VIII.2 Vivere Possum

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Quando Alexander arrivò, il signor Johnson lo salutò con più verve del solito, e lui se ne accorse subito. Si sedette al bancone e Harvey non ebbe neanche bisogno di aspettare l'ordinazione, preparandogli senza indugio il suo brandy doppio.

Evitò il suo sguardo, sperando che non se ne accorgesse, anche se non aveva molte speranze che ciò accadesse. Harvey lo guardava sempre, la differenza era troppo grossa per passare inosservata.

«È successo qualcosa? Vi vedo un po' strani» commentò infatti, mentre Harvey lavava un bicchiere prestando all'azione più attenzione del dovuto.

«Ebbene sì, milord, chiudiamo bottega!» rispose il signor Johnson, che quel giorno era di ottimo umore.

«Che notizia infausta, mi dispiace tanto» sussurrò Alexander. «Come mai? Siete andati in fallimento? Posso fare qualcosa?»

Harvey non poté trattenersi dal sorridere sotto i baffi. Di certo il ragazzo stava già pensando di fare qualche follia, come comprare il bar e pagare i suoi debiti.

«Oh no, tutt'altro. Ci trasferiamo per affari! Abbiamo aperto una catena a Liverpool, ampi margini di guadagno! Mi dispiace un po' lasciare il quartiere, ci sono affezionato, ma ne varrà la pena.»

«Vi... trasferite?» chiese, con voce controllata. «Tutti voi?»

«Ma certo che sì!» rispose il signor Johnson, spazzolando i capelli di Harvey con una manata. Non era mai stato più affettuoso di così, forse i soldi gli facevano bene. «Ormai siamo una squadra, giusto Harvey?»

«Giusto, signore» rispose, ancora con gli occhi sulla tinozza. Sentì le guance infiammarsi. Non avrebbe voluto che lo sapesse così, avrebbe preferito parlargliene con calma.

«Capisco» rispose Alexander, a voce bassa. «Vi faccio i miei migliori auguri, allora.»

«Troppo gentile, milord.»

Quando il turno finì, Harvey non gli aveva ancora rivolto la parola. 

Uscirono in strada che come sempre era buio. Alexander aveva assunto un nuovo cocchiere da poco, un uomo ancora più taciturno di George, che non li degnava mai di uno sguardo e dal nome di Dennis.

Il ragazzo aprì lo sportello della carrozza e, come sempre, attese che lui entrasse prima di seguirlo, anche se continuava a lanciargli occhiate più fredde del solito.

Lo sportello si chiuse e la carrozza partì, che nessuno dei due aveva ancora detto nulla. Harvey non avrebbe sopportato passare il viaggio in silenzio, soprattutto considerando che sarebbe stato uno dei loro ultimi viaggi insieme, così parlò.

«Mi dispiace che l'abbia saputo così. Non pensavo che il signor Johnson ne avrebbe parlato.»

«Liverpool» disse solo Alexander. Lo stava ancora guardando con lo stesso astio di prima, mentre Harvey gli lanciava occhiate di sfuggita con la testa rivolta al finestrino. «E a te sta bene.»

«Non è che potevo fare molto altro. Mi avrebbe licenziato.»

«Non mi pare che quello del signor Johnson sia l'unico bar di Londra.»

«Non posso permettermi di perdere il lavoro, per trovarne un altro ci metterei almeno una settimana e non posso stare una settimana senza soldi. Soprattutto, però... in questo modo inizierò a guadagnare sul serio. Sai cosa significa? Potrò mandare Lisbeth a scuola, magari. Potrò avere un appartamento vero, non una casa forse, ma neanche una stanza! Almeno... almeno tre stanze! Una a testa, capisci? Forse a te sembra una stupidaggine, forse per te tra una stanza e tre non c'è differenza, ma per me è tutto, invece» disse, a voce un po' troppo alta. Sospirò. «Non posso rinunciare a questo solo perché non riesco a stare senza di te. Non posso lasciare la mia famiglia a vivere di stenti perché non riesco a stare senza di te. Non posso ignorare l'occasione che aspettavo da tutta una vita perché non riesco a stare senza di te.»

Vita e Amori di Harvey ConnorWhere stories live. Discover now