V.2 La Ville Lumière

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Harvey capì che Alexander si era messo a dormire e sospirò.

Stava seduto per terra, in una stalla, a mezzanotte del giorno di Natale e aveva il peso del suo amico sul suo corpo, del tutto abbandonato a lui.

Molto biblico, a ben pensarci. Natale, rifugiarsi in una stalla per la notte... anche se, in quel momento, stretto a lui in quel modo, i suoi pensieri di biblico non avevano niente.

Anzi, se Dio avesse perso tempo a frugare nella testa di un nullità come lui lo avrebbe fulminato.

Non si sarebbe spostato da lì per tutto l’oro del mondo, eppure sapeva che quello sarebbe stato un errore madornale.

In primis, perché quando Alexander si fosse svegliato più sobrio quella posizione sarebbe stata imbarazzante. In secundis, perché di certo Sarah si stava preoccupando non vedendolo tornare. In ultimo, perché quella vicinanza avrebbe potuto illuderlo, e lui di illudersi non poteva proprio permetterselo.

Mi trasferisco a Parigi.

Se fosse successo davvero non aveva idea di cosa avrebbe fatto, lui che non era mai uscito da Londra, figurarsi dal Regno. Eppure non avrebbe mai potuto permettere che se ne andasse così. Avrebbe dovuto escogitare qualcosa per forza.

Avrebbe potuto raccontargli la verità, che l’idea di lui lo ossessionava. Sarebbe finito dritto in prigione, ma forse questo avrebbe reso la partenza più facile.

E poi c’era quella frase.

Non esistono amori sbagliati.

Una frase che gli tuonava in testa ogni volta che pensava alle sue sfortune, che aveva la voce di Alexander.

Una frase che era certo lui non avesse mai pronunciato in sua presenza. Del resto, se avessero parlato d’amore se ne sarebbe ricordato.

Eppure la frase sembrava tanto reale, e la sua voce era così naturale, sempre la stessa inflessione, sempre lo stesso tono appena tremante dall’ansia, come se si trattasse di un vero ricordo. 

Forse stava diventando pazzo.

Si tirò fuori l’orologio – un orologio che era appartenuto ad Alexander, come ormai la metà delle cose che possedeva; il suo amico aveva la straordinaria capacità di fare regali senza farli sembrare tali – dalla tasca e guardò l’ora. 

Mezzanotte e trentacinque. Era già passata più di mezz’ora.

Sarebbe rimasto tutta la vita lì in quella stalla a fingere, fingere che Alexander si fosse stretto tanto al suo fianco non perché aveva bevuto troppo, perché aveva freddo, perché aveva la mente annebbiata, ma perché era quello che voleva.

Non poteva lasciarglielo fare, però. Sia perché non voleva impensierire troppo Sarah, sia perché – soprattutto – si sarebbe dovuto tenere buoni Lady Woods e Hector, e per tenerli buoni Alexander sarebbe dovuto tornare a casa subito, e in buone condizioni.

Proprio in quell’istante, lo sentì muoversi contro di lui e stiracchiarsi. Harvey dovette usare tutta la sua forza di volontà per lasciare il suo braccio dov’era anziché ritirarlo terrorizzato e sembrare ancora più colpevole di quanto non fosse.

Alexander aprì gli occhi e come si rese conto di dove si trovava si avvicinò ancora. Il braccio di Harvey assecondò il suo gesto in automatico, stringendolo a sé.

«Sto sognando, vero?» mormorò, sfiorandogli il collo con le labbra e avvinghiandosi più a lui, la voce ancora annebbiata dal sonno.

Harvey rise. «Cielo, no. Dovete davvero aver bevuto tanto, questa sera.»

Vita e Amori di Harvey ConnorWhere stories live. Discover now