Chapter one

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"Quando soffri di insonnia non sei mai realmente addormentato e non sei mai realmente sveglio"

Edward Norton - Fight Club (1999)


Entravo da un club e uscivo da un altro.
Scrivevo e registravo canzoni.
Le mie giornate erano piene da quando mi alzavo fino a quando non toccavo il letto la notte.
Ma spesso non dormivo.
Non potevo e non riuscivo a farlo.
Ho sempre dormito pochissimo soprattutto durante i tour quando a volte mi capitava di svegliarmi dopo soltanto un'ora.
La gente contava su di me, mi vedeva come un idolo da seguire, anche se io di idoli non ne avevo più.
A trent'anni forse rinasci, a volte muori con l'amaro in bocca ma la vita sa deliziarti con il dolce.
Per me diverse cose potevano essere dolci.
I soldi ad esempio.
Per quanto li odiassi, erano il passepartout per ogni cosa o situazione.
La gente era abituata a vedermi come una persona dal cuore d'oro ma ognuno di noi custodisce dei segreti.
Ognuno di noi nasconde un lato oscuro, meno visibile come il volto della luna.
Anche io lo facevo e forse nessuno ne era a conoscenza.
Il mio carattere aveva molte sfaccettature, io stesso faticavo a comprendermi appieno.
A volte cadevo così in basso da farmi paura.
Ognuno di noi lotta contro i suoi mostri, ma io ormai avevo imparato a cullare i miei.
Certe cose non mi facevano più paura.
Certe cose sbagliate quasi mi divertivano a tratti.
Si prendevano gioco di me e io di loro come faceva la vita nei miei confronti.
Mi usava, si sfogava su di me senza averle dato il consenso, come fossi il suo toy boy.
A volte stavo zitto, altre volte assaporavo la sensazione di avere il controllo su di lei, ma forse quel pensiero era soltanto un'illusione.
Quel pomeriggio in taxi guardavo fuori dal finestrino.
Milano come sempre era contornata dalle nuvole.
Idrometeore di polvere, vapore e acqua che si stagliavano fitte in lontananza.
Avrei voluto vederle diradarsi per ricordarmi che anche io merito la luce dopo le tenebre, ma al contempo avrei voluto che diventassero sempre più nere e cariche di pioggia per lavare via tutti i miei peccati.
I miei due volti non erano mai in grado di mettersi d'accordo e si facevano la guerra costantemente.
Ne ero afflitto ma anche eccitato da ciò.
Il mio umore era paragonabile alle montagne russe, se riflettevo su come mi sentissi, dopo qualche minuto finivo per sentire me stesso mentre ci pensavo.
Un perverso gioco senza fine che teneva sveglio il mio corpo anche nei momenti apparentemente calmi.
Per questo fumavo.
Almeno per qualche ora mi illudevo di essere perfetto, di non avere accollate sulla coscienza le sofferenze delle persone, di essere nel giusto.
Anche per questo pregavo.
Per connettermi a un'entità invisibile nella speranza che i miei errori venissero perdonati o passassero in secondo piano.
Per ottenere un lasciapassare per l'inferno, dove probabilmente alloggiavano i miei demoni interiori.
Vicino a me sedeva il mio manager.
Osservava la strada dritto davanti a sé e non mi degnava di uno sguardo.
Nemmeno lui aveva il coraggio di farlo nonostante lavorasse per me.
Era in quei momenti che mi sentivo sbagliato ma cercavo di allontanare quei distorti pensieri.
Stavo andando a rilasciare un'intervista per le radio.
Non amavo particolarmente fornire ulteriori dettagli su di me, sulla mia vita o sulle persone a cui fossi più legato.
Credevo che le mie canzoni avessero sempre detto abbastanza sulla mia personalità.
Purtroppo se sei un cantante devi anche svolgere tutte le attività connesse alla musica, ad esempio quella che stavo per intraprendere.
Amed aprì la portiera prima di me.
Non me ne accorsi, ero ancora immerso nelle mie riflessioni.
Come un vortice di pensieri che in un attimo poteva tirarmi dentro di esso e da cui poi sarebbe stato difficile uscirne in breve tempo.
Alternavo periodi in cui tentavo di vedere il buono nelle persone e la positività nelle situazioni, a periodi in cui tutto il pessimismo cosmico Leopardiano scaturiva da ogni fibra del mio corpo e mi mangiava vivo.
Mi ripresi solo dopo aver sentito un rumore sordo, segno che la portiera era stata richiusa.
Mi accinsi ad uscire dalla vettura e quando fui fuori completamente rimasi immobile sul marciapiede.
Abbassai lo sguardo.
Indossavo un completo verde militare che nascondeva le forme naturali del corpo in alcuni punti.
I muscoli non si intravedevano ma da sotto i vestiti potei percepirli discretamente tesi.
Mi allenavo per mantenere il mio fisico tonico e asciutto.
Ciò che si vede è spesso frutto di molti sacrifici, ma le persone sono sempre pronte a criticare qualsiasi cosa gli si pari davanti in un modo o nell'altro.
Non odiavo la palestra o il movimento fisico come le interviste, ma se parlare di me avesse fatto aumentare la mia fama e fatto accrescere le mie entrate, ero disposto a tutto.
Avevo fame si, non ero ancora soddisfatto.
Non ero ancora arrivato all'apice.
Improvvisamente mi sentii oppresso fisicamente.
Avevo tantissimi fan intorno, me ne accorsi solo dopo che mi sentii afferrare per un braccio.
Il mio manager mi stava trascinando via da tutte quelle persone che mi chiamavano e pronunciavano il mio nome in modo sbagliato e che mi guardavano quasi come se fossi un Dio.
Fingevo di esserne abituato.
Fingevo di essere a mio agio in qualsiasi circostanza.
Ma la verità era un'altra.
Ora che tutti avevano in bocca il mio nome, potevano farne ciò che volevano.
Invece di sentirmi grande, mi sentivo uno scricciolo.
Ero così vulnerabile e allo stesso tempo sotto minaccia come una specie in via d'estinzione.
Avevo portato in alto il mio nome ma non tutti erano in grado di custodirlo bene.
Io in fondo ne ero geloso, tutti conoscevano la mia essenza, o meglio ciò che ne mostravo.
Andava bene così, nessuno avrebbe dovuto sapere chi fosse Ghali quando nessuno poteva vederlo, quando lasciava spazio ai suoi istinti più cupi.
Quando faceva emergere il tratto caratteriale forse più sbagliato.
Lontano dai riflettori, quando sei da solo a scontrarti con la realtà apparente, quando tenti di ingannare te stesso facendo cose che se tutti sapessero ti taglierebbero fuori dal gruppo.
Per questo sentivo dentro di me il delirio.
Le scale per arrivare al secondo piano avevano stancato tutti anche se non lo davano a vedere.
Tutti eccetto me, ero abituato agli sforzi.
Presi posto allo sgabello da cui avrei dovuto parlare.
Misi le cuffie e avvicinai il microfono alla bocca stando in silenzio.
Mi meravigliai di come tutti quei gesti mi risultassero naturali.
Il design della sala era minimal, le pareti bianche così semplici mi facevano sentire eccentrico.
Fin da quando ero piccolo la moda aveva assunto un ruolo significativo per me.
Mia madre mi mandava a scuola vestito bene.
Vestito bene per lei, non per i compagni di classe che avevo, perché per una cosa o per l'altra venivo sempre preso in giro.
Essere vittima di bullismo capita a chiunque, essere il carnefice forse no.
Io ero diventato entrambe le cose da prospettive diverse.
Ambivo ad assaporare la mia rivalsa dal giorno zero, anche quando non ero certo che sarei potuto diventare qualcuno.
Più la fama cresceva più mi sembrava di essere vicino alla mia rivincita.

Come stai?

Fu la prima domanda che ricevetti.
Una domanda che mise in moto diversi meccanismi e stati d'animo all'interno del mio cervello.
In realtà non avevo una risposta fissa.
Dipendeva dal periodo che stavo vivendo in generale, dalle questioni in sospeso, dagli affetti e anche solo un singolo momento aveva il potere di cambiarne la risposta.
Ci pensai a lungo.
Anche se il silenzio durò pochissimi secondi, nella mia testa era durato un'eternità.

Bene

Fu tutto ciò che dissi alla fine, accompagnando la risposta con un sorriso.
Forse in fondo davvero stava andando tutto bene.
Mamma mi supportava in tutto, i miei amici di sempre mi volevano bene, la musica stava andando alla grande e i fan non mi abbandonavano.
Improvvisamente però l'altra faccia della medaglia mi si palesò davanti metaforicamente, come se dovessi pagarne il conto.
Non ebbi il tempo di soffermarmi a lungo a pensarci perché un sacco di altre domande e complimenti riempirono il silenzio.
Un'ora dopo io e Amed ci trovavamo di nuovo in strada ad aspettare un altro taxi.
Erano quasi le sette di sera.
Ormai la città era diventata buia e con lei lo diventavo anche io.
Avete presente quei film in cui il protagonista di giorno fa un lavoro e di notte diventa completamente un'altra persona?
Ecco, Ghali era questo.
Non ero un supereroe nell'accezione più bella del termine.
Ero una semplice persona che la maggior parte del tempo si dedicava alla musica, alla scrittura e a tutti gli altri classici impegni.
Solo che la notte faceva rinascere in me quella rabbia che avevo accumulato negli anni, e con lei nascevano altri sentimenti non sempre positivi.
Tutto ciò mi aveva portato a creare un circolo e ad esserne il punto di riferimento.
Quella gente mi voleva anche quando non ero me stesso, anche quando facevo cose sbagliate.
Per me anche l'amore doveva essere così, doveva esserci sempre, nel bene o nel male.
Desideravo avere al mio fianco una persona che mi volesse quando ero un angelo ma che ancora di più mi bramasse con tutto il suo essere quando sapevo trasformarmi in un diavolo.
Quando entravo nel giro più sbagliato e non stavo più dalla parte di chi subisce.
Per questo ero single.
Perché mai nessuna ragazza aveva amato fino in fondo il diavolo che si insinuava dentro di me.

Vado a casa da solo

Dissi distrattamente al mio manager per liquidarlo.
Mi fissava cercando di scrutare le mie intenzioni ma ero già dall'altro lato della strada.
Era un vantaggio essere alti e avere le gambe lunghe e snelle.
Potevo scivolare svelto nella notte celatamente.
Lo sentii mormorare qualcosa e girai l'angolo lasciandolo lì ad aspettare l'auto.
Avrei camminato molto quella sera.
Era la momentanea punizione da scontare, anche se non potevo prevedere che poi ne avrei passate di peggiori.

OGGI PIOVERÀ A GOGÒ - Ghali fanfiction Where stories live. Discover now