Cap. 18

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Aaron's Pov

Non appena suona l'ultima campanella mi fiondo fuori dall'aula senza nemmeno aspettare o dire nulla a Noah.

La verità è che non sapevo cosa dire, cosa fare, come comportarmi. Vorrei fare come se non fosse successo nulla ma sta volta veramente non riesco.

Mi incammino con l'ansia e in fretta verso casa mia, cercando di ignorare più gente possibile.

Tiro fuori le chiavi di casa dallo zaino e le ficco bruscamente nella serratura del vecchio cancelletto in ferro precedente al portone. La cosa mi fa ancora più incazzare perché non è mai chiuso e proprio quando vado di fretta, le cose sembrano volermi rallentare di proposito.

Non ho neanche la pazienza di aspettare l'ascensore. Corro su per le scale fino al mio appartamento, mi ci fiondo dentro e scaglio lo zaino per terra. Mi butto sul divano e accendo la tv per distrarmi, ma ormai so pure io come sono fatto e distrarmi in casi estremi è un' impresa.

Spengo la tv e vado in cucina scocciato, sperando che qualcosa spawni nel frigo. Non c'è niente di già pronto quindi tiro fuori qualche affettato e mi faccio un panino.

Non ci sarà nessuno in casa fino a tardi. Almeno un lato positivo del lunedì c'è.

Vado in camera col panino. Trascino lo sa zaino leggermente pesante dal salotto alla mia stanza, mi butto sulla sedia della scrivania e prendo il telefono dalla tasca dello zaino, notando una crepa orizzontale attraversare tutto il vetrino nuovo di una settimana.

Aaron: 'Merda!' tiro un calcio allo zaino e scaglio bruscamente il telefono sul letto passandomi le mani fra i capelli.

Ma perché cazzo sono arrabbiato? È sempre così. Succede qualcosa che mi lascia frustrato e poi mi sento colmo di rabbia per nessuno strafottutissimo motivo.

Potrei fare i provini per il nuovo Hulk.
O Godzilla.

Mi alzo pigramente per andare a prendere il telefono dal letto e ritornare poi alla scrivania.

Non ci sono troppi compiti e ringrazio il Dio maiale per questo.

Prendo i libri del giorno dopo dalla mensola e li ficco nello zaino. 'Così hai già pronti i libri che ti servono, in più ti ritrovi pure lo zaino già fatto' è quello che mi ha detto Noah. È lui che me l'ha insegnato. Mi ha insegnato molte cose, soprattutto per mantenere l'ordine. Lui non sopporta il disordine. Ogni volta che viene a casa mia è praticamente come se fosse passata la domestica. Anche se non sarò mai ordinato come lui, almeno ci ho provato(non è vero).

Il pensiero di Noah che mi prende a librate perché non si capisce un cazzo fra i miei libri di scuola mi fa sorridere.
O almeno non si capiva un cazzo.

L'ultima volta che ho visto disordine fra i miei libri è stata l'anno scorso.

Mi ha praticamente rivoluzionato l'esistenza.
E anche per un altro motivo...

Basta

Non riesco a concentrarmi. Non so neanche che cazzo di materia sto facendo.

Chiudo i libri riponendoli in malo modo nello zaino e mi fiondo sul letto sdraiandomi di pancia.

Ho mal di testa. Non voglio tornare a scuola. Ho praticamente cominciato una guerra dove non regna però la rabbia per il nemico, ma il rancore e la frustrazione di non riuscire ad esprimersi.

Guardo l'orario sull'orologio da muro. Segna le 18. Quanto tempo ho passato a fare non so cosa? Vabbè. Ripoggio la testa sul cuscino, sorpassandola con le braccia e mi addormento.

Noah's Pov

Appena è suonata la campana lui è fuggito, svanito, andato, sparito, skatush.

Ci sono rimasto malissimo. Non ci voleva. Era già abbastanza sconvolto e io non ho fatto altro che peggiorare le cose. Non ha detto nulla che faccia capire che fosse particolarmente agitato dopo domenica, ma hey, sono il suo migliore amico, lo so e basta.

Metto le cuffie, esco dalla scuola, dopo tutti per evitare il "traffico" di lunedì andato storto un po' per tutti e vado verso la fermata ad aspettare il solito bus.

In questo momento l'unica cosa che voglio è tornare a casa e dormire.

Mi viene da piangere.

Arrivato a casa suono al citofono tipo tre volte prima di arrivare alla consapevolezza di avere le chiavi perché Leo ed Emma sono usciti. Sono l'unico che non esce mai "perché non hai amici" e adesso rischio di perdere uno degli unici, il più caro.

Sento le lacrime farsi strada ma ancora non è il momento di lasciarsi andare. Sono ancora nell'ascensore.

Arrivato al piano, esco ed entro in casa. Arrivo in camera e butto lo zaino nel solito angolino vicino alla scrivania. Vado in cucina a cercare cibo ma mi passa subito la fame quando mi travolge un'ondata di depressione riguardo al mio corpo. È vero sono uno stecco e non mi lamento, ma quando stai male per qualsiasi motivo, poi starai male per tutto.

Torno i camera e mi butto sul letto, prendo il telefono dal comodino per guardare i compiti e vedo l'icona di WhatsApp. Strano, non mi scrive mai nessuno, quindi penso subito sia un messaggio di mia madre o mia sorella che mi chiede di prendere un pacco per lei dal parrucchiere di sotto, ma non è così. È un messaggio da parte di Aaron.

Aaron: Hai dimenticato il tuo libro di geostoria a casa mia.
Ah ecco ndo stava
Passi a prenderlo?

Mi blocco un secondo a quel messaggio non sapendo come rispondere. Beh lui mi ha piantato in asso anche se so che era solo impanicato. E Poi non sono così stronzo, o almeno non così immaturo. Ma ho comunque paura di vederlo e poi non ho un cazzo di voglia di arrivare fino a casa sua.

Noah: Me lo puoi portare domani?

Adesso devo solo aspettare che domani arrivi come una pioggia acida pronta a corrodermi fino all'osso.

Finalmente apro il registro dopo aver speso 20 minuti cercando di ricordare il mio proposito iniziale. Prendo i libri e li ficco nello zaino. Mi butto nel letto, tanto si sa che per fare i compiti si fa ad espulsione, e ripenso a tutto. A volte lo faccio apposta, a deprimermi. Sento di dover lasciare andare un peso.

Mi stringo al mio peluche a forma di bubble tea(famo che lo chiamiamo Boba) e lascio che le emozioni mi travolgano.

Ripenso alla mia giornata fra i singhiozzi e di conseguenza a tutto il resto. Alla mia famiglia, la scuola, gli "amici". È tutto così ingiusto. Penso ai nervi che abbiano i miei genitori per dire tutte quelle cose come se fossi un sordomuto.

Non faccio in tempo ad arrabbiarmi che due lacrime diventano un pianto disperato, angosciante. Voglio urlare, buttarmi da un ponte, scrivere una lettera dove li mando tutti a fanculo e dove dico che è tutta colpa loro.

Stringo i pugni conficcando le unghie nella pelle delicata dei palmi finché non mi rimane il segno.

Prendo il cuscino e lo lancio contro l'armadio. Bene, adesso piango perché mi sento in colpa. E come se non bastasse, mi devo alzare per riprenderlo.

Mi trascino fino a davanti l'armadio, dov'è atterrato il cuscino, e mi sdraio a terra. Boba ancora fra le braccia. Vorrei che qualcuno mi abbracciasse. No, non qualcuno, voglio che sia Aaron. Voglio Aaron.

Mi calmo godendomi il fresco del pavimento che in breve mi raffredda la temperatura corporea. Raccolgo il cuscino e mi alzo controvoglia trascinandomi fino al letto dove mi metto sotto le coperte.

Rido pensando a quanto io sia un masochista, anche se la cosa mi eccita. Mi giro verso il comodino, afferro il telefono e le cuffiette e metto un asmr a caso e dopo poco, con le guance ancora rosse e gli occhi gonfi, mi addormento rilassando fino all'ultimo muscolo.

Mama's BoyМесто, где живут истории. Откройте их для себя