1.6 - Occasione

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Tre vetture nere si fermarono tutte in fila nel parcheggio esterno di MaxOS. Uscirono dieci uomini in giacca e cravatta, eleganti e puliti. Lo stemma del Dipartimento di Ricerca risaltava sulle loro valigette di pelle, dietro l'onnipresente triangolo verde: un triangolo bianco con la punta rivolta verso l'altro, nonché simbolo della famiglia Aust: i fondatori di Vertex.

La punta di diamante, i migliori del loro campo: cinque astrofisici, due matematici e tre ingegneri; selezionati dal Vertice in persona per studiare il fenomeno più criptico di Whitebread: la sparizione di parti di città o addirittura di singole persone, provocata da un collasso della gravità verso un'altra dimensione sconosciuta.

Il suo alone di mistero attirava ogni anno una sfilza di amanti del paranormale e cacciatori di misteri, dalle teorie più fantasiose: complotti, alieni, fantasmi; addirittura c'era un gruppo di persone che credeva esistesse una grossa creatura invisibile sotto i piedi della gente, in grado di risucchiare i malcapitati che osavano disturbarla con il rumore dei mezzi di trasporto.

La scienza non accettava superstizioni tra le sue file. Non esisteva alcun mostro o spettro maledetto. Tutto aveva una spiegazione razionale per Vertex. E se non c'era, era perché non era stata ancora trovata. L'ipotesi più accreditata, secondo gli studiosi, risiedeva in una misteriosa interazione gravitazionale tra il piano spazio-temporale attuale e qualcos'altro di ancora non identificato, dall'altro lato del lenzuolo cosmico. Per quale motivo, però, proprio in quel minuscolo angolo sperduto dell'immenso universo? Che si trattasse di entità superiori avverse alla Terra, stanche del trambusto dei suoi irriverenti pidocchietti? Oppure degli strascichi degli esperimenti che si tenevano molto tempo fa alla Torre Vertex?

Uno dei ricercatori guardò le lancette dell'orologio: segnavano le dieci in punto. Neanche un secondo di ritardo o Dot li avrebbe sbranati vivi. Per loro fortuna, lei non era ancora lì.

«Dov'è il Vertice?»

«Starà facendo ritardo come al solito. E poi siamo noi i ritardatari.»

«Prega non ti abbia sentito...!» Ruppe la serietà uno di loro con una risatina. «Quella lì ha orecchie anche su Marte!»

«Parli del diavolo...»

La portiera del suo bolide si aprì senza ausilio di nessuno. Sbucò una mano minuta e affusolata attorno al metallo tetro; un mocassino nero toccò il cemento con disinvoltura, poi il suo gemello lo seguì con il bianco delle cosce al seguito. Dot era in piedi davanti ai suoi uomini, sventolando le chiavi del suo mezzo in mano.

Allontanò la sua montatura scura dal viso con due dita e porse il piccolo telecomando a uno dei tipi eleganti, «Va' a trovare posto, non riesco a guidare con questo sole.» si stropicciò gli occhi col polso e indossò di nuovo gli occhiali da sole.

«Seguitemi, voi.» sollevò una mano per chiamare gli altri a sé, «E il fattone dov'è?»

«Il dott. Aust ha detto che sarebbe arrivato il mese prossimo.»

«Allora vorrà dire che lo strozzerò due volte, quando arriverà.»

Entrarono tutti in blocco in azienda. Nessun comitato di benvenuto, nessuna festa per il loro arrivo. Sembrava proprio che qualcuno si fosse dimenticato che giorno fosse in quell'azienda.

Eris si accorse dei nuovi ospiti dal campanello della porta scorrevole; sollevò la sua massa di capelli corvini caotici e si ritrovò faccia a faccia con l'indiscusso e inviolabile leader del mondo intero in carne e ossa, accerchiato da nove dei suoi uomini in giacca e cravatta.

Il Vertice si chinò sul bancone e appoggiò i gomiti, senza curarsi dell'espressione congelata dell'addetta alla reception. Si tolse gli occhiali, per poi riporli nel colletto della maglia.

Just a Pretense Vol. I - Break the RoutineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora