V.3 La Ville Lumière

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Pochi giorni dopo, ancora prima della fine dell’anno, Sarah trovò una busta infilata sotto la porta.

Non avevano quasi mai ricevuto posta, e mai dopo la morte dei genitori, per cui era da considerarsi un fatto assai curioso.

«Qualcuno ha lasciato un biglietto» disse, aggrottando la fronte e alzandosi per andare a raccoglierlo. «È per te, Harvey.»

Gli porse la busta da lettera che recava il suo nome, in elegante corsivo d’inchiostro nero.

Sig. Harvey Connor, senza indirizzo, a significare che chiunque l’avesse consegnata doveva averlo fatto di persona.

A chiudere la busta, un sigillo in ceralacca verde con tre querce che formavano un triangolo. Aveva già visto quel simbolo inciso sulla pietra, sopra il portone di una villa che ormai conosceva bene. Sapeva cosa quello stemma doveva rappresentare.

Woods.

L’aprì, con l’orribile sensazione che quel messaggio improvviso non potesse portare nulla di buono. 

Alexander non gli aveva mai mandato una lettera, perché avrebbe dovuto? Andava a prenderlo all’uscita dal lavoro ogni sera, quale messaggio sarebbe stato troppo urgente da non poter aspettare poche ore? E, in quel caso, perché mandare qualcuno a infilare una lettera sotto la porta e non andare a parlargliene lui stesso?

Non appena lesse ciò che c’era scritto, restò congelato sul posto.

Caro signor Connor,

Sono desolato dallo scarso preavviso, ma io per primo apprendo della situazione soltanto in questo momento. 

La partenza per Parigi non si può rimandare, la nave partirà dal porto alle sei di questa sera. Temo di non poter più venire a prendervi allo smontare del turno, né oggi né in un prossimo futuro.

Confido nel vostro giudizio, e che non vi attardiate né indugiate in luoghi pericolosi dopo il tramonto. Se la mia assenza improvvisa comportasse per voi qualcosa di male, in cuor mio non potrei perdonarmelo.

Porgete alle vostre sorelle i miei saluti e i migliori auguri.

Per sempre vostro,

Lord A. U. Woods.

Solo quando ebbe letto sino all’ultima riga Harvey parve ricordarsi come si faceva a respirare, prendendo una boccata d’aria.

«Che succede?» chiese Lisbeth, preoccupata.

«Se n’è andato» sussurrò lui, piegando la lettera in due e portandola al petto. «Se n’è andato.»

«Chi?» chiese Lisbeth confusa.

«Dove?» fece eco Sarah, che conosceva la risposta alla prima domanda.

Harvey non rispose a nessuna delle due. Mise la lettera nella tasca sinistra e cacciò una mano in quella destra. 

Guardò l’orologio da taschino con il cuore che batteva a mille. Le quattro e mezza. 

«Maledizione.»

Si ributtò l’orologio in tasca e gettò in terra dei vestiti piegati che stavano sulla cassapanca, spalancandola.

«Ma che fai?» chiese Sarah, avvicinandosi. 

«Devo prendere una cosa» rispose sbrigativo. 

«La tua bussola?» esclamò Lisbeth, che lo osservava con l’aria di chi osserva un pazzo.

«Esatto.»

La bussola di Harvey gli era stata lasciata da suo padre ed era anche l’unico oggetto di valore che avesse mai posseduto. Anche le sue sorelle avevano qualcosa del genere, Sarah uno specchietto in ottone e Lisbeth un’armonica a bocca. 

Vita e Amori di Harvey ConnorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora