1.21 - Rientro

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Il vertice della piramide si potrebbe considerare il pezzo più importante della struttura, ma è anche quello con meno appoggi in assoluto.

Possiede la base più estesa (considerando il resto della piramide come tale) ma, preso da solo, si rivela essere invece il mattone più fragile, il primo che il vento si porterà via alla prima folata più forte.

È l'unico pezzo senza un qualcosa che lo mantiene dall'alto e lo ripara dalle intemperie.

Le nostre convinzioni sono come una piramide: più sono piantate al terreno, più sono difficili da smuovere.

Dot era abituata a dormire poco da molti anni: quale miglior occasione per osservare le luci fosforescenti della città se non durante le ore piccole. Eppure, quella notte non aveva voglia di scrutare le scie luminose attorno ai palazzi. Girava e rigirava le gambe tra le lenzuola senza un attimo di tregua, sfogliando il suo libro preferito. Lo faceva quando non riusciva a prendere sonno, e spesso e volentieri finiva addirittura per ricominciarlo da capo una decina di volte prima di riuscire ad addormentarsi. Colpa anche di concentrarsi poco nella lettura e tornare sempre sugli stessi paragrafi.

"Uomini e macchine", questo il titolo, era stato scritto dallo stesso uomo a cui era dedicata la statua al centro di Whitebread: il matematico Matthew Basketts. Si trattava di una raccolta di riflessioni filosofiche che mettevano a confronto la rigidezza della matematica con l'elasticità dei pensieri umani. Il libro era stato pubblicato postumo e senza conclusioni: non bastava una vita umana per rispondere a tutti i quesiti.

Un suono non può propagarsi nel vuoto, ha bisogno di un mezzo per viaggiare, come l'aria.

Un pensiero, invece, è capace di causare il rumore più insopportabile esistente nel nulla più totale. È un suono che si comporta come la luce.

In assenza di luce, tutti i pensieri tendono ad amplificarsi e invadere ogni angolo della mente, liberi dalle catene delle distrazioni del giorno.

Chiuse il libro e lo appoggiò accanto alla scatolina delle pillole e il bicchiere d'acqua. Lo bevve tutto d'un fiato e poi si rimboccò le coperte. A Whitebread era arrivato l'autunno, con i suoi primi sprazzi di freddo.

«Nell'oscurità, le parole pesano il doppio...»

Si ricordò della frase scritta sul retro della copertina del libro. La adorava alla follia per la scarica di adrenalina che provocava nel pronunciarla come un mantra. Sprigionava una potenza inaudita dentro di sé. Rifletteva a pieno il suo stato d'animo attuale.

Spesso, Dot si sentiva un punto al centro di una massa di oscurità impenetrabile, dove nessun occhio era in grado di scrutare al di là dei suoi confini. Una singolarità: il cuore di un buco nero, impossibile da osservare perché protetto dall'orizzonte degli eventi.

Eppure, in quella voragine infinita, rimbombava l'eco di un pensiero, tutti i giorni, a tutte le ore. Un rumore bianco che nell'oscurità, pesava il doppio.

Per lei, la vita singola dei suoi "sudditi", come li aveva apostrofati Jack una volta, non aveva mai avuto chissà quale grande importanza. Una massa informe di voci impossibili da distinguere. Un cielo stellato che brillava uniforme. Una distesa immensa di granelli di sabbia bianca e fine.

In tutte quelle situazioni, quello sciocco pallone gonfiato era la voce più chiassosa, la stella più splendente, l'unico granello di sabbia diverso da tutti gli altri. Lei, solo una patetica "stronza" agli occhi suoi.

Si era fatto beffa della sua divisa decine e decine di volte e lei continuava a ripagarlo con la sua stessa moneta ogni dannatissima volta. Un loop infinito a chi gonfiasse di più il petto, dove la parola umiltà diventava un'utopia. Perché valesse la pena continuare a sprecare tempo in quel modo, ancora non le era molto chiaro. Forse aveva tempo da perdere, a differenza del resto del mondo.

Just a Pretense Vol. I - Break the RoutineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora