2.

20 5 0
                                    

2

«Allora eri qui!»
Frederick entrò nella stanza nel suo abito a lutto strappondomi via con la voce chiara da quello che non capivo fosse stato un ricordo o solo una visione  distorta dalla mia mente malata.
Mi ci volle un minuto per capire che il dolore che mi opprimeva il petto fosse provocato dal fatto che non avessi ancora ripreso a respirare.
Lui mi squadrò curioso.
«Tutto bene?»
«Si, scendo subito.» serrai la finestra.
Sbirciai ancora verso le fronde frastagliate dell’albero dietro cui avevo avvistato la sagoma.
Sembrava essersi dissolta come un blocco di sale finito in acqua.
Tirai un sospiro di sollievo.
«tranquilla…» trillò la sua voce armoniosa « non ti stai perdendo niente di ché… a parte la gara nazionale su chi conoscesse meglio Peter Hastings. Credo che alla fine si vinca un altro vassoio dei brownies della Signora Lookwood.»
Sorridemmo entrambi, per quanto riuscissimo in quel momento.
Ripensai al déjà-vu di poco prima e nascosi le mani pallide e tremanti dietro la schiena.
Ci mancava solo che cominciassi ad avere altre allucinazioni.
Fred si fece avanti nella stanza illuminata a malapena , sistemò i capelli blu dietro un orecchio e sbirciò sulla scrivania.
Mentre io respiravo a fatica, cercando di reprimere la bile che mi graffiava la gola, lo vidi afferrare un paio di libri.
«Ah, sono solo alcuni, gli altri deve averli al dormitorio» disse più a sé stesso che a me.
I suoi occhi verdi come prati rinfrescati dalla rugiada si bagnarono di ricordi e sensazioni che mi erano celati.
«Cosa sono?» chiesi cercando un qualunque pretesto che mi distraesse dal malessere che prepotente mi scalpitava dentro.
«Libri?» mi punzecchiò.
Lo guardai torva e lessi uno dei titoli ad alta voce.
«“La corte dei dannati.”»
«Sono alcuni libri della mia collezione sul folklore irlandese.»
mi spiegò.
«Hai una collezione di libri su fate e folletti? Non sei un po’ cresciuto per credere in queste cose?»
«Quanto cinismo» Mi rimproverò sollevando gli occhi al soffitto.
«Devo ricordarti da chi è stata fondata Dread hole? Coloni irlandesi» sta volta fui io ad alzare gli occhi.
Ecco che il miglior studente della St.Paul, ovviamente dopo Peter, veniva fuori saputello.
«Nerd» commentai facendogli una smorfia.
Lui ridacchiò e mi porse proprio quello dal titolo dorato di cui avevo letto il titolo.
«Piacevano anche a Peter? Non l’avrei mai immaginato, ogni volta che prendevamo questo genere di argomenti cambiava sempre discorso.»
Frederick rimase in un silenzio preoccupante, sorridendomi solo dopo un’eternità.
«Sai cosa penso Alexandra Bone?»
«Cosa Frederick Child?» chiesi facendo il verso al suo fare così solenne.
«Semplicemente che alla fine nessuno di noi conosceva davvero Peter Hastings. Lui aveva tanti lati del suo carattere che teneva nascosti, repressi azzarderei. Qualcuno lo mostrava a te e qualcun’altro ai tizi qua sotto, qualcun’altro ancora a me … ma nessuno di noi l’ha mai davvero conosciuto.»
La verità delle parole di Frederick mi schiaffeggiò, ma non fui pienamente d’accordo con lui, al contrario avevo quasi la certezza che Peter mi tenesse a distanza perché l’avessi capito fin troppo bene.
Per questo, nonostante in quei mesi avesse illuminato le mie giornate, aveva saputo ergere un muro fra noi che lo proteggesse. Un muro che per quanto avessi provato ad abbattere non mi ero neanche lontanamente avvicinata a scalfire.
Strinsi ancora il bigliettino ritrovato fra le mani senza mostrarlo a Fred.
Rilessi a mente la frase che vi era scritta.
“L’ora degli addii è imminente, la corte diviene sempre più impaziente.”
«Puoi prestarmelo?» chiesi indicando il libro che mi aveva passato.
Lui alzò un sopracciglio.
« Guarda che sono sempre propensa a leggere nuovi generi, anche se non si avvicinano ai miei gusti.»
Sospirò.
«Mi raccomando, non presto libri a tutti, l’unico era Peter.»
La voce gli si spezzò in gola.
Deglutii accarezzando la ruvida copertina di pelle vermiglia.
«ne avrò cura.»
La pesantezza che quel gesto aveva per lui trapelò nell’aria, impregnando l’intera stanza di una tristezza opprimente.
Fred non era bravo a dimostrare i sentimenti, si capiva subito dopo averlo conosciuto.
Spesso si riparava dietro l’indifferenza.
Dentro a tutti quei libri che si ostinava a leggere nelle situazioni più impensabili.
Non era mai stato interessato a cosa le persone potessero pensare di lui, ma Peter, credo che lui avesse fatto breccia nel suo profondo, in quelle cavità interiori che sembrava avesse il dono di scovare in ognuno di noi.
Fred trattenne gli occhi lucidi e un leggero spasmo della mascella.
«Trattalo come se fosse la cosa più cara che hai.»
Annuii prima di scendere in silenzio al piano di sotto.
Le ex finalmente avevano smesso di gareggiare e stavano gustando i brownies della Signora Lookwood.
Io e Frederick ci scambiammo uno sguardo d’intesa.
«Io tolgo le tende …» disse piano « mi sono stancato di questo dramma per oggi, tu che fai?»
Ero lì in mezzo al salone ghermito di gente vestita di nero lì lì per accettare il suo passaggio,  quando una voce familiare arrivò alle mie orecchie con lo stesso effetto di un brivido lungo la schiena in una giornata di neve.
Mi guardai intorno, cercando di seguire quel suono così familiare e inspiegabilmente rassicurante e anche se era di spalle e a un paio di metri da me, riconobbi il ragazzo dagli occhi d’argento che avevo intravisto nei miei ricordi falsati.
Spiccava tra la folla come se fosse fatto di luce, candido, come se fosse stato modellato nella gelida neve.
Era più alto delle persone che lo circondavano, le spalle tornite erano fasciate a mala pena dall’abito del lutto che non gli rendeva giustizia.
Come avevano potuto i miei ricordi smorzare così una presenza tanto ingombrante nell’universo.
L’unico che poteva davvero dirmi cosa fosse successo la sera dell’incidente si trovava a qualche manciata di passi.
«Alex?» Fred mi riportò alla realtà.
Come se mi fossi appena risvegliata da un incantesimo guardai Fred strabuzzando gli occhi.
«Tu va pure, io rimango un altro po’ per aiutare la Signora Hastings.» lo tranquillizzai con un sorriso.
«Va bene, ma fatti viva.»
Lo rassicurai.
Era insolito tutto quell’interesse da parte sua ma gli e ne fui grata. Anche se Peter se n’era andato per sempre c’era qualcuno a cui importava ancora di me.
La Signora Hastings si ergeva davanti al ragazzo a mala pena, in mezzo al salotto ancora affollato da mezza cittadina.
Mi dava l’impressione che se non ci fosse stato suo marito l’avrei vista crollare a terra da un momento all’altro.
«Non si hanno ancora notizie di come sia successo?» chiese lo scricciolo accanto al ragazzo dei miei ricordi che ancora mi dava le spalle.
Il suo profumo mi arrivò al naso come di brina, di pioggia e di terra bagnata.
«No, ma il vice sceriffo ci ha promesso che farà tutto il possibile per scoprirlo, e nel caso di dare giustizia a mio figlio.»
Il viso giovanile della signora ormai devastato dal dolore, contornava gli occhi arrossati e stanchi di versare lacrime.
Le mani tremanti s’intrecciavano l’una all’altra nervosamente mentre il marito gli accarezzava il caschetto di capelli carbone.
Mi chiesi se anche lei si svegliasse ogni notte per rigettare la cena. Se stropicciasse in continuazione gli appunti che Peter aveva scritto, e che nel mio caso, aveva lasciato sparsi fra i quaderni.
Se disgustasse se stessa per non essere riuscita ad impedire quell’incidente.
Se si sentisse impotente, scontenta di non essere al suo posto.
Cercai di prendere un respiro.
Senza accorgermene avevo di nuovo smesso di respirare.
Il mio sguardo si soffermò un po’ troppo a lungo sulle foto di Peter alle pareti color panna.
Agli occhi dei suoi familiari e della comunità, aveva sempre avuto tutto quello che più si potesse desiderare da un figlio.
Era stato un bel bambino, troppo intelligente per la sua età e sempre incline ad aiutare gli altri, sua madre me l’aveva raccontato mille volte.
Mentre suo padre comunicava gli ultimi dettagli dell’incidente posai lo sguardo sulla ragazza di fianco al mio ricordo, che al contrario di quest’ ultimo mi dava il profilo.
Era di molto più bassa di me in confronto alla maggior parte della gente nella stanza.
La signora Hastings s’illuminò un po’ quando mi vide.
«Oh Alex …» le sorrisi brevemente.
«Vorrei fermarmi per darle una mano a rimettere apposto se le va.» Gli occhi d’inchiostro così simili a quelli di Peter mi si modellarono addosso prima di versare altre fredde lacrime.
«Luisa…» chiamò qualcuno dietro di me per salutare.
I due ragazzi fecero le loro condoglianze e mentre i signori Hastings si allontanavano cercai di sorridere il più possibile.
«Non proprio il luogo migliore per rivedersi.» chiusi gli occhi per un secondo ed inspirai.
Non credevo d’averlo detto sul serio, per quanto ne sapevo l’avevo intravisto per strada e la mia testa aveva fatto il resto.
«Alex» il mio nome ondeggiò sulla sua lingua, sussurrato a voce bassa sulle labbra piene e perfette come parole proibite di un vecchio incantesimo.
«Joseph…» risposi con un nome che non sapevo neanche di conoscere.
I suoi occhi, un misto d’argento e di nuvole tempestose mi colpirono come una folata di vento, arrabbiati e scostanti, facendomi barcollare e lasciandomi scossa.
Mi resi conto che erano più simili al ghiaccio che all’argento luccicante dei coltelli delle mie allucinazioni, ma che esattamente come essi erano armi pronte a colpire.
La pelle scura risaltava sugli zigomi alti e i lineamenti delicati.
Un brivido più di paura che di piacere mi passò dietro il collo come una carezza improvvisa.
Il volto adombrato mi scompigliò lo stomaco e mi svuotò la testa lasciandomi in subbuglio.
Più mi sforzavo di ricordare come fosse possibile che il suo nome fosse venuto fuori così spontaneamente, più la figura di Joseph nei miei ricordi diveniva sfuggevole.
E questo era impossibile perché il suo viso era di una perfezione così sconcertante che non avrei mai più potuto dimenticarlo.
Il più bel ragazzo che avessi mai visto.
«Oh così è lei la famosa Alex?» domandò la ragazza, ingarbugliando ancora di più le mie idee.
Avevano lo stesso taglio d’occhi allungato ma i suoi erano del colore del cioccolato fuso.
La carnagione era la medesima, olivastra, la bocca a forma di cuore era rivolta in un sorriso gentile e il naso era all’insù.
I capelli un po’ crespi e di un biondo canarino le accarezzavano corti il collo anche se la ricrescita bruna la fregava.
Ricambiò il mio sguardo.
«Famosa?» chiesi portandomi una ciocca di capelli dietro a un orecchio.
Lei spostò gli occhiali sul naso e fece ballonzolare il suo vestitino nero alla moda.
“Occhi di ghiaccio”si schiarì la voce profonda e gli lanciò un’occhiata capace di gelare un’intera prateria, mentre lei, mimava con le labbra carnose un “ops” imbarazzato.
Anche lui indossava un bell’abito scuro, semplice da cerimonia e mi distrassi ancora una volta sulla sagoma delle spalle larghe.
Non poteva frequentare il St.Paul, o Maggie l’avrebbe sicuramente aggiunto al suo diario delle conquiste.
«Questa è mia sorella, Naomi … ha una tendenza esasperante per l’esagerazione.» la capacità con cui fu capace di non esprimere neanche un sentimento pronunciando quelle parole mi lasciò esterrefatta.
Guardai Naomi, che al contrario del fratello sembrava non fosse fatta per nascondere le emozioni e trattenni un sorriso porgendole la mano.
«Piacere, Alexandra Bone.»
Sollevai lo sguardo su Joseph ma vidi che era distratto.
Sua sorella lo richiamò all’attenzione con un colpo di tosse.
Ignorai quel comportamento bizzarro e cercai d’avviare una conversazione.
«Conoscevate anche voi Peter?» chiesi educata.
«Si …» lui deglutì un po’ scocciato.
Parlare con me lo annoiava?
«Peter è stato la mia guida i primi giorni del trasferimento al Christ Church.» il suo tono divenne un po’ più amichevole come se avesse intuito che mi stessi indisponendo.
Era uno studente universitario, probabilmente un collega di Pet.
Guardò di nuovo al di là della mia spalla e io mi voltai cercando di capire cosa lo distraesse.
Un pulviscolo invisibile mi entrò dentro un occhio facendolo lacrimare.
Lo asciugai con il dorso della mano e tornai a guardare perplessa occhi di ghiaccio che non abbozzò neanche un sorriso di circostanza.
Educata cercai di continuare la conversazione nonostante quel comportamento scortese stava cominciando a darmi sui nervi.
«Vi siete appena trasferiti?» chiesi realmente interessata cercando di non grattarmi anche l’altro occhio.
«Quante domande» sbuffò lasciandomi a bocca aperta.
Lo trucidai con lo guardo, ma poi cercai d’indossare la maschera gentile che meglio conoscevo.
«Ah scusami cercavo solo di fare un po’ di conoscenza non volevo essere invadente» gli spiegai l’ovvio.
Non solo era il ragazzo più bello che avessi mai conosciuto ma anche il più scortese.
Naomi gli assestò una gomitata scusandosi con lo sguardo.
«Si, ci siamo appena trasferiti» annuì e ripetè quelle parole come se avesse una pistola puntata alle tempie.
Un rivolo di vento mi soffiò dietro l’orecchio sinistro innervosendomi.
Mi guardai di nuovo intorno ma le finestre sembravano chiuse.
«e da dove?» provai ad insistere.
Joseph sembrò innervosirsi ancora di più.
A quanto pareva le domande non gli piacevano affatto, che comportamento al quanto sospetto, come se nascondesse qualcosa.
Si capiva dal suo atteggiamento annoiato e sfrontato, con le braccia incrociate sul petto a mo di difesa.
M’incuriosì.
Di solito le persone facevano di tutto per compiacermi e per rendersi simpatiche, almeno questo prima di tutta quella merda.
Con quell’accaduto l’asse della mia esistenza era stato sbalzato via, dritto fra le fauci del buco nero che sapevo mi avrebbe divorato, masticato e poi rigurgitato quel poco che restava.
«Baskerville.» rispose Naomi sorridendo, mentre poggiava una mano sulla schiena del fratello.
Mai sentita nominare.
«E se posso chiedere …» continuai rischiando d’imbeccare nella già più che evidente ira del rude Joseph «come mai vi siete trasferiti?»
«Problemi dimensionali» rispose Naomi.
La guardai turbata e lei sorrise.
«Siamo una famiglia molto numerosa.» spiegò lui seccato da ciò che aveva detto la sorella ed ero certa anche da me.
Mi squadrò indispettito.
«abbiamo trovato qui una casa più grande e a prezzo minore. Windy Hill House, la conosci?» mi spiegò cercando di riprendere le redini della conversazione.
Apprezzai quel piccolo sforzo da parte sua ma lo conoscevo da meno di cinque minuti e avrei già voluto tirargli un ceffone.
«Sì certo, bellissima proprietà» mentì.
Sapevamo tutti in città perché, Windy Hill House, una proprietà così lussuosa ai confini della città vecchia fosse stata messa in vendita a così poco.
Era successo almeno nove anni prima, quando ancora io non mi ero trasferita lì, e Frederick e gli altri dovevano avere più o meno tra i sette e gli otto anni.
La casa era disabitata anche all’epoca, e un gruppo di cinque ragazzi della cittadina avevano pensato di affrontare una prova di coraggio passando lì la notte.
Nessuno sapeva davvero cosa fosse successo, stava di fatto che il mattino successivo, quando il vecchio capo della polizia durante la sua solita ronda mattutina, aveva trovato il cancello della residenza aperto, aveva deciso di controllare.
Si era ritrovato davanti quattro cadaveri martoriati.
Carl Taylor, unico sopravvissuto non spiegò mai davvero cosa fosse successo. La polizia arrivò alla conclusione che i ragazzi avessero ingerito un mix di droghe e alcool che li avesse scatenati violentemente gli uni contro gli altri, e che Carl si fosse salvato solo perché aveva vomitato, e resosi conto del pericolo era fuggito dagli altri nascondendosi.
Stava di fatto che l’anno in cui ero arrivata in città avevo letto sul giornale del suo suicidio.
«E vi trovate bene in città?» chiesi educata.
«Abbastanza…» Sorrise lei.
«Anche se nessuno nei paraggi sa farsi i fatti propri.» bofonchiò Joseph stringendo ancora di più le braccia sul petto.
Lo squadrai di sottecchi.
Quel viso mozzafiato non valeva abbastanza con un ego così smisurato.
I doni con cui era nato non gli davano certo il diritto di sentirsi così superiore agli altri.
L’ennesimo idiota completamente vuoto all’interno.
Naomi lo interruppe di nuovo.
«anche se non sono riuscita ad andare neanche a una festa dopo halloween.»
Ricambiai il suo sorriso.
«Sei una ragazza da party?»
«Anche tu da quello che si dice a scuola.»
Joseph sembrò ritornare a noi e il suo sguardo congelante fu di nuovo su di lei.
Naomi si portò le mani alla bocca e cominciò a balbettare qualche scusa.
«Ecco io… non è quello che volevo dire.»
Capivo sempre quando qualcuno mi mentiva o provava pietà per me. Lei era dispiaciuta, come se avesse già provato tutto quello sulla sua pelle.
Non gli e ne facevo una colpa per quella scelta di parole infelici, ma lanciai un’occhiata a Margaret Jones spaparanzata sul divano accanto al mio ex, con le gambe incrociate in una minigonna di pelle nera e una mano sulla sua coscia.
Sapevo bene che era stata lei a mettere in giro svariati pettegolezzi su me e Peter, solamente perché non le era andato giù il fatto di non essere riuscita a farlo cascare nella sua tela da tarantola mangia ragazzi.
Era quasi divertente notare come anche per il suo funerale avesse scelto il suo solito outfit da troia.
Almeno era coerente con la sua personalità.
Sorrisi placidamente.
«Non c’è problema.» la tranquillizzai.
«Invece…» mi rivolsi a Joseph.
«vorrei chiederti un’ultima cosa prima di “annoiarti” troppo»
Dovetti prendere respiro per un momento mentre leggevo sulla sua faccia un “troppo tardi”.
Non mi fidavo dei suoi occhi di ghiaccio, ne delle sopracciglia folte o dei riccioli castani, figurarsi poi delle labbra piene e carnose.
«Sono una persona molto maldestra delle volte e ho smarrito il mio cellulare la sera in cui noi due ci siamo incontrati per caso  davanti a casa mia, così mi chiedevo se tu l’avessi trovato o magari ti ricordassi qualcosa.»
Joseph rimase per un momento in silenzio, a fissarmi come se non mi vedesse davvero, ma come se ci fosse qualcosa a separarci.
Qualcosa d’invisibile che solo lui potesse vedere.
E no, non si trattava del suo ego.
Era nervoso, come se da quella risposta dipendesse la sua vita.
Lo sguardo sfacciato e seccato che mi aveva rivolto fino a pochi attimi prima si contrasse in una smorfia quasi di dolore.
Il silenzio così intenso che calò mi fece spazientire.
Stavo quasi per chiedergli se stesse bene a la forza con cui rispose poco dopo mi fece sobbalzare.
«Questo è impossibile.» rispose di fretta, gelido come una tormenta.
Mi fissò negli occhi in un modo molto simile a quello che aveva usato con Naomi destabilizzando completamente la gravità che mi teneva salda al terreno.
L’aria intorno a me si gelò di colpo, come se qualcuno avesse spalancato la porta d’ingresso.
Il mio respiro si fece pesante mentre piccole nuvolette di vapore veleggiavano fra i nostri respiri.
Naomi lo fissò contrariata.
«Noi non ci siamo mai visti davanti a casa tua.» continuò scostante.
Trattenni il nodo di parole e dolore che si stava allacciando sul fondo della mia gola.
Ebbi la voglia di scappare via.
Non un’altra parola volevo sentire da quelle labbra sprezzanti e gelide.
E poi di cosa mi ero illusa? Tutto quello era impossibile.
Dovevo rassegnarmi, Peter era morto e sarebbe stato solo peggio se mi fossi aggrappata a teorie inspiegabili.
« Capisco… scusami ma al momento ho un po’ di confusione in testa. Figurati, non riesco neanche a ricordare quando ci siamo conosciuti.» tagliai corto.
Joseph si rilassò, come se fosse davvero dispiaciuto per quello che stavo provando, come se lo sapesse e  potesse sfiorare il mio dolore con il palmo di una mano.
Non mi sorrise certo, ma il suo sguardo mi accarezzò il viso come se potessi sentirlo riscaldare la mia pelle.
Per la prima volta mi resi conto di non essere riuscita a smettere di guardarlo neanche per un secondo.
«È successo quella sera, al Midnight, ero lì per recuperare lei …» spiegò indicando Naomi con un pollice.
«per sbaglio ti ho urtata, una cosa tira l’altra e ci siamo presentati.»
Una scena offuscata si presentò nella mia testa.
Un ragazzo dagli occhi di ghiaccio e delle orecchie da  gatto nero mi aveva urtato, poi era svanito fra la folla.
«sì, ricordo di essermi imbattuta in te.»
«Magari l’hai perso lì.» m’interruppe subito tornando scostante e infastidito.
«Ora dobbiamo andare, si sta facendo tardi.»
Afferrò sua sorella che mi salutò scuotendo la manina e si affrettò fuori, quasi come se stesse fuggendo da un mostro.
Abbassai gli occhi sulle mani tremanti e cercai di respirare.
Mi sembrava di essere appena scesa dalle montagne russe più alte della mia vita.
Mi chiesi come avevo fatto a dimenticare una persona come Joseph Blind fino a quel momento.
Lo sguardo mi cadde sul grande ritratto di un Peter sorridente e pieno di vita, circondato da fiori e candele.
Il senso di nausea di quella mattina attanagliò di nuovo il mio stomaco. I lividi sotto la maglia bruciavano dalla voglia di essere stretti.
“Questo non è amore”
Le sue ultime parole crudeli mi sfondavano i timpani.
Urlavano nel profondo del buco gelato che sentivo si stesse espandendo nel mio petto al posto del mio cuore ormai frantumato.
La vista si fece confusa e il respiro si fermò ancora una volta.
Quella che doveva scappare da un mostro ero io.
Un mostro terribile e invisibile.
La certezza d’averlo perso per sempre.

Midnight Dreams _ sogni di mezzanotte Where stories live. Discover now