20. "Distance"

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Le chiamate a cui non aveva degnato risposta erano diventate più di una. Si aggiravano intorno alla cinquantina, numero più numero meno.

Erano passati due giorni. Tom non si era presentato né a scuola, né fatto vedere in alcun modo. Nessuno sapeva qualcosa di lui, nessuno immaginava il suo dolore.

Bill, dal canto suo, non aveva potuto fare granché: alle chiamate non rispondeva, ai messaggi figuriamoci! Era passato parecchie volte davanti a casa sua a suonare il campanello, sapeva che Tom era sceso ed aveva guardato nello spioncino, ma non si era mai azzardato ad aprire.

Se ne stava ore a fissare la luce che entrava ed usciva dalla sua finestra, guardava il vento far gelare tutto il mondo al di fuori della sua stanza. La sua camera era diventato il suo rifugio. Mangiava giusto il necessario per non morire, sembrava avesse perso in due giorni almeno cinque chili, forse era un'allucinazione della madre. Scavato era scavato, scavato dalle lacrime, scavato dalla delusione.

Sun is filling up the room
And I can hear you dreaming
Do you feel the way I do?
Right now?

Se lo chiedeva in continuazione, ragionava sui sentimenti di Bill, su come si sentisse lui in quel momento. Forse era tornato con Saimon, anzi ne era sicuro. Era stato un giocattolo per lui, quando dall'altra parte ci aveva provato, Tom aveva provato a tirare fuori un po' di sé stesso.

I wish we would just give up
'Cause the best part is falling
Call it anything but love

La sua parte migliore già faticava ad uscire, in questo momento era completamente andata, persa su un altro pianeta. Pianeta Tom. Abitanti: 1, lui.

And I will make sure
To keep my distance

Distanza, ecco cosa ci voleva. La distanza aveva sempre funzionato, la distanza era stata la sua via di fuga da tutto. Quando era ritornato era stato acclamato, si era sentito vivo, diverso. Serviva la distanza.

Say I love you
When you're not listening

Ma quei ti amo non bastavano, evidentemente per il moro non era abbastanza. Non era riuscito a renderlo felice, Tom poteva solo accettare la situazione e crescere con essa.

And how long
Can we keep this up, up, up?

Aveva deciso. Questa era una scelta definitiva. Una di quelle che segui in un momento d'ansia e pazzia.

A lui balenò in mente una mattina, ci mise tre secondi a pensarla e venti minuti a metterla in atto. Un borsone con vestiti, soldi, cd, effetti personali e chitarra alla mano gli erano bastati. Aveva sceso le scale in silenzio, aveva posato un biglietto sul tavolo della sala da pranzo e alle 6:30 di mattino del 27 gennaio, aveva ruotato la maniglia ed entrato in auto.

Lo aspettava un'ora e mezza di viaggio, senza contare il possibile traffico che si augurava di non trovare.

Ciao mamma,
Sono un vigliacco, non farmici pensare. Ti sto lasciando sola, proprio come fa papà ogni giorno. Non compararmi a lui, potrei morire. Parto, dove vado puoi immaginarlo, cercherò un lavoro. Sì, cercherò un lavoro e ti spedirò i soldi ogni mese. Ho bisogno di un po' di tempo per me, per staccare.
Dì alle tre mostriciattole che torno presto, non dirgli che me ne sono andato, non voglio che mi vedano come un traditore. Baciale in fronte ogni mattina, prima di andare a scuola e ogni sera, prima di andare a letto anche da parte mia. Ripeti loro ogni giorno che le amo e che torno presto. Perché lo farò.
Se dovesse passare Bill, e passerà lo sai, digli di non cercarmi, digli che sto bene e che starò bene.
Ah, mamma, digli anche che lo amo. Sì, mamma, hai capito bene. Ma lui non ama me, perciò.
Grazie, so che sei arrivata fino in fondo a questo biglietto trattenendo le lacrime.
Torno presto, te lo giuro.

Tom

A Simone mancò il respiro, quando, verso le dieci di mattina lesse quelle parole. Aveva ragione suo figlio, aveva trattenuto fino all'ultimo le lacrime in gola, ma ora uscivano incontrollate, a fiotti.

Tom. Il suo bambino che se ne andava di casa. Perché se ne era andato? Cosa era successo? Chi lo aveva ferito di nuovo?

Pensava a lei, il giorno in cui se ne era andata di casa. I suoi genitori avevano pianto, ora capiva cosa si provava. La sensazione più orribile del pianeta, più tentava di scrollarsela di dosso, più rimaneva lì.

E quelle due parole "torno presto", un tormento nella sua mente, rintoccavano come le lancette di un orologio. Torno presto.

«Non importa quando, torna e basta. Torna da me, bambino mio.»

                                   * * *

Tom sapeva tutto, sapeva delle lacrime della madre e, naturalmente, sapeva anche di Bill. Del moro e del suo continuo cercarlo. L'avrebbe cercato fino alla fine.

Era circa l'una quando il dito di quest'ultimo citofonò al campanello con scritto sopra Kaulitz. Sperava solo di trovare una porta aperta, questa volta.

Dieci. Undici. Dodici secondi. Arrivò a contare fino a venti, poi una donna che conosceva fin troppo bene gli apparve davanti. Spenta.

Spenta, ecco com'era Simone. Potevi usare qualsiasi aggettivo per descriverla, ma spenta non era suo, non gli apparteneva. Completamente vittima del dolore, con un desiderio di urlare disumano.

Accolse Bill con un sorriso e gli chiese cose ci facesse lì. In realtà sapeva, voleva fingersi tonta, fingere di non sapere nulla, di vivere in un altro pianeta. Perché era lì che voleva stare. Lontano da tutti.

«Cerco Tom, cioè, è in casa? Mi piacerebbe parlare con lui, posso aspettarlo anche qui» disse, tra un incertezza e un'altra.

Simone tese una mano verso il ragazzo e gliela appoggiò su una spalla:
«Tom non è qui» furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.

«Ah, sa quando torna? Perché se ci mette poco, lo aspetto»

Ingenuo. Ingenuo Bill.

«T-tom n-non è esattamente qui vicino» e cercò di trattenere una prima lacrima.

Ci riuscì per uno, due, tre secondi e poi scoppiò. Si aggrappò con le braccia verso il moro e lo strinse a sé.

Tom. Tom. Pronunciava il nome del figlio tra i singhiozzi, come fosse un richiamo, come se in quel modo lui sarebbe riapparso davanti a lei.

Rimasero abbracciati in silenzio per parecchi minuti, poi Bill si ritrovò faccia a faccia con il biglietto scritto da Tom.

Calligrafia orribile e a tratti illeggibile, quanto gli mancava.

Le ultime parole furono un pugno al cuore. Tornare? Tornare da dove? Perché se ne era andato? Cosa aveva fatto?

«Dove è andato? Simone, dimmelo!» ora Bill urlava, urlava cercando risposte, urlava cercando Tom.

La donna abbassò gli occhi, fece scorrere altre lacrime. Bastò un piccolo sforzo da parte del cervello del ragazzo per connettere.

No, impossibile. Tom non poteva. Non di nuovo.

E quel luogo su cui pensava tanto di sbagliarsi, uscì dalla bocca della mamma di Tom qualche secondo dopo:
«S-s-se n'è a-anda-ato a B-berli-ino».

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora