Chapter eight

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"Le persone parlano con sé stesse e vedono sé stesse come vorrebbero essere.
Non hanno il coraggio che hai tu di lasciarsi trasportare"

Brad Pitt - Fight Club (1999)

Michael Jackson è stato uno dei miei idoli più grandi fin da quando ero piccolo.
Mamma aveva un sacco di dischi in macchina o in casa e puntualmente li ascoltavamo tutti a ripetizione.
Era in un certo senso una figura importante.
Un uomo che aveva cambiato il mondo con le sue influenze all'interno della disco music prima, e nel pop dopo.
Un uomo carismatico e geniale che si era fatto strada nella sua passione pur avendo dovuto superare moltissime difficoltà.
Erano molte le cose che ci accomunavano pensandoci bene.
Le nostre vite avevano preso pieghe simili tutto sommato, anche se in egual parte erano presenti molte divergenze per ovvie ragioni.
Non mi sarei mai montato la testa tanto da paragonare il mio operato al suo, ma le mie riflessioni sulla personalità di entrambi, mi facevano capire che in molte cose avevamo avuto modo di percorrere una strada comune.
Ad esempio la strada della musica, era già una caratteristica simile, seppur all'apparenza banale.
Il fatto che agli esordi della nostra carriera eravamo parte di un gruppo che poi si è sciolto e ci ha visti protagonisti nel mondo dello spettacolo da soli. Oppure ancora il fatto di avere avuto alle spalle una figura paterna non troppo amorevole e da questo dover imparare a cavarcela da soli in certe circostanze.
Erano scorci di pensieri che quella sera mi frullavano in testa come pezzi di un puzzle da incastrare tra loro.
Non sempre c'era un allineamento fisso da seguire, anzi tutto il contrario.
La mia mente aveva la capacità di passare da uno stato all'altro in pochissimi secondi.
I miei amici avevano voluto passare una serata tranquilla a mangiare sushi in un ristorante di nome Sakura.
Quel termine in giapponese sta a indicare i fiori di ciliegio dal colore rosa delicato.
Non che sapessi il giapponese.
I fiori erano un'altra passione che avevo, forse non gli donavo sufficienti attenzioni come la musica o la moda, ma comunque mi piacevano.
Ero rimasto sorpreso da tutta la loro simbologia e non avevo idea che potesse trattarsi di un argomento così vasto.

Come sono andate le riprese del video?

Mi chiese il ragazzo riccio di fronte a me, mentre masticava il sashimi che adorava tanto.
Ci pensai su qualche secondo prima di rispondere con convinzione.
Alcune immagini veloci mi balenarono nella testa come flashback di un vecchio film.
Io che mangio con lo sguardo Amélie e la butto sul letto con in testa solo una cosa.
Il suo vestito corto dal colore sfumato e gli orecchini a cerchio.
Lei che fa scivolare le sue mani tra i miei capelli mentre inizia a mancarmi l'aria.
Cercai di dimenticare momentaneamente tutti quei ricordi dei giorni precedenti e risposi in modo positivo.
Il discorso prese altre direzioni e non dovetti parlare della mia vita sentimentale.
Anche perché se ne avessi dovuto parlare non avrei certamente saputo cosa dire.
Loro mi conoscevano da molto tempo, erano al corrente di tutto praticamente.
Dalle mie frequentazioni passate alle relazioni serie.
Solo non sapevano del club e delle due ragazze che in qualche modo si contendevano i miei pensieri a quel tempo.
A volte mi sentivo in colpa a non condividere le mie emozioni con qualcuno, ma non credevo che avrebbero compreso totalmente.
I miei sentimenti erano in conflitto tra loro, si era venuta a creare una situazione abbastanza impegnativa.
Tuttavia mi ritenevo in grado di tenerla a bada.
Tentavo di improvvisarmi coraggioso come un domatore di leoni da circo.
Alle donne interessava questo, vedermi sicuro dei miei mezzi.
Anche se ad un certo punto le mie sicurezze fossero diventate vacillanti, avrei dovuto mostrare esattamente il contrario con spavalderia.
La ragazza angelo era per me una continua scoperta.
Tre incontri avevano segnato le nostre prime volte.
Non sapevo come o quando l'avrei rivista perché non avevo un suo contatto.
L'avrei potuto trovare attraverso il mio manager ma non ero in grado di fingere o mentire agli altri.
Solo con me stesso ero così duro e autodistruttivo.
Continuavo a voler alzare l'asticella e se qualcosa non andava per il verso giusto mi assegnavo una punizione.
Avevo già tante pene da scontare ma ce ne sarebbero state di aggiuntive.
Lei mi regalava un senso di spensieratezza e non mi resi conto di averne bisogno fino a quando non ebbi modo di sperimentarlo.
Non mi andavo troppo a genio soprattutto per la questione del circolo, ma almeno con lei la percezione che avevo di me stesso cambiava prospettiva.
Si spostava da vincitore a vinto, da carnefice spietato a vittima sacrificale.
Nella mia testa si era innescato un meccanismo esplosivo, come una bomba a orologeria.
Potevo mandare tutto in fumo in un secondo oppure cercare di costruire qualcosa di serio per davvero.
Era iniziato tutto per gioco quella sera, avevo voglia di divertirmi, di sfogare fisicamente lo stress che mi si era accumulato addosso.
L'avevo adocchiata sperando abboccasse all'amo come una triglia.
Invece ero diventato io il pesciolino catturato e ingenuo.
Era insopportabile da un lato non avere più il controllo su qualcosa di grosso, ma avevo soltanto voglia di stare ancora con lei.
Non mi importava del suo ragazzo, in fondo non le dava sufficienti attenzioni.
Dall'altro lato pensavo all'altra ragazza che in qualche modo mi aveva preso alla sprovvista.
Era un'anima potente che portava con sé un'aura carismatica.
Ero io ad aver quasi paura e ciò mi metteva in discussione.
Il rosso dei suoi capelli mi ricordava i gironi infernali dove forse avevo già fatto un salto in molte occasioni.
Non si stava così male, soffrire per poi godere era il patto tra il diavolo e le sue vittime.
Lo sanno tutti che in fondo anche Satana era un angelo rinnegato da Dio.
Ognuno di noi può essere il bene o il male di sé stesso.
Era così bello anche provare dolore perché poi in qualche modo la vita mi avrebbe ripagato.
Un sadico gioco masochista a volte, e un perverso gioco omicida in altre.
Non volevo fare soffrire qualcuno ma inevitabilmente in qualche modo ci riuscivo.
Volevo tenere lontana Amélie dalla parte peggiore di me.
Ma allo stesso tempo volevo fargliela vedere per poterle dare modo di assaporarmi anche quando non ero perfetto.
Volevo darle modo di mangiarmi piano piano le membra e spogliarmi dagli assurdi tormenti che mi assillavano.
Quanto a Vittoria, non ero sicuro di esserne interessato sentimentalmente, ma indubbiamente ne ero attratto.
Mi rivedevo in lei ed era troppo eccitante ma anche troppo spaventoso.
Volevo farla pungere e sanguinare per togliere le mie spine, per poi alleggerire le sue paure odorandomi come una rosa.
Centinaia di distrazioni ogni giorno prendevano possesso del mio cervello.
Mi interrogavo su che cosa mamma avesse pensato di loro due nell'eventualità di un incontro.
Aveva sempre ricoperto in un certo qual modo il ruolo di giudice delle mie partner.
Se mi fidanzavo era la prima a venirne a conoscenza.
Se ricevevo anche la sua approvazione mi sentivo bene, mi sentivo completo, mi sentivo capito.
Ringraziavo ogni giorno che almeno lei mi avesse sempre dato consigli.
Nemmeno lei era perfetta sia chiaro, ma ci provava con un impegno esemplare.
Non mi aveva mai fatto mancare nulla.
Se da bambino volevo qualcosa, in qualche modo anche aspettando diverso tempo, prima o poi mi veniva dato.
Non mi aveva mai fatto pesare le mancanze o le condizioni meno agiate in cui vivevamo.
Io a mia discolpa invece, posso dire che frequentemente l'avevo fatta preoccupare, soprattutto nell'adolescenza.
Certo, magari le dicevo di stare tranquilla perché ero in grado di gestire tutto, ma lo sanno anche i muri che tra il dire e il fare c'è una grossa differenza.
Nel mio caso quasi un abisso addirittura.
Come la fossa delle Marianne.
A tratti avevo la convinzione di trovarmici dentro.
Completamente al buio, senza la mano di qualcuno che possa salvarti e con la paura di cadere sempre più in basso.
Ma se da un lato era vero che raggiunsi il fondo cadendo, era anche vero che forse quel fondale ne celava di altri.
Come se fossero tanti strati da perforare per annegare una volta per tutte negli abissi delle condizioni umane.
Senza intelletto, senza ragione.
Come i livelli di un videogioco o l'infinita moltitudine di cellule che ricoprono l'epidermide.
A pensarci bene, c'era sempre qualche fondo che ancora non avevo toccato e andava bene così.
Mi chiedevo quale massimo livello sarebbe stato in grado di raggiungere l'essere umano.
Dalla disintegrazione personale a quella di altri uomini, fino a quella di altre specie e la natura in generale.
Faceva rabbrividire.
Era terrificante la facilità con cui scoppiavano le guerre e inconcepibile la difficoltà con cui si giungeva poi alla pace.
Ma anche quella godeva di uno stato precario.
Altrettanto inconcepibile erano l'omertà o l'indifferenza con cui certi argomenti venivano trattati.
Io non volevo espormi troppo perché il mio lavoro riguardava strettamente la musica, ma allo stesso tempo cercavo di strumentalizzare la mia fama per veicolare messaggi che reputavo giusti oggettivamente.
Fare così, spesso mi aveva messo in cattiva luce per alcuni e fatto diventare un idolo per altri.
Ma in conclusione ero felice di poter essere una delle voci fuori dal coro.
"Quanto è dura questa vita da star" era uno dei principali pensieri che continuava instancabilmente a risuonarmi nella testa.

OGGI PIOVERÀ A GOGÒ - Ghali fanfiction Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz