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Il giorno in questa casa era diventato un incubo

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Il giorno in questa casa era diventato un incubo. Già dalle prime luci dell'alba gli occhi mi dolevano e le vetrate, che la notte prima mi avevano reso poco più libero, ora mi recavano sofferenza. L'unico posto senza così tanta luce era il bagno. Avevo scritto di fretta un avviso a Trevor sul mio libro, bloccandolo aperto con il bicchiere nel posto in cui avevo dormito, poi mi ero nascosto in una cabina trasparente contenente tubi di metallo. Era l'unico angolo che non mi faceva venire voglia di cavarmi i bulbi oculari. Non seppi quanto tempo passò, prima di vedere la sua figura sulla soglia.

«Perché sei qui?»

Avevo con me il cellulare, nuovo riflesso dovuto all'episodio della sera precedente.

La luce mi fa male.

Trevor lesse le mie parole e si spostò verso la piccola finestra presente nella stanza. Prese uno degli asciugamani e lo appoggiò ai vetri che davano all'esterno. Quando l'unica fonte di luce era quella che proveniva dalla porta, riuscii ad aprire di più le palpebre. La penombra era molto meglio. Speravo che questo problema mi sparisse il più in fretta possibile, se mai mi sarebbe scomparso. Il Dottore avrebbe monitorato i cambiamenti del mio sistema nervoso e avrebbe fatto preso precauzioni in caso di esiti negativi. Ora che ero fuori da quelle mura, cosa sarebbe potuto accadermi?

«Va meglio?» La leggerezza con cui Trevor si rivolgeva a me, riusciva a farmi stare bene, quanto accapponarmi la pelle.

Ero abituato a pensare che quando qualcuno era gentile con me, volesse farmi soffrire. Annuii, prima di guardare il piccolo spazio in cui mi ero rifugiato.

«Questa è una doccia. La si usa per lavarsi. Vuoi provarla?» chiese il ragazzo, abbastanza lontano da farmi sentire al sicuro.

Riportai i miei occhi su di lui e lo studiai per un attimo. Sotto le ciglia inferiori la pelle era scura e gonfia, mentre delle piccole righette circondavano gli angoli esterni degli occhi. Sembrava stanco e preoccupato. Presi il cellulare.

Ti ho svegliato di nuovo?

«Non preoccuparti. Non sono mai stato una persona che dorme molto.» mi sorrise appena, poi indicò di nuovo la doccia. «Vuoi provare a lavarti? Ti faccio vedere come funziona?»

Sospirai e annuii di nuovo. Addosso sentivo ancora l'odore della mia camera. Speravo solo che la doccia fosse diversa da come mi lavavano in quel laboratorio. Il sorriso di Trevor si ampliò appena e mi avvisò che si sarebbe avvicinato. Mi mostrò qualche flacone, che contenevano saponi profumati. Mi spiegò che andavano strofinati sulla pelle nuda oppure sui capelli e poi sciacquati con l'acqua. Poi portò la nostra attenzione su un becco che usciva dal muro. Disse che girandolo da una parte e dall'altra potevo avere acqua calda o fredda a mio piacimento. Era tutto così strano. L'omone che si prendeva cura di me mi lavava in altri modi. Aveva una lunga canna da cui usciva acqua gelida in ogni periodo dell'anno e, quando non era abbastanza, strofinava una ruvida spugna lungo tutto il mio corpo. A volte lo faceva con così tanta violenza da lasciarmi graffi e lividi, oltre ad alcune irritazioni che infastidivano il Dottore.

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