01. "Neve a Madgeburgo"

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Bastò un soffio per fare appannare il vetro della finestra. Bastò un tocco per imprimere un'orma su di essa, il segno di due piccoli polpastrelli. Era il quattro dicembre, tre settimane al giorno di Natale.

La neve cadeva fitta davanti a due iridi scure. Marroni per la precisione. Quell'anno la neve era in anticipo. Nessuno l'aveva mai vista prima della vigilia, ma a quanto pare quell'anno fu l'eccezione.

Era bella Madgeburgo in quell'occasione, sembrava un paradiso di nuvole. Un'enorme distesa di morbidezza, veniva la voglia di buttarcisi dentro solo a guardare.

Era il periodo della cioccolata calda con la panna, dei grandi maglioni pesanti e delle giornate passate a comprare regali. Era il paradiso, il periodo più bello dell'anno per il ragazzo dagli occhi marroni.

Fu una voce a riportarlo alla realtà, qualcuno lo stava chiamando dal piano inferiore, lo stava chiamando insistentemente.

«Bill è l'ultima volta che ti chiamo, poi la colazione te la fai da solo!» la voce di Lea era stata chiara e a dir poco assordante.

In effetti ancora si chiedeva come avesse fatto a non sentire i suoi precedenti richiami, con la voce che si trovava poteva comunicare perfino con persone di un altro continente.
Probabilmente era sorda, probabilmente tutti i vicini lo erano. O meglio, lo erano diventati. Lea urlava talmente tante volte al giorno, che sentirla non parlare era una vera rarità. Ormai tutti si erano abituati al suo tono di voce: le continue lamentele dei vicini non avevano fruttato molto.

Ringraziò il cielo di essere già pronto: la sua indecisione nello scegliere i vestiti era famosa in tutta la casa.

Scese velocemente le scale, facendo attenzione a non calpestare le zone ancora bagnate del pavimento. A quanto pare la madre aveva pulito di prima mattina.

«Buongiorno» disse aggiungendo uno sbadiglio come enfasi finale. Più che enfasi era sonno, sonno che aveva accumulato negli ultimi giorni. Amava la scuola, era come un anti stress per lui. Un po' meno amava le lunghe ore di studio che gli insegnanti imponevano a lui e i suoi compagni.

«Alla buon'ora, è la quarta volta che ti chiamo. Che cosa hai in quella testa? Mangia, muoviti, non ho intenzione di accompagnarti a scuola perché sei in ritardo» non era arrabbiata, per niente.

Lea era così. Un piccolo demone arrabbiato abitava in lei, o almeno così i familiari giustificavano il suo carattere sempre pungente e scorbutico. Un vero peccato per una come lei.

Lea era bella ragazza, eri pazzo se dicevi il contrario. Lunghi capelli color cioccolato, un viso magro incorniciato da una frangetta asimmetrica, gli occhi sempre contornati da un leggero velo di matita e le labbra sottili, di un colore tendente al rosso. Se le mordeva spesso, era un vizio di famiglia. Tutti gli occhi marroni in quella casa erano abituati a farlo, era quasi una normalità per loro torturarsele.

Un altro pregio di Lea era che in cucina era fantastica. Non si impegnava granché, ma i risultati dicevano altro. La sua colazione era una delle migliori: pancakes e uova sbattute, una delizia.

Bill finì in fretta l'ammasso di cibo presente nel suo piatto, non voleva far sclerare ancor di più la sorella. Afferrò lo zaino ripassando velocemente le lezioni che lo stavano attendendo e con un cenno del capo, salutò la cuoca urlatrice. Non aspettò di sentire la risposta, sapeva che avrebbe potuto anche non riceverla.

La strada davanti a lui era un campo di battaglia: orme su orme di piedi si ammassavano davanti a lui. Gli piaceva lasciare il segno della gomma dei suoi stivaletti, un po' meno gli piaceva vederle scomparire sotto le suole di altre persone.

Faceva davvero freddo. Le labbra tutte mordicchiate stavano per diventare anche piuttosto crespe, avrebbe dovuto fare qualcosa a riguardo. Per fortuna aveva preso la sciarpa, almeno quella le riparava un minimo. In quel momento gli venne in mente che ne desiderava un'altra, quella da lui indosso era sull'orlo della disfatta. C'erano piccoli buchi e sfilamenti pressoche ovunque.

Era così immerso dai suoi pensieri che non si accorse di avere compagnia. Un'altra figura alta, almeno quanto lui, gli camminava a circa un metro di distanza. Ma fu solo quando questa per sbaglio inciampò nel suo stivaletto destro che lui si accorse della presenza alle sue spalle.

«Guarda dove metti i piedi, caz-» non fece in tempo a completare la frase che si accorse di chi davvero fosse il suo compagno di strada.

«A casa mia quando si saluta si dice buongiorno, Trümper».

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora