II.3 Violetta Valery

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La villa era tanto impressionante all’esterno quanto tra le mura. I soffitti erano alti e luminosi, e casa sua sarebbe stata in ogni stanza almeno due volte. I pavimenti di legno laccato si potevano scorgere solo nei brevi ritagli in cui non c’erano tappeti, e a illuminare le stanze stavano enormi finestre e lampadari di cristallo dalle candele già accese.

Alexander sembrava del tutto a suo agio, i suoi vestiti eleganti lo facevano confondere con l’ambiente come un pesce nel suo acquario, proprio dove doveva essere.

Harvey scosse la testa tentando di non sembrare troppo colpito, non voleva fare la figura del sempliciotto, e decise di rispondere a ciò che il ragazzo aveva detto.

«Sembra una donna… perbene» disse, perché ogni altro aggettivo che gli era venuto in mente non era affatto lusinghiero.

«Sono davvero mortificato. Quando vi ho chiesto di venire a quest’ora non pensavo che sarebbe stata a casa. Lei è un po’... indigesta talvolta, soprattutto ora che mio padre se n’è andato. Non prendetevela troppo, è così anche con me e con Hector, non ha nulla contro di voi.»

«Mi dispiace» mormorò Harvey, che in effetti aveva trovato la donna parecchio indigesta. 

Mio figlio ti spiegherà che devi fare. Almeno per una volta farà qualcosa di utile, si spera…

Conosceva Lady Woods da meno di cinque minuti e aveva già desiderato di strozzarla.

I due imboccarono una scalinata in legno levigato. 

«Non vi crucciate» rispose lui con una scrollata di spalle. «Ci sono abituato.»

Harvey si chiese se le preoccupazioni di Alexander riguardo la sua intelligenza e il fatto che nessuno si interessasse davvero a lui fossero dovuti al comportamento di sua madre e suo fratello, ma preferì non approfondire il discorso, sarebbe sembrato maleducato. 

Giunsero a un grande salone con una parete a finestra, un pianoforte a coda e due pareti con librerie che arrivavano al soffitto, piene di volumi.

Harvey non aveva mai visto tanti libri tutti insieme.

Alla rinfusa nella stanza, due dozzine di casse sparse senza un ordine preciso, colme di varie vettovaglie, e diverse sedie ammassate verso il muro libero, insieme a un tavolo messo in lungo e appoggiato alla parete. 

Alexander gli spiegò dove spostare cosa, su quali casse stare più attento e quali non avrebbe dovuto toccare – “altrimenti mia madre mi taglierà la testa, e pure a voi” – e poi si arrotolò le maniche della camicia e lo guardò eccitato.

«Cominciamo, allora!»

«Cominciamo?» chiese Harvey, perplesso. 

«Non penserete forse che lascerei il divertimento tutto per voi!» rispose lui, sollevando due sedie in un gesto goffo. «Peccato non ci sia mio fratello, lui avrebbe reso tutto molto più facile. È un boxer molto capace, sapete. Anche per questo è il cocco di mamma, in questa casa lo sport è importante. Mio padre era campione di scherma, per esempio.»

«E voi?» chiese Harvey, che sollevò tre sedie per mano senza troppa difficoltà. Era abituato a quel tipo di lavoro, aveva iniziato a lavorare a tredici anni proprio aiutando nei traslochi. «Siete uno sportivo?»

Alexander scoppiò a ridere. «Oh, sì. Sono un grande sollevatore di libri. Non sapete quante medaglie ho vinto! È l’unico sport in cui mi sento di primeggiare.»

Anche Harvey si lasciò sfuggire una risata, a quelle parole. «Da quello che ho visto ieri, siete anche un grande sollevatore di bicchieri!»

«Touché» rispose lui, divertito. «Ma non ditelo a voce troppo alta, o mia madre mi prenderà per un indecoroso alcolizzato... che poi sarebbe più o meno la verità.»

Vita e Amori di Harvey ConnorWhere stories live. Discover now