Capitolo 1 - La Lettera

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Ricordando un'infantile e nostalgica melodia,
Daphne colpiva con le unghie il tavolino in
vetro che le sfiorava la coscia nuda.
Ogni tanto tirava sospiri pieni di fumo, che si
assecondavano al noioso ticchettio che stava
procurando lei stessa con quelle sue dita,
sottili e insolitamente pallide.
Nel dormitorio scoccarono le quattro di notte
e parve quasi che in quel preciso istante il
mondo avesse cessato di girare.
La stanza piombò in un silenzio curioso e
fittizio: Daphne Greengrass deglutì e si leccò
le labbra, ancora profumate dalla nicotina,
osservando il suo operato svanire verso il
soffitto; Draco Malfoy le lanciò
un'occhiataccia, che però non andò a segno,
arcuando sulla fronte un solo sopracciglio con
fare infastidito; fra le mani, Blaise Zabini
strizzò con una certa violenza la carne
scoperta della ragazza, procurandole un lieve
sussulto; Theodore Nott ridacchiò con
l'amaro in bocca e si grattò il volto,
molestando la pelle, come se ormai l'unica
sua opzione fosse quella di tirare le cuoia e
chiudere baracca; Pansy Parkinson non riuscì
a non staccare gli occhi dopati dal tavolino in
mezzo ai divenetti, che era completamente pulito e lucido.
La descrizione di quest'ultimo
sarebbe stata corretta se non fosse stato per la
presenza di una lettera su di esso: la carta era
candida e ripiegata ancora su se stessa dallo
spago e chiusa dalla cera nera.
Per i corridoi non fiatava anima viva.
«Insomma?» sbottò Pansy, richiamando
l'attenzione di tutti. «Che stiamo aspettando?
La Grazia Divina? Apriamola.»
A quelle parole Theodore s'agitò visibilmente,
guardando la ragazza con occhi sbarrati:
«Hey, bimba, frena».
Draco sorrise sotto i baffi, sospirando con aria
fintamente divertita. Regalò al ragazzo uno
sguardo neutro, ricevendone uno alquanto
spaventato. Malfoy gli rispose con un ghigno
curioso e, ad occhio esterno, indecifrabile:
sembrava provato in modo quasi esilarante
dalla tensione che si stava creando.
«È il tipo di lettera che si disintegra dopo 30
secondi dall'apertura, mh?» pensò a
sottovoce la primogenita Greengrass, tra sé e sé, guardando attentamente un dettaglio peculiare della carta.
Theodore le rispose in uno scatto d'ansia: «Sì,
ma non è questo il problema, Daphne.»
La voce era pacata e gentile ma le mani che si
contorcevano in una danza orribile tradirono le sue intenzioni, quali erano mantenere la
calma e gestire la situazione.
L'osservazione innocente della ragazza aveva
scatenato in un lui un'incontenibile
frustrazione. Aveva ormai perso quasi tutti i
freni: stava già probabilmente pensando a
quale coltello usare per distruggersi la
giugulare.
Iniziò quindi a camminare lentamente per la
Sala Comune, in tondo, perdendo
velocemente contatto con la realtà —e forse
gli serviva.
Pansy interruppe nuovamente il silenzio: «A
che serve aspettare?» chiese con fare seccato, come una bambina, incrociando le gambe bianche.
«Ad aumentare le paranoie e a far scaldare gli
animi, rendendoli così pronti a qualsiasi
evenienza.» le rispose ironicamente Blaise
Zabini, tastando con le labbra il collo della
sua fidanzata.
Pansy vaneggiò e i suoi occhi sballarono per
una frazione di secondo, restringendosi
sempre di più. Blaise, che le era seduto di
fronte, seguì tutta la scena. La guardò con
occhi impassibili: «Pansy, che è? Sei fatta?».
Quella ribatté di colpo, sentendosi umiliata nel profondo: «No, no! Ma per chi mi hai presa? Cristo santo...».
La bionda prese la scena e scansò il fidanzato dal suo corpo con un gesto morbido e volò verso un mobiletto accanto al camino, tornando dagli altri con l'ennesimo "bicchierino". Non appena la vide, Blaise portò gli occhi al cielo in un esasperato grido di frustrazione: «Daphne, cazzo, no. Mettilo giù». Lei lo zittì con un grugnito, aggiungendo un pacato "Non sei mia madre", tornando a sedersi al suo posto come se nulla fosse.
Zabini schioccò la lingua sul palato, storcendo il naso e riempiendosi i polmoni con un respiro profondissimo. Il ragazzo, quasi uomo, era tutto tranne che calmo. Per la verità, nessuna delle persone in quella stanza sembrava star bene. C'era un condiviso malessere che accumunava in modo perfetto e malato tutti quei cinque studenti del sesto anno.
Dopo aver scolato il tutto, Daphne si accoccolò sul petto di Blaise, il quale non ci pensò due volte a darle il proprio appoggio.
Pansy ebbe uno spasmo dovuto al freddo e iniziò a sentire un senso di vomito salirle per tutto l'esofago. Questo però passo in secondo piano, perché la mente della ragazza era principalmente interessata a sapere da dove la sua amica avesse tirato fuori quell'alcol. Per lei, in tutta quella situazione estenuante e fuori dal normale, saperlo era la massima preoccupazione. «Come te lo sei procurata?» domandò quindi, senza freni inibitori o sinonimi di decenza. Blaise bestemmiò con rabbia e Daphne venne zittita prima che potesse dare voce alla sua mente, ormai alterata e frizzante.
«Theo,» Draco interruppe il teatrino. «Cosa hai intenzione di fare?» gli chiese, indicando con un movimento del mento la lettera al ragazzo. Quest'ultimo, quando riconobbe la voce del suo amico, parve risvegliarsi da un terribile incubo: l'incontro dei loro occhi lo rassicurò.
Mentre Daphne si dava all'alcol e Pansy nascondeva le conseguenze della droga, Theodore Nott si era seduto su una poltrona in fondo alla sala, e osservava il vuoto con occhi vitrei. Malfoy non si era perso nessuno dei suoi movimenti: aveva notato con sgomento una certa meccanicità nei suoi spostamenti, nonostante la disperazione per la notizia avrebbe dovuto, come di norma accade, esaltare il momento disastroso —seppur in modo negativo— e avrebbe dovuto far sgambettare il ragazzo con la stessa frenesia di una bestia di fronte al macello. "In effetti è proprio il paragone perfetto..." pensò Draco, mentre guardava il suo amico dritto nelle pupille.
Entrambi ridacchiarono appena, in uno sfogo d'angoscia, senza divertimento o senza la minima idea su come gestire la situazione. I due ragazzi infatti, al confronto degli altri, conoscevano già il contenuto della lettera. Durante quella notte la vita parve un gioco. «Theo?» lo richiamò Pansy, ormai stravolta sul divanetto, con voce da ragazzina indifesa. Si lamentò poi, aggiungendo che le faceva tremendamente male la testa. Picchiò inconsciamente la punta del piede sul tavolino in vetro, facendolo traballare per una manciata di secondi. A causa di quel gesto la vestaglia si era ritirata in modo volgare sulle gambe, mostrando tracce di biancheria.
Con leggera compassione, Draco Malfoy constatò che una mente se ne era già andata. «Meglio riportarla in camera.» suggerì quindi. «Meglio con noi che da sola.» lo corresse Nott che, ripresosi ormai dal suo momento di trance, era subito accorso dalla sua fidanzata. Le lasciò un lungo bacio sulla fronte mentre le mani andavano a sistemarle al meglio la seta. Le dita tremavano.
Ingoiò con forza inesistente il nodo che gli si era formato in gola: s'asciugò il sudore sul mento e sotto al naso con la manica del maglione, sentendosi il cuore impazzire. Anche lui si abbandonò sul divanetto, stremato da quel grumolo di emozioni: ansia, preoccupazione, terrore puro, soggezione, confusione, paranoia, orrore.
Il suo sguardo si perse nel vuoto del dormitorio. Si accorse solo in quell'istante di finta calma che mancava un componente: «Maya?» domandò ai rimasti con voce bassa. Zabini rispose che dormiva.
«Nessuno l'ha svegliata?» gli chiese quindi. «Soffre d'insonnia, per una volta che dorme...» Theodore annuì piano col capo, strofinandosi infine gli occhi. Si risvegliò dall'ennesima trance. Deglutì. Inspirò. Espirò. Era pronto. Lanciò uno sguardo a Daphne, che piangeva silenziosamente, e a Blaise, che lo guardò di rimando. Draco era rimasto appoggiato a un muro con le braccia incrociate al petto per un'ora, nonché da quando Theodore li aveva convocati in extremis.
«Le abbiamo perse entrambe.» parlò quindi Blaise, riferendosi alle due ragazze, sperando così di ricevere una risposta dalla sua fidanzata: non ne arrivò alcuna.
Theodore pareva un blocco di ghiaccio. Le mani gli sudavano copiosamente e il respiro era spesso mozzato nonostante fosse seduto. Pensava alle pupille esageratamente grandi del corpo incosciente che giaceva su di lui, e alle lacrime sul viso dell'altra; riguardo a Maya, neanche sapeva se fosse nella sua stanza o meno. Pensava a tutto fuorché a lui, alla sua condizione o alla sua futura situazione. Tutto ciò ovviamente solo per distrarsi: ne aveva un estremo bisogno. Avrebbe tranquillamente rubato dalle mani di Daphne quella bottiglia e avrebbe assunto tre dosi di ciò che aveva mandato Pansy in stand-by. Cazzo, se gli serviva, eccome se ne aveva bisogno.
In quella notte nulla gli fu concesso, né di dormire, né di oziare, né di sognare.
Gli sembrava di star vivendo un incubo.
Le pareti della Sala parevano restringersi sempre di più ogni qualvolta le guardava, e tutto ciò non faceva altro che ricordargli che 
era in gabbia. Inevitabilmente nella merda. Non aveva ancora letto nulla ma gli sarebbe piaciuto mollare la spugna quella notte stessa. Non ci voleva neanche pensare, neanche provare.
Qualsiasi cosa era buona per estraniarsi quantomeno un minimo da quella realtà soffocante: pensare con chi fosse a letto quell'altra, di cognome Yaxley, contare le righe verdastre sull'anello di Zabini, indovinare tutte le tonalità dei mattoni, mordersi la lingua fino a farla sanguinare...
Purtroppo per lui, Theodore non aveva di certo tempo per cazzeggiare.
Doveva pensare a se stesso e, forse per la prima volta, avrebbe preferito non doverlo fare. Avrebbe preferito poter continuare a carezzare i capelli di Pansy e insistere a far finta che quella lettera fosse solo un banalissimo pezzo di carta, ma la realtà era ben diversa e lui lo sapeva altrettanto bene. Stava solo temporeggiando, perdendo tempo.
Guardò i volti di tutti quanti i presenti e constatò che non si era mai sentito così solo come in quella notte, circondato dai suoi amici.
Non che fossero dei cattivi compagni d'avventura o che i rapporti che li accumunavo fossero superficiali o dettati dalla noia, anzi il contrario; è solo che a volte ci si sente così, e a lui era toccato per primo fra tutti affrontare quella nuova realtà.
Malfoy ammazzò quella quiete malsana che si era creata: «A breve arriva anche a me?». Era ovvio che si riferisse alla lettera.
Il protagonista della scena parlò a fatica.
«Non ne ho idea.» rispose a voce bassa, passandosi una mano fra i capelli. Il gesto, nonostante la palpabile tensione, era intriso di compostezza e fascino.
«Theo,» prese parola Blaise, segretamente stremato da quel dire-non-dire. «apriamola». Nott cercò immediatamente lo sguardo di Draco, aspettandosi da questo una risposta, che però non trovò.
Il ragazzo in questione aveva gli occhi puntati a terra, "incantato" da un qualche particolare nel pavimento. Sarebbe stato più esatto dire che celò i suoi occhi per non dover sopportare un tale peso, enorme e massacrante: vedere il suo migliore amico annientato dalla paura di morire.
Theo lasciò perdere e in una scatto di follia afferrò la lettera e in una frazione di secondo l'aveva aperta, esponendola ai quattro venti. Blaise Zabini adocchiò il mittente e sbiancò: «Merda».

Serpenti - Draco MalfoyWhere stories live. Discover now