FROM THE ASHES (V)

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La voce quieta del mare
in questo cielo oscurato
da nuvole di pioggia
ti porta lontane memorie
e meno triste appare
il buio della sera.
(Nelson Cenci).

- Armin, se oggi ti chiedessi di guardarti allo specchio, ti considereresti bello? -

Nel grigiore dell'imminente crepuscolo si percepiva a malapena il ruggire della tempesta passata sulla città, il liquido acciottolare delle ultime luci artificiali nelle pozzanghere mentre nuvole di cobalto si sfilacciavano in quel caldo acquerello che annunciava la fine della giornata.

Arrivato a quel punto, il ragazzo non avrebbe più dovuto temere cosa il futuro potesse riservargli sicchè il passato aveva già provveduto a fargli conoscere il peggio, tuttavia nessuno più di lui - a parte la Dottoressa Cynthia - era in grado di percepire quanto in realtà fosse ancora vicino dal recriminare la sua debolezza, in quell'istantanea dove a una presunzione mai resasi tale erano corrisposte crudeltà assortite.

Era la sua pelle quella che si accostava a una spigolosa stuoia pallida?

Oppure erano state le sue mani, i suoi zigomi, le sue braccia, i suoi pettorali, quei fianchi che il solo coprire con l'innocenza di un capo innescava la consapevolezza di un che di sbagliato, di scheggiato, se non di irrimediabilmente spezzato, ad aver confuso tutti gli equilibri?

- No. -

Perché lo aveva amato in silenzio, quel corpo tanto rincorso, senza urlare o sbraitare per il non poterlo mai effettivamente toccare.

Cynthia si limitò ad annuire, senza annotazioni o gestualità da cui si potesse evincere una qualsivoglia peculiarità del suo approccio, al che fu lui, stavolta, a porre una domanda.

- Si aspettava un risposta diversa? -
- Cosa ti spinge a dedurlo? -

Nulla, a parte l'ammontare di un flusso che non concerne soltanto il tempo, bensì comprensione e aspettative postulanti una realizzazione che, giunti a quel punto del sentiero, lui dovrebbe dominare anziché convivere con un cuore tutto fuorchè sgravato; invece arrancava ancora con i timori vetrificati a ogni incauto deglutire, memore della frustrazione di una famiglia stanca di elargire accondiscendenza senza ricevere nulla in cambio e della superbia dei passati specialisti rivoltiglisi con la supponenza di volerlo riparare attraverso un'ammissione di colpa per come lo squadrato riflesso delle lenti attua a incorniciare un'apparente neutralità volesse suggerirgli parole travagliose nell'umiliazione che ne ingozzava i pensieri.

- Armin, sai perché sei qui? - La domanda di rito che si affacciava al suo personale labirinto degli orrori.
- Mi è stata diagnosticata un'anoressia nervosa dopo che sono stato trovato in bagno a vomitare sangue. Ho...Rischiato seri danni all'esofago. -
- Vai avanti -, lo invitò dolcemente lei.

Il ragazzo inspirò, accucciando la testa nelle spalle, le palpebre a preparare il terreno mentre rinveniva dal vagabondare sulla moquette.

Sedevano nello studio con il silenzio a fargli da padrone, uno di quelli resosi così rassicurante ai sensi di Armin da permettergli di avvolgerlo in un bozzolo invisibile, di sprofondare pur mantenendo lo sguardo rivolto alla superficie.

- Non mi piacevo com'ero fatto. Non riuscivo a focalizzarmi su null'altro che non fosse il mio corpo, su quanto fosse raccapricciante guardarlo allo specchio e saperlo mio. Vista la considerazione che avevo della mia pelle, vestirla era qualcosa dentro cui arrancavo in continuazione, e credevo che indossando quel paio di pantaloni quell'immagine si sarebbe alterata in qualcosa di diverso, che...che mi avrebbe fatto sentire...Bene. -

Cynthia annuì lentamente, tenendo per sè la considerazione su quel "Bene" che Armin aveva previlegiato al posto di "Bello".

- Però...Nulla di quello che facevo sembrava stesse funzionando. - Il tremore nella voce si inspessì nella nota solinga verso cui avrebbe voluto digrignare il suo disappunto e che invece lasciò rilucere pur di non arenarsi - Perché....Era la sola idea di avere del cibo nello stomaco a nausearmi per davvero, a essere il vero problema. Perchè...Perché...Anche contando le calorie percepivo il controllo scivolare via inesorabile... -

Strinse i pugni più che potè, ritirando le labbra dentro la bocca, lottando per non lasciarsi seppellire sotto il velo di lacrime che ciondolava incombente fra le arcate inanellate dalle ciglia.

Perché doveva essere così arduo ostentare indifferenza su come la continua messa in mostra dei suoi segreti sapesse penetrargli l'anima al punto da evidenziarne un'inattaccabile fragilità?

- No, io...Non mi sento bello, né...Sento di essere progredito. Non so neanche se posso... -
- Eppure prima che cominciassimo a parlare di un qualsivoglia argomento non abbiamo fatto altro che sedere su queste poltrone per almeno due mesi senza mai parlarci. - Cynthia lo riportò a galla, da sé, in quello studio, proprio fra i guanciali dove egli stesso aveva intessuto la sua angoscia al fine di mutare la considerazione di sè - L'Armin che è entrato qua dentro circa un anno fa, che la solitudine è riuscita ad avvelenare con la convinzione che nessun'altro al dì fuori di lui avrebbe potuto comprendere l'importanza del suo obiettivo non aveva nulla di sbagliato, se non essersi lasciato autodistruggere dal suo stesso perseverare. Con ciò non voglio affermare che quel ragazzo sia svanito, ma per come mi si era presentato non si sarebbe mai confidato con me come hai appena fatto e questo perché adesso sei in grado di percepire quel limite da te superato. Sai riconoscerne la valenza e non è cosa da poco, anzi: è un passo importante. Come la tua storia. -
- La mia storia non è importante -, mormorò Armin, accartocciandosi con le ginocchia al petto - E'... -
- Importante -, ribadì la Dottoressa - Quanto lo sei tu. -

Anche se di poco, il nodo indecente alla gola si sciolse, la rabbia sfumò in un'ombra sopra cui venne immediatamente gettata luce.

Voltare pagina richiederebbe di distruggere ogni cosa, spodestare l'immagine a lungo rincorsa del suo valore, se non snaturare la volontà immessa in quella causa di cui Cynthia ha figurato l'entità, qualcosa di ancora così sconfinato e incredibilmente monopolizzante da impedirgli di considerare la felicità con veste discinta dalla sua ingenità fugacità.

Non poteva ancora piangere senza percepirsi debole, patetico.

Però se fosse riuscito anche solo a tenersene distante, a non avvicinarsene nuovamente perché insozzato dalle battute offensive che lo avevano condannato, sarebbe stato un traguardo degno di un sorriso.

Dentro l'Anima.Where stories live. Discover now