6.1 Raggi di luna

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L'aria odorava di fiori invernali e cenere. Ophelia seppe di essere a casa ancor prima che i suoi piedi toccassero terra. Quando mise a fuoco il sentiero tra gli alberi, l'adrenalina iniziò a placarsi, un respiro dopo l'altro.

Accanto a lei, Barty si trascinava con un braccio intorno alle sue spalle. Ophelia sentiva il suo profumo di muschio misto a quello ferruginoso del sangue. Dietro di loro, una scia scarlatta macchiava la neve sulle orme di lui.

Ophelia strinse i denti e lo condusse al di là della staccionata che delimitava il suo guardino, oltrepassando le difese.

«Ophelia, non-» rantolò Barty, la fronte e le guance madide di sudore.

«Ci siamo quasi,» lo interruppe lei determinata «non mollare».

Raggiunse la porta e la spalancò, poi trascinò Barty all'interno e lo fece adagiare sul divano davanti al caminetto dove le braci emanavano un debole tepore. Ophelia le ravvivò con un incantesimo, poi si tolse in fretta la mantella e si tirò le maniche del maglione sopra i gomiti.

Aveva già curato delle ferite, sapeva cosa fare, ma Barty era così pallido e debole che per un attimo le gambe le tremarono. Fu solo un momento, poi senza più esitare, gli salì a cavalcioni sulle ginocchia, sfilandogli il cappotto umido.

Barty gemette di dolore, ma Ophelia non demorse. Cercando di non fargli male, gli tolse anche il maglione e lo gettò sul pavimento. Lo squarcio nella spalla era profondo e gli arrivava fin quasi sotto il braccio, grondava sangue che gli impiastricciava il petto e non accennava a diminuire.

Barty, fradicio di sudore, gli occhi semichiusi, respirava affannosamente. Nel silenzio della notte risuonavano i suoi gemiti, simili al grugnito di un animale ferito.

Ophelia poteva sentire il calore del suo corpo. Bruciava di febbre, tremava e sussurrava frasi sconnesse.

«Lasciami andare... Padre... Ti prego...»

Ophelia estrasse la bacchetta e la mano le tremò. Le avevano insegnato a dominare l'agitazione anche in circostanze estreme, ma la paura la colpì come una stilettata fredda tra le costole nel vedere le forze abbandonare così rapidamente il corpo di Barty. La sua salvezza dipendeva da lei ora, non poteva commettere errori. Doveva essere precisa, concentrarsi e fare in fretta.

«Pervènio» pronunciò.

L'incantesimo venne assorbito dalla ferita ma non accadde nulla.

Ophelia non aveva idea di che tipo fosse l'incantesimo usato da Grimwood su Barty, né di quanto gravi potessero esserne gli effetti. Era certa però che si trattasse di Magia Oscura.

Raccolse dalla sua borsa una fialetta d'emergenza e la usò per raccogliere alcune gocce del sangue che grondava dalla ferita, poi lanciò Epismèndo per arginare l'emorragia.

Si alzò e corse nel solarium. La stanza era illuminata solo dai raggi di luna, ma Ophelia sapeva districarsi perfettamente in quel caos di provette, vasi, mortai e, naturalmente, il calderone. Era il suo piccolo laboratorio di pozioni in cui spesso si perdeva per ore intere.

Ma non era il momento giusto per perdersi, quello. Raggiunse la dispensa e si mise a rovistare con le mani sporche di sangue tra barattoli e scatolette.

Tremava e nella fretta un vasetto cadde dal ripiano e si frantumò a terra.

Ophelia imprecò a denti stretti, poi trovò ciò che stava cercando. Era un contenitore di vetro tanto piccolo da stare in una mano che Ophelia tenne ben stretto mentre tornava di corsa nel salotto.

Trovò Barty con gli occhi chiusi, completamente abbandonato sul divano. Ophelia non avrebbe saputo dire se dormisse o avesse perso i sensi e per un attimo le si gelò il sangue nelle vene.

Si lanciò nuovamente su di lui e tirò un sospiro di sollievo nel sentire il cuore battere.

Il sangue aveva smesso di sgorgare copiosamente. Ophelia attirò a sé con Accio un recipiente, lo riempì d'acqua e vi immerse un panno pulito, poi lo passò con delicatezza sulla ferita, pulendone i contorni lacerati. Gli lavò via il sangue dal petto, lentamente e con dedizione. Solo allora si rese conto che il contatto con la sua pelle nuda e umida l'aveva distratta.

Tentò di concentrarsi e aprì il barattolo di vetro. Il composto scuro e pastoso al suo interno odorava di iperico, aloe e calendula. Ophelia ne prese un po' sulle dita e lo applicò sulla ferita aperta.

Spostò lo sguardo sul suo viso, preoccupata. Sapeva per esperienza quanto fosse pungente il bruciore causato dall'unguento. L'espressione di Barty si contrasse appena, ma lui non si destò.

Ophelia si fermò, sorpresa nel trovare quel viso ora familiare, come se avesse rapidamente fatto l'abitudine alle sue vere sembianze. Le piaceva la scia leggera di lentiggini che gli ornava il viso, così come i capelli disordinati che gli ricadevano sulla fronte. Più lo guardava, più i lineamenti deformati di Moody si allontanavano nella sua memoria, sostituiti da quelli morbidi e puliti del ragazzo.

Ophelia scoprì un brivido proibito attraversarla e, per quanto fosse tentata, tornò a concentrarsi sulle medicazioni.

Come le aveva spiegato Piton quando l'aveva aiutata a prepararlo, l'unguento cicatrizzante agiva anche come antitossina, ma doveva lasciarlo agire a lungo, così con Ferula fasciò la ferita.

Fatto, pensò Ophelia con un sospiro di sollievo. Ora che Barty era fuori pericolo, la stanchezza le calò addosso all'improvviso. Si lavò le mani dal sangue nel lavabo della cucina, poi sistemò una coperta sul corpo di Barty e lo osservò un momento, pregando in silenzio qualche dio senza nome di vegliare su di lui. Era pallido ma il dolore doveva essersi placato, sembrava riposare tranquillo.

Ophelia si rannicchiò sulla poltrona accanto al caminetto, tirandosi sulle spalle un'altra pesante coperta. Era troppo stanca per raggiungere la camera da letto in cima alle scale, sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti. Scivolò così in un sonno profondo, cullata dal crepitio del fuoco e dal respiro ora tranquillo di Barty.

Morsmordre - La Promessa del SerpenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora