C A P I T O L O 19

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—Quindi... non hai una ragazza che si chiama Abbie— concluse per poi guardare il cielo.

—È un modo di chiedermi se ho una fidanzata?

—No!— risponde di scatto sulla difensiva— La tua vita privata non mi interessa.

—Però hai insistito per vedere mia sorella.

—È una bambina, e mi dispiace per lei, chissà che pena averti in casa tutte e ventiquattr'ore!

—Sarebbe un onore— affermo.

—Un onore che nessuno sarebbe lieto di godere— anche da ubriaca esa babosa non smetteva di tintillare.

D'improvviso iniziò a sbiancare, e la vidi letteralmente stordita.

—Stai bene?— domando avvicinandomi.

—Si, mi fa solo male la testa— era ovvio che dirlo così è pari a limitarlo— Mi sa... mi sa che devo vomitare.

—Ti accompagno in bagno.

—No! Sto bene, sto bene, sto bene— insiste allarmata.

—È chiaro che non stai bene— cerca di alzarsi ma appena lo fa inizia a ridere— hai bisogno di acqua— affermo prendendole gli avambracci che coprivano il viso, ma non collabora e invece di camminare appoggia la fronte all'altezza del mio petto.

Deglutii.

Era la prima volta che gli ero così vicino, notai che era bollente.

—Lasciami. Stare.— disse come se si fosse appena svegliata.

—Andiamo— dissi cercando di cercando di farla camminare.— Ti porto in bagno.

—Ho detto che sto bene— certo, stava bene però non riusciva a reggersi in piedi senza tenersi sul mio braccio.

Lasciai perdere le sue proteste e la portai in bagno.

Non mi sentii in colpa ad entrare nel bagno delle donne, era una buona causa.

—No, l'acqua no!— gridò tirandosi indietro— fa freddo, per favore no!

Gli presi i polsi con la forza e aprii l'acqua fredda al massimo, gli tenni i polsi sotto la corrente e sembrò tranquillizzarsi, poi iniziò a singhiozzare.

Oh Dio, dopo questa non l'avrei più voluta vedere per almeno due settimane.

—Perché piangi?— chiesi arreso.

—Non sto piangendo!— gridò e trattenni una risata, poi chiusi l'acqua.

—Può andar bene così— dissi per poi prendere dei tovaglioli e asciugarla, se dopo ciò mi avrebbe trattato con acidità avrei dimenticato di essere educato. In seguito presi dell'acqua e la feci sedere di nuovo, per quanto ne so, una persona ubriaca aveva bisogno di idratarsi. 

—Su, perché piangi?— le chiesi, dato che piangeva a singhiozzi, ebbi il dannato istinto di asciugarle le lacrime, ma non le piaceva essere toccata, quindi dubitai se farlo, pensiero che ignorai, e le appoggiai la mano du una guancia, come risposta, si rilassò ed incastrò metà della sua faccia in essa, aveva il viso bollente ed il mascara sparso per la faccia, cercai coi polpastrelli di aggiustare qualcosa, ma fu invano.

—Voglio il mio cappotto— disse mugolando.

—Hai freddo?

—No.

—E perché vuoi il tuo cappotto?— chiedo confuso, ma finisce per piangere ancora di più e coprirsi il viso con le mani.

—Perché non ne posso più.

—Non capisco, Ella.

—Stanno tutti bene qui, sono tutti belli— continua a piangere, ma la sua sintassi era incomprensibile.

—E allora?

—E allora non posso stare qua. Voglio andare a casa— implorò, ma in questo stato, non penso che i suoi genitori la prenderebbero bene— E voglio un abbraccio— mi guardò speranzosa, non era lucida, ma nemmeno stupida, ed io non ero insensibile, quindi la avvolsi fermamente tra le mie braccia, appoggiai il mento sulla sua testa,  e in seguito le labbra, fu un gesto istintivo, non me ne faccio una colpa, ma avrei potuto evitare.

—Va meglio?— chiedo.

—Un po'— non stava piangendo, ma respirava pesantemente, si attaccò di più a me.

La osservai mentre si guardava le braccia, poi le cosce, quindi spostare lo sguardo, non sono di legno, ed Ella non mi è del tutto indifferente.

Si guardò attentamente le unghie lunghe, viola, rigorosamente a punta, e come se fosse da sola iniziò a stringere forte le sue cosce, ma molto forte, ero confuso, ma la prima cosa che feci fu prenderle le mani con forza e staccare quelle dannate unghie lunghe che stavano trafiggendo la sua carne, era rimasto un bel segno, rosso, come quelli che ti lasciano i gatti.

—Non farlo— mi limito a dire.

—Perché?

—Perché ti fai male.

—E allora?

Questa non era ubriaca, era pazza.

—Cazzo Ella, non devi farlo, non c'è motivo.

—Si che c'è.

—Ascolta se ti sei fatta qualche paranoia giuro che mi incazzo.

—Non ne avresti motivo.

—Nemmeno tu di farlo, non te lo meriti.

—Non puoi saperlo— dice lei— non voglio discutere con te, non anche ora— ammise— grazie.

—Per averti salvato da un coma etilico? Non c'è di che.

Alle mie parole scoppiò a ridere, poi a piangere, ed infine tutto insieme.

—Spero davvero che sia l'alcol ad averti dato alla testa e che non sia così di tuo, altrimenti te la faccio pagare— Ah si Damiàn, e in che modo?

Per caso sei anche tu brillo?

Perché a quanto pare ti stai facendo prendere dal tenero.

Mi guardò di nuovo speranzosa, più tranquilla.

Signhiozzò solo per un paio di minuti, poi si accucciolò sui divanetti per qualche ora, e la mia morale mi obbligò a stare con lei.

Fu un'esperienza da non ripetere, come tutte le esperienze con quella pazza, d'altronde.

Alla fine si "svegliò" e tornò a casa con Edith, che stava peggio di lei.

Non me lo aspettavo.

O forse si.

O meglio, e se si facesse del male?

O magari mi sto facendo un film mentale ed era solo ubriaca.

D'altronde, io non sto benissimo, non sono ubriaco, ma nemmeno sobrio.

Questione di fiducia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora