Chapter nine

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"Da nessun'altra parte ti sentivi vivo come lì.
[...]
Chi eri nel Fight Club non corrispondeva a chi eri nel resto del mondo"

Edward Norton - Fight Club (1999)



In giro non si vedeva nessuno stranamente.
La città deserta mi richiamava alla mente i film apocalittici di fantascienza.
Era un weekend di ottobre piuttosto triste, forse era quella la ragione che spingeva la maggior parte delle persone a stare accoccolate all'interno della propria dimora.
Ero reduce da una sessione di studio molto intensa.
Al club mi facevo vivo molto meno di frequente perché il nuovo album mi teneva parecchio impegnato.
Non ci dormivo le notti per riuscire a tirare fuori frasi da scrivere, o più ampiamente, concetti d'ispirazione per le mie canzoni.
Era quasi tutto schematicamente calcolato e ciò mi incatenava a volte.
Era altresì vero però che avevo bisogno di essere spronato, non tanto a farmi venire delle idee quanto a concretizzarle.
Rientrai in casa sufficientemente spento di umore per l'elevata stanchezza mentale, data dalle ore precedenti trascorse nelle quattro mura a me più familiari.
Ero solo come quasi sempre del resto.
Andai dritto alla macchinetta del caffè, avevo bisogno di restare sveglio più tempo possibile.
Riposarmi non era tra i miei obiettivi per quel periodo e onestamente non sapevo quanto avrei retto.
Potevo essere così duro con me stesso, tanto da evitare di concedermi anche solo un attimo di respiro.
Il suono acuto e improvviso del citofono mi arrivò prontamente ai timpani, creando in me un senso di irritazione.
Probabilmente tutti i miei piani per quel pomeriggio sarebbero saltati, me lo sentivo.
Abbandonai la tazzina di caffè sul tavolo e mi diressi alla porta d'ingresso.
Non avevo idea di chi potesse essere perché non ero in attesa di visite.
Chiunque fosse stato, aveva avuto un tempismo perfetto, perché ero rientrato da nemmeno cinque minuti.
Se avesse anticipato di poco non avrebbe trovato anima viva.
Quando aprii la porta mi trovai davanti Francesco.
Rimasi alquanto sorpreso perché non avevamo mai avuto rapporti fuori dal club e di conseguenza non ci eravamo mai incontrati al di fuori di quel luogo.
Lo superai con lo sguardo scrutando tutt'intorno per aver certezza che nessuno ci avesse visti.
Gli diedi il permesso di entrare e richiusi la porta alle sue spalle.

Ehi G, come andiamo?

Domandò guardando per terra mentre mi seguiva nel corridoio.
Non era l'unica persona che abbreviava il mio nome in quel modo.
Implicava sufficiente distacco nonostante paresse quasi un soprannome affettuoso, ma mi andava bene così.
Il mio nome doveva rimanere nascosto tra i membri del circolo nonostante tutti sapessero in realtà chi fossi.

Tutto okay

Mentii.
Fortunatamente non poteva guardarmi negli occhi per accorgersene.
Lo portai in sala e gli feci cenno di sedersi sul vecchio sofà sgualcito.
Era color crema e sul lato destro, sotto al bracciolo si vedevano ancora i graffi della gatta che avevamo quando ero bambino.
Mamma a quel tempo era contenta che avessimo un animale da compagnia, peccato che non durò a lungo.
Scoprimmo la mia allergia e da quel momento fummo costretti a liberarcene anche se non si manifestava troppo gravemente.
Non voleva separarsi da quel divano perché diceva che le evocava molti ricordi e si abbinava agli altri oggetti vintage sparsi qua e là per la casa, perciò non contestavo le sue scelte.
Il ragazzo di fronte a me si guardava in giro poi posava i suoi occhi nei miei con fare agitato e interrogativo.
Probabilmente attendeva che gli rivolgessi la fatidica domanda.

Cosa ti porta qui?

Lo accontentai.
Fece un sospiro alzando gli occhi al cielo, come a voler fare capire che ciò che mi avrebbe detto da lì a poco non mi avrebbe fatto stare troppo bene.
Non ero un esperto del linguaggio del corpo umano ma certamente era un argomento che poteva suscitare la mia curiosità.
Avevo appreso qualche nozione da libri letti piuttosto rapidamente.
Potevano rivelarsi utili in specifiche situazioni come quella.
Provai a prepararmi mentalmente per quanto fosse possibile.
Mi disse che sarebbe partito per andare a trovare sua madre.
Avevano scoperto che le rimaneva soltanto qualche mese di vita e lui ovviamente voleva trascorrere il tempo restante facendole compagnia.
Mi crollò il mondo addosso per metà.
Per prima cosa, dopo le sue parole, mi si palesò davanti il ricordo della malattia di mamma.
Anche lei aveva combattuto contro il male.
Era stato inconcepibile per me che qualcosa di così negativo avesse preso possesso del suo corpo.
Del corpo di una donna infinitamente buona e guerriera.
Ma non di una donna qualsiasi.
Della donna che mi aveva cresciuto, che aveva preso in mano la situazione a diciotto anni recandosi in una terra straniera con tanti sogni nel cassetto.
Così come ne aveva lei poi ho avuto modo di averne anche io.
Uno dei miei sogni più grandi era sempre stato comprarle una casa e ripagarla per tutti i suoi sacrifici.
Ma quando si ammalò, l'unico sogno che avevo era che potesse guarire.
Dio aveva accolto tutte le mie preghiere e non potevo esserne più grato.
Chissà se avrebbe fatto lo stesso con le richieste di Francesco.
Con lo sguardo corrucciato e la voce spenta chiesi quando sarebbe partito.

OGGI PIOVERÀ A GOGÒ - Ghali fanfiction Where stories live. Discover now