CAPITOLO 16 - Vita

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Lilith

Tutto era molto confuso. Le uniche sensazioni che provavo erano nausea, sballottamento e tepore. Riuscivo a malapena ad aprire gli occhi, ero debole, ma presto capii che mi trovavo tra le braccia di Seth: ero al sicuro. Stava correndo. Ricordai all'improvviso il motivo per cui la nostra gita romantica era stata drammaticamente interrotta. Ma in quel momento ero talmente stordita da non avere il tempo di preoccuparmi per niente. Dopo un po', percepii Seth rallentare il passo e salire delle scale. Il rumore di una porta che si apre, una serie di voci che riempiono un ambiente chiuso, ed ecco che, dalla mia vista offuscata, capii che ci trovavamo in casa Cullen; doveva essere passato tanto da tempo da quando ero svenuta. Seth mi adagiò lentamente sul divano e subito vidi comparire di fronte a me il volto sfocato di Carlisle che mi scrutava visibilmente preoccupato. Stava cercando di attirare la mia attenzione, ma le mie palpebre continuavano ad essere pesanti e non ero in grado  di palesare reazione alcuna. Mi sentivo uno straccio, ma pian piano la mia mente stava ricominciando a lavorare. Ricordai perfettamente di aver di nuovo vomitato dopo la caccia, il che probabilmente mi aveva portato a perdere i sensi. Questo significava forse che non sarei più stata in grado di nutrirmi?

«Come ti senti?», domandò Carlisle, avvicinandomisi con una sacca di sangue. Nel frattempo mi ero ripresa. Ero seduta sul divano, composta, le mani sulle ginocchia, tra Seth e zia Esme. L'afferrai, tuttavia dedussi che bere dopo aver appurato che il sangue mi faceva un determinato effetto non sarebbe stata la migliore delle idee. Osservai ancora quella sacca dal liquido succulento per qualche istante, dopodiché l'adagiai delicatamente sul tavolino da salotto di fronte a me, sospirando. Carlisle comprese la situazione e decise di portare via la sacca e riporla nel freezer.
«Se non riesco a mangiare morirò. Cosa mi sta succedendo?», gli domandai, allarmata ma con voce flebile, non appena tornò dalla cucina.
«È giunto il momento di fare degli esami più approfonditi.», asserì lui. «Venite, andiamo di sotto dove ho tutta la mia attrezzatura, così potrò in qualche modo vederci chiaro.» Poi si avvicinò e mi tese la mano per aiutarmi ad alzare. Per fortuna riuscivo a stare in piedi e a camminare. Scendemmo tutti e quattro le infinite scale a chiocciola che portavano allo studio di Carlisle, munito di un'infinità di attrezzature mediche all'avanguardia. Sembrava proprio una sala ospedaliera multifunzionale. Mi fece togliere la maglietta e sdraiare su un lettino. Cominciò così a tastarmi l'addome, mentre percepivo su di me gli sguardi di Seth e zia Esme, ansiosi che Carlisle desse loro delucidazioni sulla mia condizione. Ma si limitò a scuotere la testa, così come all'ecografia successiva su addome ed utero, all'ispezione della gola e palpazione della schiena. Niente. Non c'era nulla di strano. Ormai avevo perso le speranze. Dopo che Carlisle ripose in un cassetto lo stetoscopio con cui mi aveva appena ascoltato il petto come ultima spiaggia, quasi come per trovare in me l'anomalia di un cuore palpitante, mi tirò giù la maglietta. A quel punto, mi preparai a scendere dal lettino. Mi sistemai sul bordo e appoggiai il primo piede sul pavimento di marmo, pronta mettermi in piedi. Ad un tratto, però, notai Carlisle cominciare a gesticolare nervosamente e a farneticare. Come se gli fosse venuto in mente qualcosa. Subito cominciò a cercare compulsivamente dentro ad un altro cassetto sotto quel macchinario con cui aveva eseguito le varie ecografie, ma improvvisamente si fermò e, cercando di mantenersi il più composto possible, rivolse lo sguardo verso la zia.
«Esme, cara...», pronunciò «ti dispiacerebbe accompagnare Seth al piano di sopra? Aspettateci lì, devo fare un ultima visita a Lilith».
Entrambi si guardarono disorientati. Io, confusa quanto loro, continuavo a far rimbalzare gli occhi prima su loro, poi su Carlisle. Ma, senza fare ulteriori domande, i due salirono le scale, dopo che Seth m'ebbe dato un frettoloso bacio sulla fronte. Al che mi rivolsi a Carlisle.
«Che succede?», domandai, mentre era intento a preparare in fretta uno strumento affusolato che stava abbondantemente ricoprendo di gel.
«Ti devo fare un'ultima ecografia. Ma questa volta, beh... interna. Lilith, ho bisogno che ti sdrai sul lettino e togli pantaloncini e mutandine».
Io sbarrai gli occhi, ma acconsentii. Un po' in imbarazzo, feci come mi era stato detto. Ad un tratto, percepii quell'aggeggio penetrarmi delicatamente, ma arrecarmi non poco fastidio.
«Questa si chiama ecografia transvaginale», spiegò, mentre muoveva l'affare dentro di me e contemporaneamente guardava il monitor di fronte. «Mi permetterà di dare un'occhiata al tuo utero in modo più chiaro e rilevare eventuali anomalie non visibili da una semplice ecografia esterna. Ho bisogno di togliermi un dubbio una volta per tutte».
A quel punto, Carlisle cominciò a guardare con più attenzione lo schermo, premendo nel frattempo dei tasti sottostanti, come se fosse una specie di computer, mentre io non gli toglievo le pupille di dosso, in attesa di una qualche sua reazione. Dopo qualche secondo, lo vidi sollevare un sopracciglio e subito dopo spalancare occhi e bocca. Aveva trovato qualcosa. Io sollevai leggermente la testa per cercare di tentare di vedere quello che lui vedeva, per cercare di capirci qualcosa.
«Non posso credere a quello che vedo», asserì stupefatto. Io continuavo a non comprendere. Allora Carlisle ruotò il monitor verso di me e cominciò ad indicare lo schermo.
«Vedi tutta questa parte nera?», chiese, compiendo rapidi movimenti circolari con l'indice. «È il tuo utero. Ora vedi questo puntino bianco al centro? Ecco, è una piccola camera gestazionale. Sei incinta, Lilith!».

La rivincita in amore di Seth ClearwaterWhere stories live. Discover now