Le luci blu dell'ambulanza su cui avevano caricato Jessica Bristol illuminavano gli alberi secolari che circondavano il gazebo ormai svuotato dall'allegra festività di poche ore prima.
Quelle stesse lucine mi riportarono alla mente un'altra scena, quella dell'incidente di Peter.
« Te lo ripeto un’ ultima volta Alex ...» Frederick mi si strinse accanto  mentre mi sistemava sulle spalle la coperta che mi avevano dato per il freddo. 
Il rombo di un tuono mi riportò alla realtà.
« ... cosa ci facevi in quella parte del bosco? »
Fissai gli occhi limpidi di Luke Rogers.       Erano così azzurri che sembrava di rispecchiarsi in un cielo senza fine.
Lui e Mindy non si assomigliavano molto per essere fratelli.
Lui era tanto chiaro e possente quanto lei era scura e flessuosa.                                Mindy era poco lontano, un altro poliziotto le stava facendo bere qualcosa di caldo dentro l'auto di Luke, e lei lo fissava come se fosse un fantasma.             «Te l'ha già detto ... cristo non vedi che è sconvolta?» tuonò Frederick stringendo le dita intorno al mio braccio. « ... stava solo cercando Mindy per tornare a casa! » non lo avevo mai sentito usare quel tono così minaccioso.                                   Luke s'irrigidì puntando un dito verso lui.                                                                «Un'altra parola Child e ti faccio allontanare! dev'essere lei a rispondermi.» Frederick si fece avanti per strattonare Luke ma mi misi repentina in mezzo.                                       « È come ha detto Frederick vice sceriffo ... » sapevo bene del rapporto problematico fra lui e Mindy e avrei risparmiato volentieri alla mia amica una lavata di capo da quello stronzo perfettino che non faceva che ricordarle quanto fosse inadeguata nella loro famiglia.                                                             Era diventato vice sceriffo da un paio d'anni, almeno da quando aveva lasciato casa di Mindy e della sua famiglia.
Ne aveva fatta di carriera, diventando il ragazzo più rispettato della città e il più giovane voce sceriffo della storia di Dreadhole.
« ... Io avevo bevuto un po' troppo e Mindy si era allontanata un momento per i suoi bisogni da donna» risposi omettendo tutta la storia di Damian.
Lui storse il naso e lanciò un'occhiata verso la sorella.
I loro sguardi s'incontrarono, e fu in quel minuto , quando l'aria fra loro vibrò che mi ricordai che Luke e Mindy non erano veri fratelli.
Lui si accorse del mio sguardo su di loro e si schiarì la voce aspettando che continuassi.
« ... così l'ho cercata nel bosco dove mi avevano detto di averla vista. L'ho trovata e mentre tornavamo indietro siamo inciampate sul corpo di Jessica. »
Lui portò le mani sul fianco sgualcendo un po' la sua uniforme di un beige perfetto.
«Sai dirmi se c'è qualcuno che possa confermarmi il tuo alibi? »
Lo guardai confusa.
« Si » mi guardai intorno per cercare con lo sguardo Joseph e Naomi, ma incrociai solamente la figura di Damian che preoccupato si era avvicinato a Mindy. Paragonato a Luke non sembrava più così stronzo.
« È stato Damian a dirmi dove trovare Mindy. » risposi indicandolo e facendo trasalire il bel mulatto.                               Tutti erano a conoscenza delle rudi maniere che Luke riservava per chi si avvicinava troppo alla sua sorellina.
Luke annuì e andò per voltarsi verso di lui, ma Fred lo fermò per un braccio.
« Alibi? Alex è accusata di qualcosa? »
Luke resse il suo sguardo e gli scostò malamente la mano dal braccio.
Poi si rivolse direttamente a me.
«ovviamente no  che non sei indagata Alex, ma c'è un indagine in corso e sarò onesto, in questo momento ogni più piccolo dettaglio sarebbe utile per capire qualcosa sulla scomparsa di Jessica e sull'inspiegabile incidente di Peter... almeno finché Jessica non si sveglia e non sarà in grado di spiegarci il suo punto di vista»
Rimasi allibita, cosa significavano quelle parole.
«C'è un indagine anche sull'incidente di Peter? »
Lo sguardo di Luke si addolcì per un momento.
Era inutile negare il fatto che non conoscesse il rapporto stretto che io e Peter condividevamo, lo aveva vissuto lui stesso, ancora prima di diventare il vice sceriffo, quando ancora si divertiva ad unirsi alle nostre scorribande.
E fu a questi sentimenti che mi aggrappai.
« Luke ti prego ... » la mia voce tremò .
In un momento pensai a quella  sera, alla macchina sconosciuta, al Peter che vi era salito sopra, se avessi raccontato tutto forse lui mi avrebbe creduto, forse avrei potuto vedere un medico, capire i miei ricordi, ma Fred poggiò la sua mano sulla mia spalla fermando i miei pensieri e Luke si dileguò con un semplice invito.
« ... stanne fuori Alex , ci pensiamo noi. » Luke mi aveva riportata a casa, e sotto lo sguardo preoccupato dei miei genitori, aveva raccontato del ritrovamento di Jessica e che avrebbe chiuso un occhio sul mio stato d'ebrezza.                                   Nonostante la vergogna e il dolore della conferma da parte della polizia, di un eventuale relazione tra Peter e Jessica, quello che non mi fece chiudere occhio fu il ricordo di quella corsa nel bosco e di quell'ombra che ormai avevo la certezza mi seguisse dappertutto.                                Perché avevo la strana sensazione che fosse a causa di quell'ombra sconosciuta che avessimo ritrovato la Bristol. Quando avevo visto il viso di quella ragazza riversa nella fanghiglia, quando poi avevo riconosciuto il volto di Jessica, per un attimo, forse anche meno, avevo desiderato che fosse morta.                           Pochi attimi dopo mi ero pentita amaramente di quei pensieri, ma rivedere il suo viso, mi aveva fatto ricordare tutto quello che quella sera stavo cercando di seppellire, nell'alcool e in Joseph.                                                           Il fatto che fosse tornata viva da chissà quale inferno mi aveva resa furiosa.          Perché non poteva essere Peter a tornare indietro?  L’odore della fanghiglia mischiata all'odore ferruginoso del sangue di Jessica sembrò tornarmi alle narici prepotentemente.                                Ripensai alle parole di Luke.                         La polizia a quanto pareva stava indagando sull’incidente di Peter.                                                                                       Mi chiesi cosa poteva averli indotti al pensiero che non fosse stato casuale. Come ormai troppe volte mi ero abituata a fare, mi ritrovai ad osservare il mondo continuare a vivere fuori dalla finestra della mia stanza, domandandomi quando io avrei ricominciato a farlo. Ero così stanca di tutti quei pensieri. Prima Peter, ora la Bristol, poi l'ombra. Quando sarei tornata ad avere il pieno controllo della mia vita?   Il telegiornale locale, dalla tv annunciava che le condizioni di salute di Jessica ormai sembravano stabili e che si trovava ricoverata al St. Mary Hospital.
Presi un respiro e la spensi pigiando un tasto sul telecomando. Osservai il display sul mio telefono.  Scoppiava di notifiche e di chiamate che volutamente ignorato. Persino la signora Hastings ne contava ben cinque, ma con quale faccia avrei potuto risponderle.
Pensai al ritorno a scuola del lunedì.
Non avrei retto nuovamente agli sguardi indagatori e alle cattiverie di Maggie, proprio ora che tutto sembrava star tornando alla normalità.
La storia sulla soffiata dell'anonimo ora era di dominio pubblico e metteva in forse un eventuale relazione fra Peter e Jessica.
Il fatto che fossi stata proprio io poi a ritrovare Jessica, grazie a tutte le cazzate che Maggi aveva diffuso su me e Peter, mi metteva sotto lo sguardo di tutti.
Chissà se mi avrebbe messo anche sotto lo sguardo dell'indagine di Luke.
Gettai il telecomando con rabbia sul letto ed afferrai la giacca.
Avrei approfittato della bella giornata per restituire all' "O'Clock", la libreria dove avevo lavorato part-time, quei libri che avevo preso in prestito e non avevo più finito.
Fare qualcosa mi avrebbe sicuramente aiutato a non pensare ed ero troppo satura d'informazioni per rimettermi a studiare.
Uscì in corridoio e scesi le scale fermandomi poco prima d'oltrepassare l'arco che dava sulla cucina.
Mio padre e mia madre erano lì e stavano discutendo per l'ennesima volta.
Quella notte non si aspettavano certo di vedermi arrivare a casa scortata da Luke nella sua auto da sceriffo. Lui ovviamente li aveva messi al corrente di tutto .
«Ha solo bisogno di tempo. » sentì la voce di mia madre che stanca, stava prendendo ancora le mie parti.
La sua voce così flebile ed irritata, lasciava trasparire quanto fosse dura per lei avere lì mio padre, sotto lo stesso tetto, dopo tutto quello che avevano passato.
Il tradimento, il divorzio, sapevo bene che fossero ferite che mia madre si portava ancora dentro, e che probabilmente non sarebbero mai guarite del tutto.
« Gli e ne abbiamo già concesso abbastanza, e a cosa è servito se non a cacciarsi in un altro guaio? »
Nonostante non potessi vederli avevo chiara la scena in mente.
Mia madre indaffarata al bancone di fronte alla finestra a preparare un altro dei suoi the rilassanti, e mio padre spazientito che tamburellava le dita sul tavolo della cucina.
Era tutto come quattro anni prima.
« sta rischiando di perdere l'anno, forse dovremmo trovarle un aiuto » concluse nervoso.
« Mia figlia non è pazza, non ha bisogno di uno dei tuoi strizza cervelli, tu non la conosci» s'innervosì mia madre.
« Perché tu si? » ribatté spavaldo Lawrence.
Un malessere incomprensibile, un peso sullo stomaco mi fece stringere forte i pugni.
Era sempre stato così, anche prima del divorzio i miei avevano sempre litigato per questioni che mi riguardavano, persino la donna con cui mio padre aveva sostituito mia madre era legata a me.
Ci fu un minuto di silenzio prima che parlasse di nuovo.
« Clary ascolta ... » disse un po' più calmo.
« ... ha delle allucinazioni, crisi di panico, e adesso è pure tornata a casa ubriaca e scortata dalla polizia. Si sta completamente isolando dal mondo. Alex ha bisogno d'aiuto»
« ha solo bisogno di un paio di giorni... Tu lo dici solo perché così puoi tornartene a Seattle, alla tua bella vita » lo accusò lei.
« Alex è mia figlia, come puoi dire questo?» chiese agitandosi di nuovo.
« Bè non mi sembravi così preoccupato quando ti scopavi la sua insegnante! » mia madre urlò ed io, stanca di quelle discussioni gettai i libri a terra, spalancai la porta e mi fiondai fuori casa.
Non importava dove stessi andando, o le voci dei miei genitori che mi richiamavano, in quel momento l'importante era solo quello di fuggire via.
Avevo corso e pianto così tanto che senza neanche accorgermene mi ritrovai a passeggiare per Hill Street, con la testa piena di confusione e il cuore pesante come un macigno.
Il sole riscaldava quel gelido mattino di dicembre, e le vetrine, come il resto della città, erano state addobbate in previsione delle feste natalizie.
Lo scorso natale, mia madre era dovuta partire per lavoro con pochissimo preavviso, Jake era a Seattle dai suoi nonni ed io avrei preferito rimanere da sola piuttosto che andare da mio padre.
Peter l'aveva saputo ed aveva insistito così tanto, che alla fine avevo passato il natale con lui e la sua famiglia. 
Arrivai davanti la vetrina della libreria, ma nella fuga avevo lasciato cadere i libri che avrei dovuto restituire.
Il giaccone che indossavo copriva a mala pena la larga felpa da casa e i jeans logorati .
Quando mi sentivo persa a quel modo, quando sentivo i litigi tra i miei al telefono o quelle rare volte che mio padre veniva a trovarmi, Peter era sempre lì, pronto ad ascoltare ogni mio silenzio.
Adesso che anche lui era diventato causa del mio dolore non sapevo dove andare.
Mindy era la mia più cara amica, conosceva quella situazione ma da quando era partita per l'Erasmus era cambiata, come se percepissi dentro di lei conflitti più profondi dei miei.
Conflitti che avevo intuito la sera prima negli sguardi fra lei e il fratellastro.
Trattenni un singhiozzo e osservai la mia figura riflessa nella vetrina.
I corti capelli scompigliati dietro un orecchio, gli occhi arrossati dal pianto, le labbra screpolate.
Come mi stavo riducendo? Altre lacrime rigarono il mio viso.
Se ricordavo la me che aveva lavorato in quel posto, alla me prima d'innamorami di Peter Hastings, non sapevo che pensare.
Capelli e trucco sempre apposto, vestita bene e convinta che avrei ottenuto tutto quello che desideravo.
La vita mi aveva sbattuto in faccia quanto potessi sbagliarmi.
Adesso sembravo solo la versione rotta di una me del passato.
Gli occhi erano gli stessi, anche il colore dei capelli e l'altezza, ma dentro ero qualcuno di completamente differente.
Una persona che non sapevo se si sarebbe mai potuta aggiustare.                    Il telefono nella tasca dei pantaloni squillò. Lo tirai fuori e lèssi il nome sul display. Scelsi d’ignorarlo.
Mi allontanai subito dal negozio prima che mi riconoscessero, ma incrociai lo sguardo di Frederick con il telefono all’orecchio che sapevo bene stesse chiamando me.
Cercai di asciugarmi velocemente gli occhi, ma il suo sguardo accusatorio arrivò prima.
A pochi passi da me rallentò e mi venne incontro con calma.
« Bone ... » disse piano mentre mi faceva scivolare fra le sue braccia.
Come se non potessi più sopportare nulla mi lasciai avvolgere scoppiando in un pianto devastante che mi lacerava all'interno.
« Ti avevo detto di chiamarmi ...» s'innervosì accarezzandomi i capelli. «... Sali in macchina» il suo tono non ammetteva obbiezioni e io mi lasciai guidare da lui tra un singhiozzo e l'altro.
Quando ci fermammo riconobbi il vasto posteggio del Christ Church. Lui spense la macchina e si passò una mano fra i capelli blu prima di poggiare un gomito sul volante e guardarmi.
Aveva l'aria irritata e il suo giaccone di pelle nera era sgualcito sul maglione dello stesso blu dei capelli.
Cercai di ricambiare il suo sguardo.
« Scusami Fred io ...»
«Ti avevo detto di chiamarmi! » mi disse con la voce spaccata.
« Hai idea di quanto sia stato in pena per te? Avevo paura che Luke ti avesse riempito la testa con le sue fissazioni.» le sue parole mi lasciarono un momento interdetta.
Non era da Fred comportarsi a quel modo, ma non ero in grado di fronteggiare i suoi sentimenti in quel momento e riuscì solo a chiudermi come un riccio.
Doveva riferirsi ancora alle sue supposizione.
« mi dispiace ... » fu l'unica cosa che riuscissi a dire.
« Non fare così. » mi disse di nuovo con lo stesso tono perentorio di prima.
« Così come? » sbottai .
« Non chiuderti Bone, non con me . Ormai siamo l'unica cosa che ci rimane di Peter.» per un momento i nostri occhi s'incontrarono e le mie lacrime non poterono far altro che cadere un'altra volta.
Una fredda pioggerellina cominciò a cadere sul tettuccio dell'auto producendo un rilassante ticchettio.
Fred strinse con forza il manubrio dell'auto.
Cercò di calmare il suo respiro affannato e di nascondere gli occhi divenuti lucidi.
«Ormai sembra quasi che siamo gli unici a ricordarci che sia esistito. » la sua voce risuonò così spezzata che mi sembrò di sentire l'eco della mia.
Sollevai le gambe al petto e le avvolsi con le braccia cercando di fermare quelle maledette lacrime.
Lui inspirò per un momento e quando si fu calmato sollevò una mano verso il mio capo accarezzandolo piano.
« forse è meglio così ... andare avanti è l'unica cosa che ci resta da fare infondo. »
Una rabbia incomprensibile mi fece quasi rigettare.
Quel senso d'impotenza, il fatto che nessuno dei due potesse far niente per far tornare indietro Peter, per far tornare indietro quel tempo in cui eravamo insieme. Era soffocante.
Un costante e opprimente macigno che aveva segnato le nostre vite per sempre .
Non importava quanto avremmo provato a dimenticare.
« Mi dispiace.» ripetei sinceramente.
Per la prima volta dopo molto tempo, stavo finalmente ammettendo la mia maschera.
Lui si voltò a guadarmi.
Era come se capisse cosa intendessi.
Lui tornò composto sul sedile e si sistemò i capelli.
« Bè non posso dire di non poterti capire. » le nostre labbra si sorrisero per un momento.
Non sapevo cos'era , ma sentivo come un legame tra me e Fred, come se fossimo le due facce di una stessa medaglia.
Fino a quel momento troppa occupata dal mio dolore , non mi ero resa conto di quanto c'è ne fosse nei suoi occhi color smeraldo e di quanto la sua voce si spezzasse ogni volta che nominava Peter.
Se pensavo agli anni passati, alle feste, alle uscite con il gruppetto dell'elite di Dread Hole, mi ero sempre chiesta perché Fred, più occupato a leggere poesie e libri che a divertirsi con noi, non mancasse un'avventura.
Ero sempre stata troppo occupata a difendere la mia maschera per capire che probabilmente non ero l'unica a portarla.
« Che ci facciamo qui? » chiesi cercando di cambiare discorso.
Lui mi lanciò un occhiata ma evitò di continuare la discussione.
«Non hai risposto alle chiamate della signora Hastings? La madre di Peter mi ha chiesto di andare a recuperare alcune delle sue cose nel dormitorio della Christ Church, ha detto che avrebbe chiesto anche a te. » disse nervoso.
Poi scese dalla macchina senza neanche aspettare una risposta. « Ci metterò un po', aspettami qui. »
Osservai il suo passo deciso mentre si allontanava.
Nonostante il gelo dell'inverno la pioggia smise presto ti cadere, lasciando posto a una bella giornata di sole.
Un caldo soffocante cominciò ad attanagliare l'auto di Fred.
Frederick era sempre stato un buon amico su cui contare per Peter.
Perderlo doveva essere stato un dolore insopportabile anche per lui, eppure cercava di dissimularlo continuamente.
Mi aveva vista per strada distrutta e mi aveva trascinata con lui pur di non lasciarmi sola, anche se non sapeva cosa dire o come farmi parlare, probabilmente perché stava provando quello stesso dolore in quel momento.
Per un attimo immaginai Fred, dentro la stanza di Peter accovacciato fra le sue cose e con il volto rigato dalle lacrime.
Senza pensarci troppo e ignorando la nausea che stava per cogliermi, chiusi la macchina e m'inoltrai nel campus.
L'atrio del Christ Church era sfiorito e incolto, ed il freddo si faceva sentire fin dentro le ossa facendomi dimenticare il caldo soffocante dell'auto.
Entrai per il grande porticato e lo vidi fermo alla reception del custode.
In quel campus c'era sempre stata un aria tranquilla che avevo sempre amato.
Il via vai degli studenti, i fiori, il prato.
Era come se sapesse di libertà.
Osservai una stradina sul retro che dava ai dormitori.
Passava proprio sotto un arco da cui grondava dell'edera che in primavera si abbelliva di piccoli fiori rosa.
Quante volte Peter durante la notte mi aveva fatto sgattaiolare nel suo appartamento dal rampicante sotto la sua finestra.
Sorrisi a un nuovo ricordo ma il pensiero di Jessica distorse tutto.
Poco lontano notai un ragazzo che mi sembrava conoscente.
Osservai le spalle larghe e i capelli un po' scarmigliati.
« Joseph ? » lui si voltò di scatto sorpreso di vedermi lì.
« Alex .» sussurrò sbalordito.
Mi avvicinai a lui squadrando i jeans neri aderenti e la felpa della Duff di un verde scuro.
  «dovremmo smetterla d’incontrarci così.» lo disse con un tono canzonatorio, come se fossimo due sconosciuti che non facevano altro che imbattersi l’uno sull’altro fastidiosamente e non come due ragazzi che la sera prima si erano tenuti per mano e si erano scambiati delle confidenze. Ripensai alla sera prima e come si fosse dileguato all'arrivo della polizia.                                                        La verità era che non potevo fidarmi di nessuno, avrei dovuto capirlo ormai.
Si portò una mano fra i capelli scalati e mi rispose.
« è la prima volta che ti vedo qui? Anche tu hai intenzione di fare il salto? »
« Salto?» chiesi interessata.
« Quindi non sei un universitario in piena regola?»
Vidi le sue gote e le punte delle sue orecchie tingersi lievemente di rosso.
« Sono due anni avanti. Credevo che Naomi ve l'avesse detto.» rimasi senza parole.
« Due anni? Sei più piccolo di me?» lui tossì cercando di trattenere l’imbarazzo di uno che si era fregato da solo.
Nonostante il carattere scontroso e lunatico il suo viso era bellissimo, ed io ... Io ero inguardabile.
« Compio diciassette anni questo Gennaio.»
Una risata mi si strozzò in gola mentre con una mano cercavo di sistemare i corti capelli che avevo lasciato un po' spettinati.
« E come mai sei così avanti se posso chiedere? »
Si scompigliò ancora una volta i capelli con un mano.
A quanto pareva lo mettevo a disagio.
Non sapevo perché ma la cosa mi faceva piacere.
« Sembra che qualcuno pensi che sia un bravo pittore, ed essendomi distinto anche nelle altre materie, mi hanno offerto questa opportunità»
« Wow ! » dissi davvero entusiasta.
« Anche io un tempo dipingevo. » dissi sincera.
« Adesso non più? » chiese curioso.
« No, non più » Abbassai gli occhi e feci cadere l'argomento.
Lui mi guardò capendo d'aver toccato un tasto dolente.
« cosa fai da queste parti allora? »
Mi ricordai il motivo per cui ero lì.
Abbassai gli occhi e gli indicai Frederick che ci aveva adocchiato.
« La Signora Hastings ha chiesto a Frederick di sgombrare la camera di Peter. Io lo accompagno.» risposi omettendo le tragedie che mi avevano portato lì con Fred.
« Oh ...» rispose incupendosi.
« eravate molto legati vero? »
Sollevai lo sguardo sul suo bel viso.
Non sapevo come rispondere quando mi ponevano quella domanda.
« Era il mio migliore amico.» involontariamente intrecciai le mani e abbassai il viso.
« Mi dispiace per ieri sera .» disse improvvisamente.
« sarei voluto rimanere, ma Naomi era così ubriaca che avevo paura potesse avere delle conseguenze, intendo con la polizia ecc. »
Alzai le spallucce.
« non preoccuparti ... Fred era con me .»  « lo so ... » vederlo trattenere un lieve spasmo della mascella mi diede un insolito piacere.
«... ma avrei voluto esserci.»
Joseph senza pensarci allungò una mano verso le mie e le strinse forte, proprio come aveva fatto la sera prima nel bosco. Senti nuovamente quella sensazione di calore e di legame che mi attraversava ogni qualvolta ci capitava di sfiorarci.
Rimasi un secondo ad osservare le nostre mani intrecciate.
Sollevai lo sguardo e come se si fosse accorto solo allora di quello che aveva fatto, tirò indietro la mano.                   Non lo capivo.
Quel suo essere burbero, poi subito dopo premuroso e gentile per tirarsi indietro pochi secondi dopo non faceva che infastidirmi.
« Joseph ... dai vieni.» Joseph si voltò e vidi una ragazza più o meno della sua età che lo chiamava da poco lontano.
Era carina, occhi scuri, caratteristici capelli ramati e una tempesta di lentiggini sul nasino dritto.
Lui s'infilò le mani in tasca e mi sorrise.
Che fosse la sua ragazza?
« Devo andare.»
« Vedo ...» risposi un po' acida.
« Alex?» Fred mi chiamò a mia volta e fece un gesto di saluto decisamente glaciale verso Josh.
« Bè ci vediamo.» risposi ironica beccandomi un occhiataccia dalla Ginger.
Fred mi condusse verso il dormitorio.
« Una nuova conquista? » chiese ironico.
« Sei geloso Child ? » rise.
« Potrei Bone. » sorrisi divertita, poi lui si fermò di scatto.
« Sei sicura? » mi chiese sfiorandomi una mano.
« Si ... posso farcela.» risposi senza fiato.   
Fermi di fronte la camera 102 ci chiedevamo cosa avremmo trovato al suo interno.
In realtà io lo sapevo bene.
Al contrario della camera a casa dei suoi genitori, la stanza che Peter aveva lì mi era sempre parsa molto ordinata e pulita.
L'unica nota negativa erano le sigarette che teneva nel cassetto e che tirava fuori quando mi faceva intrufolare illegalmente.
Fred si decise ad aprire la porta.
Al contrario di ciò che avevo predetto, era completamente in disordine, come se qualcuno l'avesse buttata all'aria.
Lui si fece avanti sbirciando sulla scrivania in subbuglio, ma io rimasi immobile sull'uscio.
Nonostante la confusione, la camera era immersa nel profumo di Peter. Un dolce profumo speziato di tabacco e sandalo.
Rimasi stupita che non avesse mai portato lì Frederick.
Di tutti era l'unico oltre a me con cui si confidasse.
Mi chiesi se fosse a conoscenza di qualcosa che io non sapessi.
D'altronde, Fred era l'unico a conoscere le sue passioni folkloristiche, ed io ero l'unica ad aver visto le sue maschere.
Osservai la finestra della sua stanza.
Il cuore sembrò stringersi come in una morsa d'acciaio al solo ricordo di noi due seduti sulla balaustra.
L'uno accanto all'altra, mentre lui fumava una di quelle sigarette che gli facevano tremendamente male, e io aprivo il mio cuore, parlando di un amore che era lì, a pochi passi da noi.
Sentì gli occhi di Fred addosso e mi voltai a sorridergli, lui si voltò imbarazzato e maldestramente si fece scivolare una boccetta d'inchiostro sulla giacca distraendomi dai ricordi.
« Accidenti! » imprecò lui.
Mi avvicinai e presi la boccetta fra le mani.
« È l'inchiostro simpatico che usava per farci quegli stupidi scherzi ... » ridacchiammo del lato burlone di Peter.
Non potevamo che pensare a lui con tenerezza.
« ... se corri a sciacquarlo dovrebbe andar via. »
Fred eseguì gli ordini ed uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.
Mi misi all'opera e pulì con della carta l'inchiostro rimasto sulla scrivania. Era riuscito perfino a sgocciolare dentro a uno dei cassetti aperti e fui costretta ad uscirne il contenuto. Tra cui un taglia carte in argento e due documenti posti, ordinatamente nel cassetto semi aperto della scrivania che stonavano con la confusione di cui era intrisa la stanza.
Proprio sopra essi, c'era il pacchetto con le sue sigarette.
Presi i documenti fra le mani e li lessi.
Uno era la ricevuta di una specie di erboristeria.
« Petali di rosa, biancospino, noci, verbena ... » mi chiesi che cosa avrebbe potuto farci.
Poi, osservai l'altro foglio.
Lessi veloce ed ebbi bisogno di un minuto per rimettere in sesto le idee e le parole.
Era un documento d'adozione.
Rilessi attentamente e non c'era modo che io potessi aver letto male.
Peter era stato adottato.
Da quanto leggevo lo aveva saputo quella primavera. Il nome dei suoi genitori naturali era sconosciuto e il documento specificava perfino il suo ritrovamento, avvenuto proprio nel giardino della signora Hastings, un anno dopo il rapimento del loro primo genito, chiamatosi anche lui Peter, avuto luogo in circostanze misteriose.
Qualcosa si mosse vicino il cestino della spazzatura e sobbalzai lasciando cadere i fogli sulla moquette della stanza.
Cercai d'osservare meglio ma quello che ottenni fu solo un leggero scalpitio d'energia nell'aria.
La mia attenzione cadde sul contenuto del cestino.
Era colmo di bucce di noci della stessa dimensione e colore di quella che avevo trovato sotto il letto di Peter a casa dei suoi il giorno del funerale, quello che conteneva quel messaggio così inquietante.
Che fosse stato proprio Peter a lasciarlo lì?
Un leggero prurito mi colse all'occhio sinistro e lo strofinai delicatamente,
Un altro spostamento d'aria mi fece urlare mentre vedevo un ombra nera infilarsi sotto il letto.
Cercai di raccogliere il mio coraggio ed afferrai il tagliacarte dalla scrivania prima di inginocchiarmi vicino al letto e alzare la coperta.
Notai altre noci aperte e sentì il rumore di qualcosa che le stesse sgranocchiando.
Acuminai la vista e fu come se finalmente la realtà si stesse mettendo a fuoco, come se osservassi la scena da un vecchio obbiettivo da regolare.
Davanti a me si trovava un essere che poteva benissimo essere associato alla razza felina.
La pelliccia era di un nero splendente, gli occhi grandi gialli e dalla pupilla restringibile, le orecchie lunghe però, sembravano più simili a quelle di un coniglio e i denti acuminati mi fecero salire un brivido lungo la schiena.
Cominciò a soffiare come un gatto mentre il pelo diveniva dritto e gonfio. Ebbi solo il tempo di sgranare gli occhi e di ritirarmi indietro verso la finestra chiusa, mentre in un urlo acuto di terrore mi saltava addosso.
Era tremendamente veloce, e i suoi lunghi artigli mi graffiarono le mani e il volto mentre cercavo di tenerlo lontano.
In un impeto e totalmente presa dal panico affondai il taglia carte in una delle sue zampe anteriori lasciando una traccia di sangue nero sul pavimento.
Quando si staccò per il dolore mi sollevai e provai ad aprire la finestra per fuggire, come avevo fatto così tante volte quando qualche prefetto aveva bussato per ispezionare la camera, ma quando si sentì la serratura della stanza scattare e la porta spalancarsi, la creatura si sollevò e mi scavalcò per sparire fuori nella natura.
« Alex ! » urlò Frederick vedendomi tutta scompigliata e graffiata.
« Ti prego ... dimmi che l'hai visto anche tu. » chiesi ansimando mentre lui si gettava su di me visibilmente agitato, e mi aiutava a rimettermi in piedi. Io riafferrai i fogli convinta che fossi pronta per essere rinchiusa in un manicomio.
« Un gatto di quelle dimensioni è un po' difficile da non vedere. »
Un gatto? Si sembrava terribilmente un gatto, ma la consapevolezza di ciò che avevo visto mi faceva supporre che non fosse un animale normale quello che mi aveva attaccata.
« Guarda che ti ha fatto. » disse accarezzandomi i graffi sulle braccia.
« Non è niente ... » risposi cercando di ricompormi e soprattutto di respirare e di sembrare il più normale possibile.
Fred si alzò e mi versò un bicchiere d'acqua dalla boccia che tenevano nel corridoio del piano, mentre io prendevo a sedere sul letto disfatto.
« Come diavolo avrà fatto ad entrare? » chiese guardandosi intorno.
Mi convinsi che probabilmente, il trovarmi lì, mi stava causando ulteriori allucinazioni e che fosse stato davvero un grosso gatto ad aggredirmi.
Forse avrei dovuto dirlo al dottore, ma avevo paura che mi vietasse di tornare a scuola.
Se non fossi tornata al più presto, Jake e i suoi avrebbero sparso altre voci, e questo non mi andava proprio, per non parlare poi delle convinzioni di mio padre.
« Probabilmente avranno lasciato la finestra aperta ... » risposi bevendo un sorso d'acqua. Mi calmai.
« Piuttosto ...» provai a cambiare discorso e gli mostrai i fogli che avevo trovato.
« ... tu ne sapevi qualcosa?» chiesi puntando i miei occhi dritti nei suoi smeraldini.
Frederick fece una faccia inequivocabile mentre leggeva i due documenti che stringevo ancora in mano.
Lo sapeva. Un sorrise triste mi si dipinse sul viso.
« Capisco ... evidentemente io non ero abbastanza affidabile. »
« Non dire così ...» disse mettendosi a sedere sul letto.
« ... per Peter questo era un argomento delicato. Lo aveva scoperto da poco ed ogni volta che me ne parlava vedevo quanta sofferenza ci fosse sul suo viso. Si sentiva tradito. Come se non riuscisse più a capire chi fosse. »
« L'avrei capito ...» dissi piano imbronciata come una bambina.
« Peter non avrebbe mai voluto che tu lo vedessi debole o triste. »
L'osservai cercando di capire cosa volesse dire.
« Sai perché aveva ordinato questi ingredienti?» continuò sospirando profondamente mentre leggevo nei suoi occhi il ricordo che aveva di Peter.
« Voleva regalarti un profumo» rise lui.
« Mi aveva detto che voleva farsi perdonare ... sai per la storia di Jake. Voleva che fosse il
segno di pace fra voi per un’amicizia serena e duratura. »
Amicizia. Era davvero solo questo che eravamo per lui?
« Aveva girato tanto ma non riusciva a trovare la fragranza che più si adattasse a te ...» la sua voce si spezzò mentre un nodo si formava nella mia gola.
« ... così ha ordinato il necessario e si è affidato a dei professionisti trovando quella che per lui era la fragranza che gli ricordava te. »
Le lacrime cominciarono a sgorgare e dovetti portarmi le mani sul volto.
Frederick era il primo a cui permettevo di vedere le mie lacrime per Peter. Che senso aveva avere tutta quell'accortezza per una semplice amica? Forse ero io che non ero in grado di capire.
Afferrai il pezzo di carta dalle sue mani e lo strinsi forte al petto.
Era come se potessi vederlo, Peter , lì in quella stanza a cercare gli ingredienti, ad immaginare nella sua testa la scena in cui me l'avrebbe consegnato, quella scena che non sarebbe mai avvenuta perché aveva avuto un incidente in cui era morto mentre era in macchina con Jessica Bristol per andare chissà dove a fare chissà cosa.
« Forse avrebbe dovuto regalarlo a Jessica » dissi in un momento d'amarezza allontanando quei fogli e gettandoli sul letto.
«Io non so che relazione Peter avesse con Jessica, ma lui ti voleva bene Alex ... davvero. Anche più di quello che diceva o lasciava intendere. » concluse abbracciandomi.
Ricambiai in silenzio il suo abbraccio, lasciando cadere calde lacrime sulle maniche del suo maglione.
« Io gli e ne voglio ancora Fred ... è come se il mio cuore si rifiutasse di lasciarlo andare ... ma, è come se non fossi capace di perdonarlo» conclusi sciogliendomi in un nuovo pianto liberatorio.
Lui non disse più niente , mi afferrò per la nuca e lasciò che appoggiassi la mia fronte alla sua spalla.
Sentì la sua testa appoggiarsi alla mia, mentre delle lacrime silenziose scivolavano sulla mia schiena.
Non parlammo più ma lui mi strinse più forte.
Frederick mi sorrise. Eravamo di fronte il cancelletto di casa mia.
Dopo esserci sfogati aveva curato i miei graffi e avevamo iniziato ad imballare tutto quello che si trovava nella stanza di Pet.
Quello strano gatto non si era più fatto vedere.
Anche se non ne parlava percepivo come anche in Fred la perdita di Peter fosse una cicatrice aperta e sanguinante.
Mi sorrise e io lo ricambiai con gli occhi ancora rossi e gonfi mentre aprivo lo sportello dell'auto.
« Ritornerai a scuola ? » chiese come se avesse paura che una volta scesa dall'auto sparissi ancora.
Ci riflettei attentamente, se non volevo che i litigi tra i miei continuassero o che peggio, mi costringessero a vedere uno psicologo, era ora di fare qualcosa.
« Lunedì sarò pronta per tornare. »
Fred sorrise come faceva raramente.
« Meglio così, stavano già cominciando a girare delle voci» disse.
Alzai gli occhi al cielo.
« Non vedo l'ora che il loro ultimo anno finisca.» sbottai.
« bè ormai non manca tanto, e presto sarà anche il nostro.»
« Già » Un ultimo anno senza Peter.
Quante promesse mi aveva fatto adesso che non poteva più mantenere.
"Per il tuo primo giorno dell''ultimo anno ti porterò a vedere l'alba". La sua voce balenò nella mia mente ma non sorrisi.
« mi prometti che ti farai sentire se avrai bisogno? » chiese.
« Si. » annuì mentre mi lasciavo avvolgere dalla brezza glaciale che si stava alzando su River Street.
Quegli sbalzi di temperatura non aiutavano certo la ripresa della mia stabilità.
« Sta volta sul serio ? » chiese preoccupato.
« Sul serio Child, te lo prometto .» dissi alzando di nuovo gli occhi al cielo.
« Non alzare gli occhi al cielo con me Bone o dovrò sculacciarti. »
« Devi smetterla di leggere cinquanta sfumature Child ... » dissi provocandolo.
Lui rise divertito.
Aspettai che ripartisse e poi mi voltai per rientrare in casa.
Aspettai un attimo prima di rientrare.
I miei sicuramente stavano cenando in cucina e mi avrebbero fatto una lavata di capo che mi sarei evitata volentieri.
La mia attenzione fu attirata per un attimo dalla cassetta della posta con inciso sopra il mio cognome.
" È il mio cognome, Bone, Alexandra Bone. Alex per gli amici."
La mia voce mi risuonò nella testa in un ricordo.
"Josh ... ehm voglio dire Joseph Blind. Quello lo ha lasciato Peter, credo fosse per te." La voce di Joseph.
Era lì che credevo d'aver visto per l'ultima volta Peter.
Mossa da chissà quale istinto infilai una mano all'interno della cassetta, e non fui sorpresa quando non sentì niente al suo interno.
Qualcosa però nascosto fra i cespugli e mezzo sotterrato nel fango attirò la mia attenzione.
Al principio pensai fosse solo della posta caduta chissà da quanto ma afferrandola, mi resi conto che la consistenza e il tipo di carta non poteva essere associata alla normale carta da lettera, così la tirai su tutta d'un fiato.
Lo girai tra le mani. Era un bigliettino di cartoncino su cui vi erano scritte due piccole parole in rosso.
"Perdonami. Dimenticami. Peter". Riconobbi la grafia di Peter e il cuore sembrò esplodermi in petto.
Una visione mi si parò davanti mentre le parole di Frederick mi tornarono alla mente.
"Voleva regalarti un profumo".
Peter davanti la cassetta. Joseph poco dopo aveva afferrato una boccetta e me l'aveva consegnata, ed io l'avevo messa nella tasca sinistra del giubbotto.
Corsi in casa senza neanche salutare i miei genitori che stavano cenando e salì le scale a due a due.
Entrata in camera chiusi a chiave e mi precipitai sul cappotto riposto nell'armadio, che non indossavo da quella maledetta sera,
mentre mia madre bussava forte alla porta.
Cercai di controllare il mio respiro mentre infilavo piano una mano nella tasca sinistra. Cercai con calma.
Niente.
Mi accasciai sulla moquette e mi diedi della stupida.
Mi diedi qualche minuto per reprimere la sensazione di vuoto che cominciò a scavarmi dentro
Mi sollevai ed aprì a mia madre.
«Alex che diavolo sta succedendo!» la furia di mia madre svanì quando mi vide pallida in volto.                       
Soffermò lo sguardo sui graffi.
« Cos'è successo?» chiese apprensiva.
«Un gatto ha deciso di litigare ...» risposi ironica
« Perdonami ma non mi sento molto bene» tagliai corto.
Lei sospirò e vidi un velo di dolcezza calarsi sui suoi occhi.
«Alex vuoi dirmi cosa ti sta succedendo? Noi parlavamo un tempo, oserei dire di tutto» Era vero, mia madre per molto tempo era stata l'unica vera amica che avessi, ma il rapporto travagliato con Peter, tutto quello che mio padre ci aveva fatto, mi aveva fatto allontanare da lei principalmente per un motivo.
Non volevo deluderla. Se le avessi detto che stavo solo pensando di tradire Jake dopo quello che lei aveva passato, cosa avrebbe detto? Che forse ero figlia di mio padre? Che il tradimento era nel mio sangue? Non avrei mai sopportato quelle parole dette da lei.
In silenzio la lasciai entrare nella camera.
Osservò l'armadio aperto e i vestiti gettati alla rinfusa per cercare il cappotto, ma decise di non dire niente.
Richiusi la porta e ci sedemmo entrambe sul letto.
«Oggi vi ho sentito parlare te e papà ...» cominciai
« ... so che è stato un periodo difficile mamma, ma non sono pazza, è solo che ho perso la persona di ... »
« Di cui eri innamorata» concluse mia madre mentre io abbassavo lo sguardo imbarazzata.
« Lo sapevi? » chiesi portandomi le ginocchia al petto.
Lei sollevò una mano e mi portò una ciocca di capelli dietro un orecchio.
« Sono tua madre Lexy, credi davvero che non mi fossi accorta di come guardavi Peter e di come lui ti guardasse?»
« Bè su di me c'hai preso, ma non posso dire lo stesso di Peter»
Lei rimase in silenzio e non parlò.
« Credi che io sia una persona squallida? » lei mi guardò inorridita.
« Dio Lex no, come ti viene in mente che io possa pensare a una cosa del genere? » rispose schioccandomi un occhiata sconvolta.
« Perché ho fatto come lui, ho davvero tradito Jake ... voglio dire c'ho pensato più volte» dissi senza trattenere le lacrime.
« Oh cara, ma questo non centra niente con quello che ha fatto tuo padre, non pensarci neanche.»
« Come fai a dirlo? » le domandai.
« Lex, tuo padre ha fatto molte cose imperdonabili e lo sono sai perché?» feci di no con la testa e rimasi ad ascoltarla.
« Perché non le ha mai fatte in nome dell'amore » rispose sorridendomi. Io continuai a fissarla in silenzio mentre lei cercava le parole e si bagnava le labbra con la lingua.
« Tesoro, tu ti sei solo innamorata e l'amore molto spesso è .... difficile» disse sospirando, come se dentro di sé stesse ricordando qualcosa che lei stessa aveva provato in prima persona.
« Mi dispiace per tutti i problemi che ti sto causando, specialmente con papà, ed ho già intenzione di tornare a scuola lunedì» lei deglutì e mi abbracciò forte.
« Facciamo così dolcezza, per questo week end ti lasceremo in pace il tempo di metabolizzare il tutto »
«Davvero?» chiesi stupita mentre asciugavo le mie lacrime.
« Si, parlerò io con tuo padre. Non dirò che non è un vero stronzo perché non voglio mentire a mia figlia, ma molto spesso lo è perché ti vuole davvero bene. È dura da dire Lexy, ma quello che è successo fra noi non dovrebbe pregiudicare il vostro rapporto »
Sfuggì al suo sguardo e incrociai le braccia sullo stomaco cercando di non pensare a lui.
Dopo tutto quello che ci aveva fatto passare non potevo credere davvero a quelle parole.
Lei sospirò cercando le frasi giuste da dirmi.
« Poi lunedì tornerai a scuola e tutto piano piano tornerà come prima, sinché tutto quello che stai passando non diverrà che un triste lontano ricordo » concluse abbracciandomi.
« Mi dispiace ... non avrei voluto che le cose andassero così » dissi ancora mentre lei mi abbracciava forte.
« Nessuno avrebbe voluto tesoro, quello che è successo a te, a Peter, è una tragedia. Qualcosa che nessuno dovrebbe affrontare nella sua vita»
Ricambiai la sua stretta e cercai di asciugare le silenziose lacrime che cominciarono a scivolare sulle mie guance.
Mia madre mi sciolse dall'abbraccio ed asciugò le mie lacrime cercando di sorridermi.
« Non pensarci adesso tesoro non parliamone più per questo weekend .» mi sorrise e si alzò avviandosi verso la porta.
« Mamma » dissi fermandola a metà strada.
« Grazie . » lei mi sorrise di nuovo.
«Vuoi che ti porti una bella tazza di the? » sollevai gli occhi al cielo a causa della sua convinzione che una buona tazza di the potesse sistemare tutto. Rise.
Almeno con i miei, forse, sarei riuscita a sistemare le cose.
Respirai ancora e osservai il cappotto ancora appeso nell'armadio.
Un pensiero ostinato pulsava nella mia testa dolorante.
Per quanto mi sarei fatta male a quel modo?Mi lasciai comunque convincere dai lividi che prudevano.
Mi sollevai e cercai nella tasca destra.
Timorosa, infilai piano le dita .
M'immobilizzai per un momento,  quando sfiorarono il liscio vetro della bottiglietta le lacrime cominciarono a sgorgare nuovamente sul mio viso.
Piano, quasi tremando la estrassi dalla manica e la osservai incredula.
Tolsi il tappo e assaporai quella fragranza che con tanta cura Peter aveva scelto per me.
Sapeva delle giornate estive passate a rincorrerci.
Della pioggia che scivolava sulla sua auto durante le nostre chiacchierate interminabili. Delle rose che mi aveva regalato per il compleanno. Del suo odore quando lo abbracciavo stretto.
Sapeva di ogni momento passato insieme.
Semplicemente sapeva di noi.
Profumava di speranza, quel miraggio che ora mi diceva che Peter non poteva essere morto in quell'incidente, perché quella sera lui era venuto per me.

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⏰ Last updated: Feb 05 ⏰

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