Capitolo 3

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Così erano usciti a braccetto, e avevano parlato molto. Henry discuteva spesso riguardo ad argomenti come le sue invenzioni e i suoi marchingegni e Charlotte aveva sorriso anche quando non capiva appieno tutti quei concetti.

Aveva intuito, dal suo sguardo, che quelle per lui non erano solo stupide invenzioni, ma che il suo sogno era quello di creare qualcosa di utile per il mondo degli Shadowhunters.
Aveva riso, per le stramberie di Henry, per i suoi modi un po' troppo entusiastici, per i suoi gesti impacciati e per la sua grande distrazione.
Quando aveva iniziato a piovere lui l'aveva fatta sedere su una panchina al riparo dall'acqua.

E come poteva scordarsi ciò che era successo pochi momenti dopo?
Henry che l'aveva osservata a lungo, come se ad un tratto tutta la bellezza e l'entusiasmo che provava verso le sue invenzioni, fosse catturato dentro i suoi occhi. Erano rimasti in silenzio per molto tempo, e Henry si era avvicinato timidamente.

L'aveva baciata, per la prima volta, frettolosamente, in modo inesperto e svelto, e si era allontanato rapidamente, per poi guardarla, timido e nascosto dietro ad un rossore vistoso che colorava le sue guance lentigginose. Charlotte aveva sorriso, e la seconda volta era stata lei a baciarlo in un modo più delicato e romantico del precedente. Si erano scambiati degli sguardi felici, e lui l'aveva abbracciata per la prima volta.
Ricordò la sensazione di essere persa, tra le sue braccia calde e rassicuranti. Lei che era così minuta, bassa quanto una bambina, e lui che era così alto, con quelle mani grandi che la stringevano forte. Aveva inalato il suo odore per una seconda volta.                                                                                                 
Quello stesso profumo, che ora stava respirando, mentre la sua mente viaggiava nel mondo dei sogni, protetta dalle braccia di Henry che la stringevano forte sotto le coperte. Ora, che con gli occhi inghiottiti dal sonno, stava dormendo accanto a lui.

Le mancava terribilmente la sua camminata entusiasta, il rumore dei suoi passi che ormai avrebbe potuto riconoscere e sentire tra quello di altri cento.
Le mancava vederlo correre euforicamente, quando era in ritardo per qualche riunione con il Conclave, o per quando non riusciva a trovare la giusta sala.
Le mancava vederlo scendere le scale della cripta dominato dai suoi pensieri e dalle sue invenzioni.
Le mancava la sua stretta sui suoi fianchi, quando la sollevava da terra, stringendola tra le braccia per poi darle un bacio in fronte.
Le mancava vederlo difronte a lei, in piedi, così alto e così felice.
Le mancava ballare con lui. Lasciarsi trasportare dai suoi passi, a ritmo di note profonde, e danzare insieme fino a tarda notte. Ma sapeva, con un intenso rammarico, che non lo avrebbe mai più rivisto in piedi davanti a lei. Che non avrebbe più sorriso difronte a quell'enorme differenza di altezza. Ormai era una consapevolezza non più nascosta dentro il suo cuore, ma ferma, immobile nella sua mente: Henry non avrebbe mai più camminato.
Ma lei, non avrebbe mai cessato di amarlo così perdutamente e intensamente.

Dopotutto, lui era, e sarebbe rimasto Henry.
Il suo Henry.

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