Dieci: Un tempo per ogni storia.

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Le venne la pelle d'oca nell'ascoltare il discorso di Eleanor Mills quello stesso pomeriggio, e non solamente per le parole di apertura che furono capaci di toccare le corde più sensibili del suo animo e di quei demoni contro i quali ancora lottava, seppur maldestramente, nel tentativo di soffocarli fingendo che oramai non vi fossero più, ma anche per quello che l'avvocato raccontò dopo. Terribile. Non era lontanamente paragonabile a quanto aveva subito lei, ed anzi in quel momento Margot si sentì incredibilmente stupida e fuori luogo: come aveva potuto sentirsi rappresentata da quelle parole se lei non aveva vissuto che una minima parte dell'inferno raccontato dall'avvocato Mills?
Eleanor era una donna che aveva sempre seguito da lontano, tramite le testate giornalistiche, con una certa vena di ammirazione per tutto il coraggio che aveva avuto nel denunciare sempre, cosa che Margot – al contrario – si era sempre ben guardata dal fare.

Che cosa avrebbe dovuto denunciare, dopotutto? Lo slut shaming? Che oramai era quanto di più normalizzato vi fosse in ambienti circoscritti ai giovani? Oppure il mobbing? Contro il quale non aveva neppure prove concrete se non qualche voce di corridoio? Non aveva lo stesso diritto degli altri oratori a stare male, dopotutto nessuno l'aveva picchiata o, peggio ancora, violentata.
Luna Johnson era stata proprio brava nel rigirarsi la situazione a proprio favore, e alla fine Margot non aveva potuto che aspettare di avere un minimo di risonanza per combatterla con la sua stessa arma: la tortura psicologica.
Come si suol dire: se non puoi combattere il tuo nemico allora unisciti a lui. Il nemico non era Luna Johnson, troppo facile così, no! Il nemico era quella tacita violenza che come un serpente biascicava silenzioso e invisibile da un orecchio all'altro, sino a raggiungere la psiche, la sanità mentale.
Luna Johnson l'aveva rotta dall'interno, e così Margot aveva cominciato a fare la stessa cosa imitando il suo gioco, colpendola nell'ombra, sui suoi punti deboli. Non era onorevole, 𝒎𝒂 𝒔𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒑𝒖𝒐𝒊 𝒄𝒐𝒎𝒃𝒂𝒕𝒕𝒆𝒓𝒆 𝒊𝒍 𝒕𝒖𝒐 𝒏𝒆𝒎𝒊𝒄𝒐, 𝒂𝒍𝒍𝒐𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒊𝒔𝒄𝒊𝒕𝒊 𝒂 𝒍𝒖𝒊.

( ... )

❝ Margot? Sei venuta, mi fa piacere. ❞

Fu la voce di Gregory Sogliato a riportarla alla realtà, anche lui invitato non solamente in quanto autorità della Columbia, ma anche per il suo aver sposato la causa contro le violenze. Margot questo lo sapeva, tale era il motivo per cui aveva compreso subito il perché delle parole che le aveva rivolto solamente quella mattina. Gli sorrise, accorgendosi solamente in quel momento di impugnare un calice a dir poco tremante in mano, sopra il quale lo sguardo del professore si posò senza tuttavia farglielo pesare.

❝ Hai pensato un po' a quello che ti ho detto stamattina? ❞

Le domandò l'uomo con i suoi soliti modi gentili, ricambiandole il sorriso, ma d'una maniera più calorosa rispetto a quello che gli aveva rivolto Margot. Lei fece spallucce.

« Non lo so... Ha sentito quello che hanno detto su quel palco? Alla fine a me non è successo niente di che. »

Liquidò il discorso, rigirando lo champagne nel proprio flûte con un movimento distratto del polso. Sogliato la guardò contrariato.

❝ Perché sminuisci quello che ti è stato fatto? Così fai solo il loro gioco. ❞

« Nessuno mi ha presa a schiaffi, pugni, o violentata intimamente... grazie al cielo. »

Sogliato alzò un sopracciglio.

❝ Non esiste solo la violenza fisica. Mi hai raccontato di essere stata chiamata con i peggiori epiteti per mesi, di aver avuto un esaurimento nervoso quando una certa persona di nostra conoscenza è arrivata al punto di negarti la valutazione e l'accesso ai suoi esami, spingendosi fino al farti quasi espellere per una colpa di cui non ti sei mai macchiata. Hai detto che William Baldwin è stato licenziato per questo, otto anni fa, vero? ❞

Strinse la presa sul flûte. Era assurdo: erano trascorsi otto anni eppure ancora non riusciva a parlarne.

« Tanto non mi crederebbe nessuno. Ho perso ogni credibilità nel momento in cui... lo sa. »

❝ Anche la madrina dell'evento non è stata creduta per molto tempo, eppure guarda cosa è riuscita a fare. ❞

« Io non sono un avvocato di successo, non ho gli stessi mezzi. »

❝ Ah, no? Ne hai anche di maggiori, a dire il vero: sei una ricercatrice con una cattedra in una delle più prestigiose università del mondo, ti sei fatta un nome, ed anche se è odioso da far notare dobbiamo riconoscerlo: sei la moglie di un pezzo grosso dal quale hai acquisito anche un ruolo attivo nell'alta società, 𝒄𝒉𝒊 𝒐𝒔𝒆𝒓𝒆𝒃𝒃𝒆 non dare rilievo alla tua voce? ❞

Margot a tutte quelle cose non aveva mai pensato. Era sempre stata talmente chiusa nella dimensione nella quale la Johnson stessa l'aveva confinata e relegata da non accorgersi della strada che aveva fatto in tutti quegli anni, e non solo perché aveva sposato "un pezzo grosso" che l'aveva introdotta anche nel proprio jet-set, ma per tutto ciò che era riuscita a costruirsi da sola: la carriera, la reputazione, il talento nello scrivere.
Si strinse nelle spalle, ancora titubante.

« È una cosa grossa da fare... dovrei riaprire un capitolo chiuso che fa ancora male. Ho paura. »

Ma su quelle parole Sogliato le cinse le spalle così da voltarla in direzione di tutte le persone che avevano condiviso le loro storie.

❝ Guarda quelle persone, tutte si sono sentite come ti sei sentita e come ti senti tu. Credi che tra i presenti ci sia qualcuno col coraggio di non credergli? Quel capitolo non si chiuderà mai finché non sarai tu a scrivere la parola 𝒇𝒊𝒏𝒆, Margot. Loro la stanno scrivendo, perché non è un qualcosa che può concludersi in uno schioccar di dita, ma ignorare il problema non ti porterà a nulla. Guarda la loro voce quante persone ha aiutato e sta aiutando... avrei preferito che all'epoca ci fosse stato qualcuno disposto ad aiutare anche te. Mi spiace che non sia andata così, ma sono del parere che una donna forte come te e che detiene il potere che ti sei guadagnata in questi anni dovrebbe sfruttare quanto le è accaduto in maniera costruttiva e non autodistruttiva. Se non vuoi farlo per aiutare gli altri, fallo per aiutare te stessa. ❞

Non voleva voltare le spalle a nessuno, a dire il vero, era soltanto... bloccata. Il solo pensiero di riprendere quella vicenda, di reimmergervisi dentro, la faceva sentire soffocare, esattamente come si era sentita soffocare otto anni prima.

L'aveva affrontata? No. L'aveva superata? Men che meno.

Annuì flebilmente, pensando che in fin dei conti Sogliato aveva ragione: non sarebbe mai finita finché non l'avrebbe fatta finire lei, e se poteva aiutare chi stava passando lo stesso inferno allora tanto meglio.
Non poteva dedicare le proprie energie a creare una vita, ma poteva impiegarle per salvarne qualcuna, magari.

❝ Perché non vai a parlare con Eleanor Mills? ❞

Le domandò Sogliato, pensando che ciò potesse in qualche maniera giovarle. Margot però si irrigidì, abbassando lo sguardo. Non si sentiva in diritto di disturbare una personalità tanto importante, dopo tutto ciò che aveva subito, per annoiarla con i suoi melodrammi esistenziali.

« Magari un'altra volta. »

***

Salve a chi legge, è la prima volta che la voce autrice entra di prepotenza all'interno della narrazione ma è solamente per specificare un'informazione che è giusto puntualizzare: come è scritto nelle info del nostro profilo, ricordo che questa storia è stata scritta nel corso di due anni tramite il roleplay, pertanto talvolta sono presenti elementi da ricondurre a terze parti.
In questo caso, Eleanor Mills è un personaggio ideato e scritto da una terza penna sulla piattaforma sulla quale viene regolarmente ruolata: l'evento di cui si parla in questo capitolo è dunque una sua proprietà intellettuale che è stata molto gentile a concederci per poterne parlare in questo libro ai fini della narrazione della nostra storia.

Scandalumbia ─ Cronache di uno scandalo mai avvenutoWhere stories live. Discover now