Otto: Il licenziamento.

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Le longilinee dita dell'uomo armeggiavano con fare trafelato col nodo della cravatta, se non addirittura con astrusa gofferia. Giacché, per quanto ci si impegnasse, esso pareva non avere alcuna intenzione di assumere una forma quantomeno consona allo stato delle cose. Uno sbuffo spazientito sfuggì alle di lui labbra, del tutto preda di quell'attimo intriso di stizza. Nel corso della sua gagliarda vita avrà indossato la cravatta all'incirca un migliaio di volte; che fosse per imposizione o dovere aveva sempre palesato una certa raffinatezza nel proprio vestiario. Poiché se vi era qualcosa che gli era rimasta improntata nell'animo del modo di fare dei Somerset, questa era senza ombra di dubbio l'ossessiva cura che si aveva per le apparenze. E Dio sa quanto al momento egli necessitava di fare una buona impressione per perorare la propria causa. Lo sguardo di William saettò ogni dove nella stanza, sino a soffermarsi al piccolo orologio appeso al muro. Cazzo. Le otto e un quarto. Aveva all'incirca un'ora per terminare di prepararsi e giungere alla Columbia. Serrò la mascella, l'uomo, per poi lasciar ridiscendere le braccia lungo i fianchi. Vi era un che di spossato in siffatta movenza, come se fosse scevro d'ogni forza ― se non addirittura sul punto di cedere al lento oblio dello sconforto. Eppure perché mai avrebbe dovuto darsi per sconfitto? Egli era innocente. Innocente fino ad un certo punto, certo, ma pur sempre casto nelle azioni. Il suo peccato non era andato oltre il virtuoso desiderio. Aveva bramato, se non addirittura amato una donna a lui preclusa, ma mai aveva fatto sì che la propria affezione si tramutasse in una più che sconveniente e pubblica profferta d'amore. Serrò la mascella, William, mentre con rinnovato vigore si prodigava per sciogliere nuovamente il nodo e ricominciar d'accapo. Afferrò saldamente la gamba della cravatta, per poi incrociarla con la gambetta ― le dita si muovevano con estrema lentezza mentre eseguiva ogni passaggio; passaggio che veniva rigorosamente ripetuto a mente più e più volte, sinché finalmente il nodo non venne eseguito alla perfezione. Fu con una certa soddisfazione che l'uomo osservò il proprio riflesso allo specchio che gli stava dinnanzi. Pareva sicuro di sé, padrone delle proprie emozioni, l'unico e il solo detentore del proprio destino. E fu così che decise di accantonare mentalmente ogni preoccupazione circa la convocazione da parte del consiglio di amministrazione ― in fondo, perché mai avrebbero dovuto sospenderlo o, nel peggior dei casi, licenziarlo quando non aveva mai commesso alcun errore? La sua fama lo precedeva, era venerato e rispettato da chicchessia, persino dalle stesse genti che al momento lo intimorivano; non aveva nulla di che preoccuparsi... vero?

( ... )

❝Professor Baldwin? Ora può entrare.❞

Fu tale la voce che lo ridestò dai propri pensieri. Al proferire della donna, William, le fece un cenno d'assenso col capo e, facendo appello a tutta la sicurezza che aveva in corpo, varcò l'uscio della sala del consiglio di amministrazione. Le mani andarono meccanicamente a dar un'ultima sistemata alla cravatta, mentre con un altero sorriso ne salutò i componenti.

«Vedo che non manca nessuno all'appello.»

Sentenziò, con un'allegria che andò a camuffare tutta la tensione che gli gravava sulle spalle. Il suo era un vano tentativo di rompere il ghiaccio, di metter a loro agio le decine di sguardi che in quell'istante di puro terrore aveva puntati addosso; così come quello d'apparire il più quiete possibile e scevro d'ogni ansia e tedio. Vano, poiché nessuno dei presenti accennò in risposta una risata gioviale, men che meno un sorriso rassicurante.

❝Si sieda, professore. Immagino lei sappia perché l'abbiamo convocata, vero?❞

«Perché mai dovrei essere a conoscenza di ciò che pensa il consiglio? Anche se ho la netta sensazione che non sia per un aumento di stipendio.»

Sentenziò, prendendo meccanicamente posto all'unica sedia libera del tavolo, esattamente di fronte ai suoi interlocutori.

❝No. Alcuni genitori hanno presentato delle .. uhm .. lamentele circa il suo rapporto con una studentessa in particolare e ci tenevam ― ❞

«Cristo Santo! Non ci posso credere che mi abbiate fatto venir fin qui solo per delle stupide voci! Sono pettegolezzi, perché mai dovrei avere un qualsiasi tipo di rapporto con gli studenti? E poi da quando vi divertite a leggere i blog per ragazzine?»

Un'espressione irosa gli delineò il bel volto. Li aveva sempre ritenuti degli allocchi, ma mai quanto oggi aveva dubitato della loro intelligenza o capacità di discernimento.

❝Baldwin! E' una cosa seria e in quanto tale siamo tenuti a prendere dei provvedimenti. Ne va della reputazione della Columbia.❞

«Reputazione? Ma che cazz - »

Fu con un nodo in gola che la voce si affievolì, quasi morente in bocca ― se dapprima aveva avuto un vago sentore, ora non potè che prendere coscienza di quanto pericolosa fosse quella situazione. Serrò la mascella e schiarendosi la gola, ora riarsa, s'issò in piedi.

«Mi state licenziando?»

Si rivolse con tono serioso ai presenti, un tono ch'era ben lontano dal tentativo iniziale di rabbonire gli animi e d'uscirne incolume. Non aveva mai dovuto pensare ad un'evenienza che contemplasse il licenziamento, aveva fin da sempre fantasticato sulla propria scalata alla Columbia. Prima il dottorato, ora la cattedra e chissà magari in futuro una carica più rinomata. Semplice, no? Non per molti, certo, ma per lui? Per lui sarebbe stato solo questione di tempo. O almeno ne era stato certo prima di tutto ciò.

❝Mi dispiace, William. Dobbiamo arginare i danni.❞

«Ma certo, arginare i danni.»

Proferì, con voce pregna di tutto il sarcasmo e il disprezzo ch'era in grado di provare.

«Sacrificando la mia carriera, non le vostre.»

Un silenzio greve ridiscese nella stanza, un silenzio opprimente, quasi cacofonico nella sua sordità; ad alimentarlo vi era solo la rabbia cieca di William che se ne stava lì, in piedi, con un'espressione arcigna che non mancò di far palesare tutto il furore che aveva in corpo ― o almeno sinché non si decise a spezzarlo e a porre fine a quella pagliacciata. Se volevano dargli il ben servito tanto valeva che se ne andasse col proprio orgoglio integro.

«Vedo che ormai avete preso la vostra decisione, non c'è più niente da fare, non mi resta che darvi i miei saluti.»

E senza dar loro modo di replicare, egli girò i tacchi, varcando l'uscio con l'emblematica strafottenza e arroganza ch'era sempre stato solito contraddistinguerlo.

Scandalumbia ─ Cronache di uno scandalo mai avvenutoWhere stories live. Discover now