. Voglio andarmene ma sono a pochi passi da lei, ora. Mi prende la mano. Il cielo è diventato soffitto. L’orizzonte è celato dietro pareti infiammate.

- Non lasciarmi

Il pavimento scricchiola sinistro, poi cede e noi precipitiamo nel vuoto. I suoi occhi fissi nei miei, la sua mano avvinghiata alla mia. Urlo.

- Liam … Aiutami

È una caduta senza fine e la voce della ragazza è diventata quella di decine di persone, un coro di sussurri disperati nel buio. Precipito ancora ed ancora …

Quelle immagini mi assalgono come feroci coltellate, rapide, improvvise:

Lei che arretra, terrorizzata.

Io la odio.

Lei urla, chiedendomi perdono.

E poi lo sparo.

La pistola fumante nella mia mano.

Non sono io. Non posso essere io; la mano che guardo, quella che impugna la pistola, è quella di un vecchio, non la mia. Sono nel corpo di qualcun altro.

Lei giace a terra, col volto insanguinato.

Il fuoco, per cancellare tutto.

Sono in una stanza da letto. Mura distorte, ondeggianti.

Lei non mi vede ed è felice, impigliata fra le lenzuola con quel giovane.

Anche i suoni sono distorti, assordanti e stridenti. La sua risata diventa un lamento insopportabile.

Un altro uomo è entrato nella camera e impugna la pistola.

Lei urla, stringendosi il lenzuolo al petto.

L’uomo spara e uccide il ragazzo.

Il sangue schizza ovunque.

Lei continua a urlare, cade dal letto, striscia cercando di fuggire, sul fondoschiena, all’indietro, verso il muro.

- Liam!

La dottoressa mi sta tenendo la mano. Sono zuppo di sudore. Sono seduto sulla poltroncina nel suo studio, non ci sono fiamme, non ci sono baratri infiniti. Adesso sei stanco, meglio che riposi, dice. Ci vediamo fra un paio di giorni, aggiunge.

Fuori dallo studio, in sala d’attesa, lei è lì che mi aspetta, appollaiata su una sedia. Non ci siamo più separati, dopo l’incendio. Mi segue ovunque come un’ombra, come se si sentisse responsabile per me, per quello che sto vivendo. Sei pallido, dice. La guardo e mi sembra di vedere ancora quel sangue sul suo viso, ma se sbatto le palpebre non c’è più. Va tutto bene, sorrido. Andiamo a casa, sussurra lei.

Perché sei nei miei incubi, vorrei chiederle, non ti conoscevo prima. Perché sei qui con me, le chiedo, invece. Perché ho bisogno del tuo aiuto, Liam, sorride lei con sguardo triste, con quel sangue sul viso. Lo sto soltanto immaginando. Chiudo gli occhi. Li riapro e il suo volto diafano e perfetto è di nuovo lì, pulito.

Andiamo a casa Liam.

Sono nel mio letto e lei è ancora lì. Dormi, Liam, devi farlo. Devi capire. Devi aiutarmi. Ti prego. Devi scoprire chi mi ha uccisa.

Ma tu sei viva, protesto io. Ti ho portata fuori da quella casa. Mi hanno detto che stavi bene.

Dormi, Liam, mi risponde. Dormi e capirai.

Non voglio dormire. Voglio sapere cosa sta succedendo.

Sono impazzito, come dice Donnie?

Oppure questo è solo un altro incubo?

ShadowsWhere stories live. Discover now