23 - A tutti voi

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28 Giugno 2023, Firenze

Per l'ennesima volta in pochi minuti mi trovai a fissare la mia immagine riflessa nello specchio. Il mio corpo costretto in un completo elegante, blu che fasciava delicatamente le mie curve. Sopra il pantalone un top bianco con lo scollo all'americana che scopro non appena mi tolgo la giacca per il troppo caldo. Uno sguardo terrorizzato mi cadde inevitabilmente sulla tesi poggiata sulla scrivania della mia camera, alzando ancora di più il livello di ansia che provavo in quel momento.

"Bebe, smetti di tormentarti" la voce del mio migliore amico mi riportò alla realtà. Anche lui era stranamente elegante, quasi non lo si riconosceva. "Spaccherai" tentò di rassicurarmi, mentre si avvicinava a me. Io portai le braccia intorno al suo collo, stringendolo in un abbraccio che sapeva della mia necessità di conforto.

"Sento che sto per sprofondare" confessai piano sul suo collo. La sua stretta intoro alla mia vita si fece più forte, come se volesse sorreggermi.

"Invece stai per volare" rispose con lo stesso tono, mentre passava le mani sulla mia schiena per cercare di infondermi quanto più coraggio possibile. Io annuii, cercando di autoconvincermi che avesse ragione e che sarebbe andato tutto bene. Duccio interruppe quel contatto, allontanandosi piano da me.

"È ora di andare" sussurrò, quasi avesse paura che potessi crollare veramente da un momento all'altro. Ancora una volta annuii. Prendemmo tutto e scendemmo da casa, trovando il van dei ragazzi. Si erano permessi tutti di prendersi una giornata di ferie - compresi Ghera e il Barto - così da potermi supportare.

Appena i ragazzi, che aspettavano parlando tra di loro sul marciapiede, si accorsero del nostro arrivo ci accolsero con un grande boato di urla e applausi, riuscendo a strapparmi un sorriso sincero.

"Vi bacerei uno a uno, ma siete troppi e noi dobbiamo correre in università" cercai di sdrammatizzare, salendo velocemente sul van così da scappare dalle domande e dai convenevoli - che in quel momento erano l'ultima cosa che mi interessava -.

Affianco a me avevo da una parte Duccio e dall'altra Huda. Seduto di fronte a me, con le ginocchia che sbattevano contro le mie, Pietro, seduto tra Andrea e Marco. Dietro di me Gin, Jacopo e Ludo, poi Barto alla guida con affianco Dario e poi Ghera. Non appena fummo tutti su, il van partì. Ormai stavamo andando, non si poteva più tornare indietro.

Il viaggio lo passai prevalentemente in silenzio, mentre stringevo le mani dei miei due migliori amici, ridendo ogni tanto alle innumerevoli minchiate che hanno sparato Faster e Caph, i quali stavano probabilmente cercando di distrarmi e di tirarmi su il morale. Li avrei sicuramente ringraziati in un secondo momento. Pietro, invece, non ha mai spostato lo sguardo da me, ha parlato ben poco, è rimasto solo a 'controllarmi'.

Quando il van si parcheggiò sentii la tachicardia aumentare, mentre fissavo in silenzio il grande edificio. I ragazzi erano iniziati a scendere, ma la derealizzazione del momento mi lasciò lì immobile.

"Bebe" la voce del biondo attirò la mia attenzione, mentre Andrea era intento a scavalcarlo per non dover uscire in mezzo alla strada con il rischio che lo mettessero sotto. "Andiamo?" Mi porse la mano, come ad offrirsi di farmi da colonna portante durante questo momento di pura instabilità.

Gli sorrisi riconoscente, afferrai la sua mano e insieme scendemmo da quel mezzo. Ci incamminammo tutti verso la struttura. Davanti alle grandi porte trovai i miei genitori e la famiglia di Duccio. Lasciai di botto la mano di Pietro per correre tra le braccia di mio padre, cercando conforto nell'uomo della mia vita. Subito dopo abbracciai anche mia madre, beandomi di quel contatto del quale, da quando mi ero trasferita, potevo usufruire raramente. Salutai i genitori e la sorella del rosso, fingendo un sorriso per nascondere il mio tormento di quella giornata.

Back in time // FaresWhere stories live. Discover now