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«Sei il mio miglior successo, Sedici

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«Sei il mio miglior successo, Sedici.» Il Dottore mi guardava con scrupolo.

Ogni angolo del mio corpo era per lui, per le sue mani e i suoi strumenti. L'Omone non parlava, ma mi teneva d'occhio. Non aveva più avuto il permesso di toccarmi, dopo che mi aveva rotto un braccio.

«Voglio fare di te qualcosa di potente e pericoloso. Una bomba pronta a esplodere, portando con sé tutto ciò che impara ad amare.» Il suo dito percorse la mia spina dorsale, dalla nuca fino alla base della schiena. Nuda. «Senza di me, non sopravvivrai mai. E io userò contro di te ogni briciolo di bontà che troverai nel mondo. Ti romperò e rimodellerò per come ti voglio. Un'arma perfetta.»

Non osai sbattere le palpebre. Lui non voleva. Quando la porta si aprì, entrarono due figure. Un uomo e una donna, troppo familiari per essere due persone a caso: mamma e papà.

«Guardali, Sedici. Ti hanno amato e tu li hai fatti solo soffrire.» I loro volti, a guardarli meglio, non erano come le foto che aveva trovato Riri. «Devi liberarli da quel dolore.»

Il dito riprese la sua strada, percorrendo all'inverso la mia schiena. M'impedì di concentrarmi su altro che non fosse quel movimento. Si fermò tra le mie scapole e s'ingrandì. Non era più solo una falange. Sembrava rotonda e con un buco al centro. Sentivo freddo in quel punto. Gli occhi iniziarono a bruciare e dovetti sbattere le palpebre un paio di volte. Di fronte a me non c'erano più i miei genitori. Al loro posto, mi guardava un ragazzo dai capelli lunghi e scuri. Il mezzo sorriso che mi rivolgeva sempre non esisteva più sul viso. Era terrorizzato e il suo sguardo cadde su qualcosa che tenevo in mano.

Un'arma.

«Spara, Sedici.» Chiusi gli occhi e tutto ciò che sentii fu uno scoppio.

Aprii gli occhi di scatto e mi sollevai a sedere. Mi guardai le mani con urgenza, il fiato pesante che sconquassava il petto. I palmi erano vuoti e io ero vestito. Sospirai, provando a regolare il mio battito frenetico. Inspirai e trattenni il fiato, quel che bastava per sentire i battiti rallentare. Portai indice e medio della mano destra sul polso sinistro. Contai i battiti e rilasciai aria. Ripetei la sequenza un'altra volta e mi sentii più calmo. Voltai il viso verso il lato di letto dove dormiva Trevor. Ero sollevato dal fatto che dormivo sopra le coperte, così non potevo disturbarlo troppo con i miei incubi. Purtroppo, però, lo trovai a occhi aperti, seduto con la schiena contro la testiera del letto. Aveva il viso stanco. Dovevo averlo svegliato da pochi minuti.

«Stai bene?» sussurrò.

Non mosse un muscolo. Non mi toccò. Ne fui estremamente grato: non sarei riuscito a sopportare il tocco di qualcuno al momento. Nemmeno il suo. Scossi la testa e abbassai lo sguardo. Una cosa che mi aveva insegnato il Dottore, era la sincerità. Se non fossi stato sincero, sarebbe stato peggio per me e non erano le cinghiate a spaventarmi. Nemmeno una doccia gelida. Erano le sue mani, oltre a quello che faceva al mio corpo, che io non potevo sopportare. Quelle punizioni erano le peggiori.

The Voices I've LostWhere stories live. Discover now