1.28 - Risonanza

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«Il tuo caffè.»

«Oh, grazie mille, Eris.» Maxime spalancò la bocca e si stiracchiò con le braccia al soffitto.

«Sono diventati introvabili da quando è arrivato il Vertice qui.» Prese nel frattempo la tazza dalle mani dalla sua giovane assistente a tentoni, cercando di non farlo versare sulle montagne di carta che ricoprivano la scrivania.

«Queste vacanze non le ho sentite proprio. Mi sembra di non aver mai staccato il sedere dalla poltrona.»

«Perché non resti a casa qualche giorno?»

«Non ho avuto neanche il tempo di un pranzo decente, oggi. Dove pensi che lo trovi un momento di riposo?» Si gettò contro lo schienale della poltrona e soffiò il fumo sulla bevanda calda. Il suo sguardo fiacco sparì dietro la patina bianca comparsa sulle lenti.

«Dicevano che se ne sarebbero andati dopo la fine dell'anno...» Eris mal sopportava vedere il suo patrigno ridotto in quel modo: a casa restava in piedi fino a tardi nel suo studio, chinato a leggere malloppi di documenti distanti anni luce dal titolo di studio, con gli occhi sempre più incavati. Per avere quasi cinquant'anni, il fisico sembrava dimostrare il doppio.

«Come mai sono ancora qui?»

«Chiedilo a Kepler...»

Il direttore allontanò le labbra dalla tazzina e accavallò le gambe, prima di rispondere ai suoi dubbi con calma. Sfoggiava un simpatico paio di calzini rossi e bianchi con le renne disegnate; una rottura di stile rispetto al suo atteggiamento sempre serio e professionale. A Eris scappò un piccolo sorriso.

«Ha chiesto una proroga delle indagini al Consiglio dei Vertici, che a sua volta ha rimandato il rientro alla Capitale per gli esponenti del Dipartimento di Ricerca a data da destinarsi. A quanto pare, tutte le ricerche fatte finora a Whitebread non sono servite a nulla, se non a dedurre che hanno sempre sbagliato a voler cercare le loro risposte in questa città.»

«E dove vogliono cercarle, adesso?»

Maxime si leccò le labbra e sospirò in silenzio. Poi, tolse un pannetto dal taschino del camice per pulirsi gli occhiali appannati. La risposta sembrò proprio sfuggirgli di mente.

«Devono praticamente ricominciare tutto da capo. C'è talmente tanto lavoro per quelle indagini che ho dovuto convertire il reparto di produzione delle protesi in un centro di ricerca sulle onde gravitazionali.»

Gettò il bicchiere vuoto nel cestino sotto ai piedi, in mezzo a una ventina di altri simili, sicuramente non suoi.

«Quindici anni di lavoro buttato via in meno di tre settimane. Non che non mi dispiaccia salvare il mondo, certo, ma vorrei anche salvaguardare la mia salute fisica e mentale.»

La piccola receptionist storse le sopracciglia. Qualcosa le suggeriva che la proroga a tempo indeterminato fosse soltanto un pretesto del Vertice e dei suoi aguzzini per allungare le sue "vacanze" a spese dell'azienda. In più, si sentiva ignorata di proposito da Maxime per qualche motivo, il quale continuava a confabulare tra sé e sé ad alta voce anziché rispondere alla domanda precedente.

«Quello che ho potuto fare per non farli finire come me, è tagliare le ore di lavoro ai nostri dipendenti. Spero almeno dormano sonni migliori dei miei...» Si portò un pugno sulle labbra e sbadigliò ancora. «Soprattutto, che dormano...!»

«Lo spero anch'io.» La ragazzina fissava il pavimento come a volersi perdere tra le intercapedini del parquet. «Io torno alla reception. Buona giornata, Maxime.» Voltò le spalle al direttore e aprì la porta per andarsene.

«Andiamo, Eris, quando finirai di chiamarmi Maxime e comincerai a chiamarmi papà

La sua mano si strinse piano all'uscio. Un grumo di parole si formò in mezzo alle corde vocali. Avrebbe voluto chiedergli cosa sapesse sul suo potere sconosciuto e del Vertice Dot. Soltanto loro due sapevano la verità sulle sue vere origini, oltre al padre di Kepler, ma l'argomento era un tabù in casa Anchovy.

Just a Pretense Vol. I - Break the RoutineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora