The Archer

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5. The Archer







Mancavano due giorni, alla cena a casa di Taylor. Il solo pensiero che ci sarebbe stato anche lui, mi portava indietro nel tempo a quando andavamo insieme da qualsiasi parte. Mi venne in mente quando stavo pulendo il bancone, quel pomeriggio. Ero tornato dall'università dopo aver ascoltato la lezione del signor Raye sugli elementi di attività motoria e Lloyd si era offerto di darmi un passaggio fino al bar, fermandosi anche a prendere qualcosa. Alla fine, aveva deciso di passare la serata con me portandomi in un pub e stava aspettando che finissi il turno, previsto per le venti circa. Era seduto ad uno dei tavoli sul fondo, col suo computer di medie dimensioni, che scriveva qualcosa per l'università. Gli portai un latte macchiato e degli stuzzichini, offrendoglieli gratuitamente. Lo lasciai studiare tranquillo, a volte mi chiamava o mi guardava, e poi sorrideva.

Stavo servendo una birra alla spina, quando la porta si aprì e Louis entrò. M'immedesimai nella parte in cui non gli davo troppe attenzioni, un po' per non incuriosire Lloyd, un po' perché era particolarmente bello, quella sera. Indossava una polo bianca, dei jeans neri aderenti sulle cosce e svasati sulle caviglie. C'era qualcosa che mi piaceva, nel suo modo di vestirsi così semplice, ma al contempo così suo, così particolare. Le curve del suo corpo vedo non vedo, ed io pensavo che n'era sempre valsa la pena, guardarlo con gli occhi pieni di scintille e un nodo alla gola, ogni volta che eravamo in una stessa stanza, nello stesso posto.

Si avvicinò al bancone con un sorriso timido, l'aria leggera e un buon, buonissimo profumo. Così forte che lasciò la scia, provocando il battito accelerato alla mia pulsazione cardiaca. Le mie ciglia sfarfallarono, cercando di non incollarsi alte, mentre la foresta ripida e sfumata attorno alle mie pupille si apriva in un sentiero destinato al suo attraversamento, inondandomi d'acqua. Se i nostri occhi si fossero incontrati, mi sarebbe scappato da mano il bicchiere che ero intento ad asciugare.

«Un Martini Dry» sorrise.

«Non serviamo cocktail prima delle ventidue.»

«Uhm, allora una birra?»

«Come?» risposi, guardandolo, soffermandomi sul colletto della sua maglia. Era possibile vedere un accenno del tatuaggio che aveva sul petto. Anch'io, avevo dei tatuaggi, e tutti fatti dopo che lui non fosse più nella mia vita. Forse per questo si fermava a scrutarmi, perché gli avevo sempre detto che non ne avrei mai fatto uno e, adesso, ne avevo circa una ventina, se non di più.

«Una Corona con limone e sale.»

Presi la bottiglia dalla cella, la stappai e ci tagliai una fettina di limone, inserendola nel collo della bottiglia, cospargendo del sale fino sui bordi dell'apertura. Gliela porsi ghiacciata, lui pagò e lasciò la mancia sul piattino come d'abitudine. Si accomodò e, tirando un sospiro di sollievo, mi occupai di sparecchiare alcuni tavoli dove persone avevano lasciato un disastro. Nel frattempo, mi sentii chiamare con un fischio; chi poteva essere, se non l'universitario?

Lover [Larry Stylinson]Where stories live. Discover now