Il re degli zigomi è morto e non lo sa. Cosa cazzo gli ha detto?

Sfilo la maschera e fisso Alex senza mollarlo un istante. Ho soltanto questo per ricordargli che ci sono e che sono lo stesso di ieri. Ti ricordi, Alex? Alex, guardami. Guardami.

Alex continua a ballare, senza vedermi.

«Rugoooooo!»

Filippo mi si scatena addosso, incitandomi a saltare: è il suo pezzo preferito. Urla come un pazzo.

Scoppio a ridere. Per un po', mi lascio trasportare dalla follia di Filippo al cardiopalma.

Fa un caldo assurdo. Butto la maschera da qualche parte e ballo con lui. Sembriamo due cretini.

Nel mezzo della concitazione ritmata, vedo Ian che sfila la tunica nera di Alex, la fa roteare in aria e poi la lancia.
Il gesto mi sfila via l'anima, paralizzandomi.

Alex resta in jeans e t-shirt. Sorride, forse in difficoltà, e poi cerca con lo sguardo qualcuno nella sala. Me, presumo. Vero?

Mi sbatacchiano di qua e di là. Filippo mi si avvicina.

«Che c'è?» mi urla dentro un orecchio, trapassandomi da parte a parte.

Realizzo di essermi bloccato in mezzo alla baraonda. Smetto di fissare Alex e mi faccio largo verso la porta finestra che dà sul giardino. Esco all'aria aperta.

Filippo mi segue.

«Tutto bene, Fili. Ho solo caldo» dico accelerando il passo, perché voglio stare solo.

C'è qualcuno che fuma e qualcuno che chiacchiera in tranquillità. La musica arriva abbastanza attutita. Mi accorgo solo ora che il giardino è sopra una terrazza a strapiombo sul mare.

Mi avvicino alla balconata in cemento, dando le spalle alla casa.

Filippo non mi molla. Perché non mi molla?

«Tutto bene, Fili» ripeto deciso, perché non voglio sembrare scortese.

Lui si appoggia al balcone. Ha lo sguardo obliquo puntato su di me, da Santa Inquisizione. Che palle! Sì, mi piace Alex, ok? Sono cotto, stracotto, andato, avariato. Vorrei mettermi urlare. Posso mettermi a urlare?

Prima che possa proferire parola, arriva Alex, un po' di corsa, seguito con calma da Ian.

Il dolore che mi assale dritto per dritto, quando lo sento così inaccessibile, mi buca gli occhi e lo stomaco.

«Tutto ok?» mi chiede Alex.

Poi improvvisa una faccia decisamente sorpresa e perplessa, rivolta a Filippo. O è quello che sembra, sotto quel trucco del cazzo. Perché lo guarda così? Cos'è appena successo che non ho capito?

«Sì, ragazzi, tutto ok, si moriva là dentro» mento solo in parte.

Ian si siede sulla panchina. E, come se non si ritenesse già abbastanza figo, si lega i capelli in una specie di chignon e si accende una sigaretta. Ci offre il pacchetto, ma rifiutiamo tutti.

Faccio un breve riepilogo mentale: Ian è indubbiamente esotico, bellissimo, e stanotte dormirà in questa casa con Alex.

Mi porto una mano fra i capelli, sospirando e cercando dentro di me un elenco di motivazioni legali per cui, buttare il re degli zigomi giù di sotto, sarebbe sbagliato.

Mi appoggio alla balconata, dando le spalle al mare. Alex mi raggiunge, si mette accanto a me, cercando il contatto col mio braccio. Sento che mi guarda, è vicinissimo. Vorrei girami e abbracciarlo. Al punto che l'impossibilità mi fa stare male. Perché deve essere tutto così complicato.

Ian ci osserva e credo intuisca qualcosa. Si allunga sulla panchina, appoggiando la testa sulla spalliera e soffia il fumo verso il cielo.

«Eccovi, ragazzi!» esordisce il padre di Alex, arrivando. «Abbiamo aperto tutte le finestre, ora si sta meglio, dentro. Alex, vieni un attimo? E' arrivato Giò.»

Accenno una risata isterica. Mi guardano perché è una risata insensata. Soltanto Alex ne capisce il senso.

«Sì, arrivo, dammi un attimo» dice Alex.

Il padre gli fa un cenno di ok e rientra.

Alex si protende verso di me, in modo da avvicinare la bocca al mio orecchio e sento una scarica di brividi fuori e dentro ogni molecola, fuori e dentro ogni pensiero.

Mi bisbiglia: «Lo saluto al volo, poi ti chiamo e andiamo un attimo in camera mia."

Se ne va.

Mi giro verso il mare per nascondere gli occhi chiusi e il sollievo.

Filippo adesso mi fissa. In modo insistente, tra l'altro. Non credo gli sia sfuggito niente. Anche lui è appoggiato con gli avambracci sulla ringhiera, verso il mare scuro. Ian, dietro di noi, è ormai spalmato sulla panchina.

Trovo il coraggio di girarmi verso Filippo: è giù di corda e pensieroso. Non mi dice niente. Nessun commento. Niente. Tira solo un sospiro sofferente, poi rientra nella sala.

Restiamo io e Ian, che fuma fissando le stelle. Penso ad Alex che sta salutando Giò. Spero evitando angoli appartati.

«La vivi male» dice Ian senza guardarmi.

Lo so che sta alludendo ad Alex. Infilo le mani in tasca e lo guardo. Inutile negare l'evidenza con lui.

«Tu invece non dovresti viverla per niente."

Ma lo sto minacciando? Cazzo, se aveva ragione Alex! Sono rissoso.

«E perché non dovrei?» mi chiede, senza turbarsi.

Se lo strozzo, potrei sempre giurare che è rimasto soffocato dalla sigaretta.

«Solo perché ha un ragazzo segreto?"

Tipo, sì.

«Alex ti farà solo morire.» Dà una tirata profonda, poi mi indica con la mano che regge la sigaretta. «Voglio dire: sei troppo emotivo per permetterti Alex. E' solo la mia opinione personale, ovviamente. Io non sono interessato ad Alex."

Certo. Come no. E io sono la Regina Elisabetta.

«Alex non ama gli obblighi, i sotterfugi, non gli piace nascondersi. Alex prende quello che vuole. E' uno spirito libero, è..."

Mi stacco dalla balconata e mi avvicino a lui, perché la sua voce inizia ad essere troppo sognante.

«Un gabbiano» concludo.

«Esatto, sì. Nessuno è più gabbiano di lui.»

«Nessuno, tranne me» dico, serio.

Ian adesso mi guarda, forse stupito dalla mia risposta, forse preoccupato dalla mia presenza che incombe su di lui, dentro una tuta nera da scheletro.

Ora, non dico d'essere un portatore sano di pettorali come il capitano, ma non sono certo un tipo smilzo. Sono un atleta, sono allenato, e io ti prendo e ti butto di sotto.

«Cri» mi sento chiamare dall'alto. Alzo lo sguardo. Vedo Alex che si sporge da una finestra.

Mi risveglio dalla mia trance aggressiva.

Oddio, panico, da quanto sta lì? Cosa ho detto di imbarazzante e cosa invece ho solo pensato?

«Vieni!» dice.

Resto interdetto. «Mi butti giù la treccia?»

«Idiota! Prendi le scale, sali al secondo piano» lo sento ridere.

Ian ha finito la sigaretta.

Bye-bye, cheyenne.

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