Capitolo 5

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Arrivo al portale che il sole è ormai calato, nessun saluto mi accompagnerà in questo viaggio. Sto per attraversare l'arco quando una voce in lontananza mi chiama: "Lucifero aspetta!"

Volto lo sguardo e vedo Samael correre a perdifiato nella mia direzione. Caro fratello, l'unico che riesce a comprendermi, provando affetto per uno scarto. "Me ne sto andando, fai in fretta."

Con il fiato spezzato dalla corsa, prende un respiro: "Mi dispiace per l'accaduto. Forse ho sbagliato a mostrarti quell'avvenimento."

Scuoto la testa accennando un sorriso: "Invece no, ho molto su cui riflettere fratello. Questo tempo sulla terra servirà. Mancherai Samael, tanto." Me lo lascio uscire di getto, dimostrando un sentimento imprigionato in me dalla troppa freddezza forse.

Annuisce porgendomi la mano. Osservo il gesto gettandomi però tra quelle braccia e, sussurrandogli: "Ti voglio bene." Volto le spalle, tuffandomi nel portale senza voltarmi.

Spiego le ali al vento, cercando di concentrarmi solamente sullo spazio che mi circonda. Arrivo alle porte di un grande villaggio, non saprei dire dove precisamente, il mio senso dell'orientamento è disastroso.

Inizio a camminare guardandomi in torno.

"Una mela signore?" Sento quella voce bambina avvicinarsi. Abbasso lo sguardo sorridendole teneramente: "Certo piccolina."

Le faccio il gioco della moneta dietro l'orecchio. Saltellando torna al banco felice.

Adorabili piccoli umani, sono talmente carini, così fragili e innocenti. Gli unici a meritare ogni genere di grazia, insieme agli animali.

Mi perdo in mezzo alla folla, privo di pensieri. Come se fossi smarrito nel mio personale mondo fantastico.

Il vociare delle persone, gli odori del mercato, le risate cristalline dei bambini. Un luogo totalmente diverso dalla serietà del Paradiso.

Osservo un cielo nuovo, questo sentiero che percorro è diverso eppure, una nota stonata e impercettibile c'è.

Vedo un gruppo di uomini inveirsi contro, alzare le mani sui loro simili. Una madre prende a calci suo figlio, che ha appena rotto una ciotola involontariamente.

Tanta bontà in altrettanta cattiveria e questo, mi destabilizza.

Tra bancarelle e case fatiscenti non mi accorgo, di giungere a un fiume. Scorre lento, come il passare del tempo.

Sedendomi su una roccia, osservo lo spacchio d'acqua limpida. Cosa dovrei imparare qui? Le parole di mio padre risuonano incessanti nella mia testa: "Capirai anche il mio gesto di perdono." Sarà davvero così?

Afferro un sassolino e lo getto nell'acqua, ho sbagliato a venire sulla terra.

Spesso i miei colpi di testa sono più forti della mia volontà.

"Pensieroso?" Una voce femminile arriva alle mie orecchie. Senza girarmi rispondo svogliatamente: "Gradirei stare solo."

La sento sbuffare: "E' di tua proprietà il masso?" Scuoto la testa, ha ragione.

Non mi appartiene nulla.

Muove qualche passo, portandosi di fianco: "Bel posto per scaricare i pensieri vero? Voglio dire, dal tuo sguardo, sembrerebbe che tu abbia appena perso a una corsa di carri."

Doveva capitarmi l'umana chiacchierona. Rimango in silenzio, magari se ne andrà.

Fa qualche passo, entrando con i piedi nudi nell'acqua. La osservo.

Un velo le copre la testa, lasciando libera solo qualche ciocca ramata di capelli.

Voltandosi rimango incantato dai suoi occhi dorati, sembra quasi che il sole sia incastonato lì dentro. Timidamente sorride: "E' piacevole."

Mi ridesto dal mio incanto.

Abbasso il cappuccio sulle spalle, una folata di vento muove i miei ciuffi biondi. Scendo dal masso: "Dato che la mia solitudine è finita, proverò a fare come te." Tolgo gli stivali e immergo le punta dei piedi.

Lei mi schizza un pochino, ridendo.

"Non sei di queste parti vero? Sembri il signore di qualche casato." Sapessi umana, sapessi.

"Sono uno straniero. Nè ricco, nè povero. Semplicemente, una persona." Dico guardando i pesci che nuotano lontano.

Stiamo in silenzio per un pò, godendoci un vento leggero. "Comunque, il mio nome è Lilith."

Mi gelo, restando fermo. Come se una spada mi avesse trafitto. La guardo: "Puoi ripetere?" Non voglio crederci.

Lei sorride gentile: "Mi chiamo Lilith."

Lo dice con una totale ingenuità, magari non ricorda chi è stata ma, io si.

"Lu. Piacere." Detesto questa abbreviazione del mio nome però, quando vuoi mantenere l'anonimato, torna utile.

Dal suo sguardo capisco che non mi crede ma, gentilmente tace senza porre domande.

Il canto di un uccello mi fa distogliere lo sguardo dall'acqua. "Sapevo, che mentire fosse proibito a voi angeli." Dice fuori dai denti.

Deglutisco: "Allora ricordi." Annuisce avvicinandosi.

Alza una mano con dita sottili sul mio viso e lo accarezza piano: "Come potrei dimenticare i tuoi occhi verdi Lucifero?"

Rimango sorpreso più dal gesto che dalle parole. Indietreggio: "Mi era stato detto che , avresti scordato tutto. Come sei riuscita?"

Sorride: "Forza di volontà credo."

Un pensiero mi passa per la testa, è forse questo ciò che gli umani chiamano destino?

The Morning Star (La Stella Del Mattino)Where stories live. Discover now