28. "Say it"

950 60 12
                                    

Non era solo il guardare fuori dal finestrino del treno che lo attirava, era l'osservare in sé la cosa straordinaria. Che fosse un finestrino, una porta vetrata o una finestra non importava, l'importante era contemplare attentamente ciò che lo circondava.

Fuori da casa Trümper, o meglio dalla finestra di camera di Bill, c'era un immensa distesa di verde. Non era sua, era un piccolo viale composto da siepi e arbusti. Dava su una piccola stradina, quella che percorreva ogni mattina per andare a scuola. Stradina di ghiaia per lo più, con tanto di sassolini specializzati nell'incastrarsi nelle scarpe.

Era raro passassero delle persone, tanto meno delle macchine. Schlossenburg Straße diceva il cartello all'angolo sinistro della strada. Via principalmente di villette a uno o due piani come la sua, tutte famiglie con un età media over 50 e molti cani.

Bill non aveva un animale domestico, solo un gatto che ogni tanto passava affamato. Era il gatto di nessuno, passava di casa in casa e rimaneva durante il giorno solo da chi gli allungava qualche avanzo del cibo del giorno prima o del pasto precedente.
Non aveva nome e il moro lo chiamava semplicemente 'micio' o 'gattino', o evitava proprio di chiamarlo.

Gli piaceva quel gatto, ma erano andati in contro ad alti e bassi. All'inizio il felino graffiava parecchio e produceva versi strani, come fosse disturbato dalla sua presenza. Aveva imparato a sopportarsi col tempo, diversi anni potremmo dire. Ora erano buoni amici e da Bill riceveva sempre qualche coccola o una porzione di cibo.

Magari un giorno avrebbe avuto un gatto tutto suo, nero possibilmente. Il nero era il suo colore felice. Magari lui e Tom avrebbero potuto prenderne più di uno, magari una famiglia di gatti.

Gattari di professione, insomma.

Tornò in sé qualche secondo dopo con il suono della voce del corpo dietro di lui. Si era messo di spalle e aveva posto il suo sguardo su quello sfondo verde oltre il vetro, faceva un po' da sfondo alle parole che penetravano il suo orecchio.

L'aveva obbligato diverse volte e poi c'era riuscito: aveva convinto Tom a cantare la canzone che gli aveva scritto. Lo aveva supplicato quasi, il moro era così timido a volte che sembrava una cosa impossibile.

Era stato ora a guardarlo accordare la chitarra, probabilmente l'aveva accordata e scordata un centinaio di volte prima di sentirsi pronto. La pressione delle dita di Tom sulle corde lo mandava in estasi, sembrava un quadro. Ogni centimetro del suo corpo sprigionava un'emozione diversa a seconda dell'angolazione in cui lo si guardava. Un angelo sceso dal cielo.

Per il chitarrista era il contrario. Il ragazzo davanti a sé era il suo angelo, lo ribadiva perfino nella canzone:

Vieni e aiutami a volare
Prestami le tue ali

Non riuscì neanche a finire di suonarla, il corpo dell'altro gli si era gettato addosso con foga. Aveva affondato la testa nell'incavo del suo collo e, ora, bagnava la sua maglietta di lacrime. Lacrime di gioia.

Si sentiva felice, nessuno sarebbe mai stato in grado di descrivere quella felicità. Sentirsi così importante per una persona, sentirsi così completo.

Mancavano poche ore al suo compleanno. Il regalo più bello lo aveva lì al suo fianco e non desiderava nulla di più.

Qualcosa però ronzava nella sua testa da giorni, un pensiero che non sapeva come esprimere o come buttar fuori. Fu l'istinto a farlo per lui, proprio in quel momento.

Mugugnò qualcosa che Tom non riuscì a comprendere, aveva ancora la bocca attaccata al tessuto della sua t-shirt e percepiva solo il calore del suo respiro batterci contro.

«Bill, puoi ripetere? Non ho capito una parola» chiese spostando gli occhi verso la sua testa abbassata.

Questo ripetè le parole, ancora una volta contro la sua spalla. In quel modo, Tom non sarebbe mai riuscito a capire.

Spostò dal volto di Bill una ciocca di capelli, appoggiò la mano sotto il suo mento e lo alzò. Fece in modo di far scontrare i loro occhi e rifece quindi la domanda:
«Bill, per favore, puoi ripetere?»

Ora non aveva più scuse. O sputava il rospo o negava spudoratamente.

__________________________

Scusate per l'assenza! Sì, lo so, sempre capitoli descrittivi di Bill che guarda fuori dalla finestra. La situazione migliorerà promesso.

In realtà avevo scritto questo capitolo circa tre giorni fa, ero sul punto di postarlo...poi si è intromessa una personcina chiamata scuola e ho dato a lei la precedenza. Perdonatemi.

Stasera, per fortuna, avevo la serata libera e mi sono data da fare; il prossimo capitolo è già pronto, ma aspetterò domani o dopo per postarlo, voglio renderlo il più bello possibile.

Spero apprezziate.
Buona serata a tutti.

Gaia

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora