I.2 Il Principe e il Povero

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Harvey sbatté le palpebre per qualche secondo, confuso, poi si diede uno schiaffo più forte che poté. La guancia gli bruciò tanto da farlo sussultare.

«Sono davvero un idiota» borbottò, scuotendo la testa. 

Il fatto era che la situazione pareva tanto assurda da sembrare un sogno. 

Pensò che se la sarebbe anche potuta dare a gambe, ma il ragazzo gli aveva appena dato il soprabito e non gli andava di passare per ladro, non dopo che era già stato derubato una volta quella notte.

Tuttavia di andarsene senza, lasciandolo appeso alla porta, non se ne sarebbe potuto proprio parlare.

Faceva davvero un freddo fottuto, e il suo cappotto era fradicio per la rotolata in strada e la pioggia di whisky, si era strappato più di prima e di certo avrebbe dovuto buttarlo, ormai era insalvabile.

«Grandioso» mormorò, sfilandoselo e buttandolo a terra. «E ora chi me lo compra un altro?»

Si chiese come diavolo avrebbe fatto ad andare e, soprattutto, tornare dal lavoro nei giorni seguenti. Stavano appena entrando nella stagione fredda, il tempo sarebbe solo potuto peggiorare.

Si infilò il soprabito di Alexander con attenzione, quasi avesse paura di romperlo anche se aveva tutta l’aria di essere il capo di abbigliamento più solido che si fosse messo in vita sua, e quando l’ebbe fatto fu investito dall'odore di colonia. 

Non aveva mai sopportato tanto i profumi troppo forti, ma si ritrovò ad apprezzarlo, doveva essere di buona qualità. Ogni volta che inspirava, poi, l'immagine del ragazzo sorridente gli lampeggiava nella mente, il che contribuiva di certo al suo gradimento generale.

Se lo abbottonò in tutta fretta e scoprì che era davvero molto più caldo del suo e che si sentiva già meglio. Si osservò con attenzione, mordendosi il labbro. Gli andava corto sulle maniche e un po' stretto di spalle, ma era comodo.

Salì anche lui le scale che portavano al piccolo portico, e si affacciò a spiare da una delle finestre. 

Restò incantato a guardare, con la bocca socchiusa dalla meraviglia.

Il salone era gremito di persone, tra chi ballava e chi stava in piedi vicino alle tavolate a bere da lunghi calici cristallini. Addossati alla parete c'erano diversi divani su cui sedevano alcune signore massaggiandosi le caviglie, coi loro ventagli leggeri e sorrisi timidi, un vestito più ampio e colorato dell'altro.

In un angolo, un uomo impettito con un pomposo abito blu suonava da un pianoforte a coda laccato in nero e in oro che pareva uscito da un libro di favole, e al centro della sala decine di coppie danzavano tra mille svolazzi di stoffa. 

Era tanto immerso nella sua curiosità che l'apertura improvvisa della porta d'ingresso lo fece sobbalzare.

«Signor Connor?» la voce incerta del ragazzo lo colpì. Forse si era davvero aspettato che lui se la fosse data a gambe col suo soprabito. 

Del resto, perché sorprendersi? Alexander l’aveva visto ridotto in quel modo e di certo aveva dedotto che Harvey non poteva essere poi tanto diverso dal tizio che aveva appena cercato di fargli la pelle.

Per qualche motivo, il pensiero l’offese e gli fece male.

«Oh, siete qui. Mi avete fatto prendere un colpo» disse, con un sorrisino che sembrava imbarazzato. Harvey stava giusto per dirgli che se ne sarebbe andato subito, quando aggiunse, «sapete, ho sempre l'impressione che a nessuno piaccia parlare con me. Cinque minuti e si volatilizzano tutti. Buffo, non trovate?»

«Io... cosa

Alexander alzò le spalle. Aveva due bicchieri in mano, entrambi pieni, e gliene porse uno. Indossava un soprabito diverso, nero come l’inchiostro, che sembrava meno perfetto dell'altro. Del resto, non era fatto su misura per lui. 

Vita e Amori di Harvey ConnorМесто, где живут истории. Откройте их для себя