Chapter four

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"Dopo la lotta ogni altra cosa nella tua vita si abbassava di volume.
Potevi affrontare tutto".

Edward Norton - Fight Club (1999)


Chiusi gli occhi.
Cercai di allontanare quelle scene dalla mia visuale.
Era un luogo maledetto.
Pareti bianche segnate dalle sofferenze di tanti ragazzi come un inchiostro indelebile.
In qualche modo ne ero responsabile.
Soltanto le orecchie mi collegavano a quel brutale combattimento, seppur i suoni mi giungessero prevalentemente ovattati.
La musica della discoteca si udiva dal piano superiore e si manifestava con tutta la positività possibile.
Nettamente il contrario di ciò che stava avvenendo più in basso davanti a me.
Quel contrasto però inaspettatamente mi fece sorridere.
Quando riaprii gli occhi, la rossa era in piedi immobile davanti al suo avversario altrettanto immobile.
Ma lui a differenza sua era steso a terra con il volto sanguinante.
Puntai il mio sguardo nei suoi occhi, che finalmente dopo tanta attesa si incastonarono nei miei.
Avevo aspettato a lungo quel momento, ma quando arrivò, un'ondata di inadeguatezza mi travolse.
Mi ritrovai spaesato sentendomi inerme.
Inerme di fronte a quel semplice contatto visivo che prepotentemente mi sfidava e scavava nel profondo delle mie viscere.
Mi allontanai.
Volevo bere per poi non ricordarmi più nulla.
Come se avessi vissuto quella sera soltanto in sogno.
Afferrai con convinzione una bottiglia di whisky ma non feci in tempo a farla giungere a contatto con le mie labbra perché una voce mi interruppe.

Che ne pensi del nostro nuovo astro nascente?

Fu la domanda che risuonò insistente ai miei timpani.
Me l'aveva porta Francesco, l'allenatore del mio peggior incubo e si aspettava una risposta positiva.
In verità non sapevo bene cosa replicare.
Negli incontri era una belva feroce degna di essere aggiunta alle tre fiere Dantesche vaganti per l'oscura Selva.
Come esse rappresentavano alcuni dei peccati capitali, ella per me era simbolo di impuri e ribelli pensieri.
D'altro canto però, non ero a conoscenza di nulla che avesse carattere personale.
Mi ponevo molte domande già da solo.
Era come un enigma indecifrabile.

È forte

Sospirai ammettendolo più a me stesso che a lui.
Era deprimente darla vinta a qualcuno che non si conoscesse, soprattutto dopo essere stati perdenti per molto tempo.
Un sorriso si dipinse sul suo volto.

Te l'avevo detto

Aggiunse fieramente allontanandosi.
Quella notte seguii altri due incontri poi decisi di eclissarmi.
Dovevo tornare a casa ma non sapevo nemmeno quale fosse in verità la mia.
Più che un edificio, casa erano le sensazioni che non mi facevano stare male a lungo termine.
Poteva essere anche un luogo astratto dove rifugiarmi, come ad esempio la musica.
Era da poco passata l'una del mattino.
Salii i gradini a fatica e mi ritrovai in mezzo ad una marea di ragazzini che ballavano scatenandosi.
La notte era ancora lunga.
La notte era giovane.
Molti erano rossi in viso, probabilmente per una miscellanea di alcool e stanchezza.
Altri erano in preda agli ormoni adolescenziali e cercavano di farsi notare dalle belle donzelle.
Non era il mio posto.
Non avevo più quindici anni, non potevo divertirmi allo stesso modo loro.
La mia mente era ormai annebbiata dai problemi e averla libera e spensierata costituiva soltanto un misero ricordo.
Anche se forse non era mai stata così leggera.
Ero pieno di sostanze in corpo.
Quello stato di apparente benessere mi avrebbe fatto sentire distrutto qualche ora dopo.
Era come un loop da cui non ero capace di uscire.
Volevo toccare le stelle per poi schiantarmi al suolo.
In entrambi i casi me lo sarei meritato.
Assaporavo continuamente il dolce e l'amaro.
Mai l'amore.
Proprio mentre pensavo a questo, la rividi.
O forse così pensai che fosse.
Ero tutto fuorché lucido.
I suoi capelli erano sciolti e gli abiti succinti mi fecero fare pensieri poco casti.
La mia mente vagava in territori inesplorati e più la guardavo più ne volevo ancora.
Sorrideva al suo fidanzato che quasi non le dava attenzioni e la trattava come un trofeo.
Mentre ballavano guardava le altre ragazze facendo finta di essere ubriaco,  ma non sapeva che tutti invece ammiravano la sua di ragazza.
Ormai avevo assimilato il suo tipo di approccio.
Non era capace a tenersela stretta e comprenderne il valore.
Per questo mi ero messo in testa che sarei stato in grado di darle di più.
Più attenzioni, più sguardi, più momenti felici.
Più guai.
Era bella e delicata come una bambola di porcellana.
L'avrei rotta in mille pezzi.
Nessuno dei due sarebbe stato in grado di raccogliere i cocci una volta arrivati al punto di non ritorno.
Non ero pronto ad una frequentazione che avesse quei connotati.
Sarei stato il suo desiderio più grande ma anche il suo incubo peggiore.
L'avrei rovinata, ma ormai lei mi aveva già offuscato la mente come l'alcool e il fumo facevano al suo posto già da prima di conoscerla.
Non era facile controllarsi nelle condizioni in cui mi trovavo.
Misi una mano in tasca, certo di trovare il ciondolo che solo qualche ora prima era caduto sull'asfalto del parcheggio.
Lo osservai attentamente cercando di cogliere anche il più implicito dettaglio.
Si trattava di una medaglietta raffigurante una lettera A stilizzata con delle ali d'angelo.
In araldica gli angeli sono spiriti celesti simbolo di giustizia divina, protezione e purezza.
Tutte queste caratteristiche le rivedevo in quella ragazza ammaliante.
Doveva appartenere a lei.
La prima lettera dell'alfabeto indicava sicuramente l'iniziale del suo nome, così mentalmente cominciai a scorrerli tutti come se avessi davanti un elenco di nomi femminili.
Dopo qualche minuto mi resi conto che da lì a poco non avrei retto più.
Le palpebre si erano fatte pesanti e non sostenevano più la stanchezza.
Cercai ancora una volta nella sala il viso angelico di quella misteriosa ragazza ma non lo trovai.
Mi feci largo tra la folla diretto alla porta di uscita del locale.
Quella notte persi quel ciondolo ma era rimasto ben scolpito nella mia mente.
L'aria fuori era piuttosto fresca e non mi accorsi subito che stesse piovendo.
Mi dava fastidio la pioggia ma in quelle condizioni avrei sopportato quasi tutto.
Non avevo le forze sufficienti per essere anche arrabbiato.
Prendermela con me stesso o con il mondo non avrebbe fatto differenza.
Quando ero nel pieno delle mie facoltà mentali e fisiche pensavo molto.
Ma quando, al contrario non lo ero, pensavo il doppio.
Era una situazione surreale, nemmeno Dalì con i suoi quadri avrebbe saputo disegnare ciò che regnava all'interno della mia mente.
Il caos faceva da padrone e abitava anche le crepe più invisibili.
Non c'era mai stato un attimo di pace dentro di me.
Prima di diventare famoso non c'era niente di buono, ma anche dopo esserlo diventato era quasi tutto un casino.
Più emergevo più mi sentivo messo da parte.
Non ero nemmeno certo se essere famoso fosse tutto ciò che avessi sempre voluto.
Tutte le certezze che avevo in realtà erano sempre state vacillanti.
Come un equilibrista da circo che cammina sopra un filo impercettibile.
Quel filo impercettibile che però in un modo o nell'altro è sempre stato presente.
Nella mia convinzione mamma ricopriva quel ruolo.
Era una bussola a cui mi sarei sempre potuto rivolgere nei momenti in cui mi sentivo perso.
Lei c'è sempre stata, al contrario di mio padre, e io mi sentivo perso molto spesso.
Solo che immaginare di diventare in prima persona il filo impercettibile di qualcuno mi faceva paura.
Mi spaventava l'idea di non essere all'altezza.
L'idea di dover crescere una volta per tutte.
Tutto si sarebbe trasformato in responsabilità.
Sarei stato responsabile della felicità o del dolore di qualcun altro e facevo fatica ad accettarlo.
Ne avevo già troppe di responsabilità e cose a cui pensare.
Qualsiasi cosa avessi fatto o detto sarebbe stata sulla bocca di tutti a partire dal giorno seguente.
Ogni azione prevedeva delle conseguenze.
Per questo non avevo mai pace o forse non ero in grado di trovarla.
Arrivai a casa come un cane bastonato.
Preso in giro da entità divine che avevano scaricato su di me le loro frustrazioni, così come io facevo indirettamente al club.
Eravamo pari.
I vestiti intrisi di acqua piovana e il cuore mezzo vuoto ne erano la prova.
Ma ancora mi illudevo che fosse tutto sotto controllo.

OGGI PIOVERÀ A GOGÒ - Ghali fanfiction Where stories live. Discover now