Capitolo 11. La casa dei ricordi

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Capitolo 11.

La casa dei ricordi

Erano passati dei mesi, ormai era dicembre ed Elisea non aveva ancora parlato con nessuno, si rifiutava di ricevere visite, non usciva dalla sua stanza per mangiare, la si vedeva solo quando usciva di casa per scappare al cimitero da sua madre, erano tornati da poche settimane a casa e Niall aveva vietato ad Elisea Marie di tornare al college, anche perché nelle sue condizioni le cose sarebbero solo peggiorate. La ragazza si rifiutava di parlare, anche il suo psicologo di fiducia Brad non era riuscito ad avere risultati concreti; eppure la seguiva dalla nascita del problema da quando tutto era cominciato, ma nemmeno lui si riusciva a capacitare delle sue reazioni ostili e disarmanti; uno degli episodi che era rimasto a tutti in mente era quando Niall gli stava parlando e lei si era alzata senza dire nulla e se n'era andata, mentre anche Marisol la guardava scioccata per il suo comportamento da strafottente.

Mancavano tre giorni al ballo scolastico, Elisea pensava di non andarci, di evitare ogni contatto con Ashton anche se la cosa gli pesava, odiava non poter vedere il suo amico ogni giorno, di non poterlo abbracciare e tenerlo vicino a se, ma sentiva di star facendo la cosa giusta per tutti, più lei stava lontano più avrebbe evitato di ferire la gente; sperava solo che tutti la dimenticassero in fretta così non avrebbe dovuto più vedere le loro facce deluse e rammaricate del silenzio che ormai la avvolgeva da mesi. Prese dall'armadio la borsa di sua madre, ci mise dentro cellulare, portatile e qualcosa da mangiare, era da poco passata la mezzanotte ed era intenzionata ad uscire di casa per fare una passeggiata lunga e rigenerativa; avvolse il corpo con il cappotto nero pesante, indossò la sciarpa che le aveva regalato cinque anni prima il padre, mentre erano a Berlino, si era accurata di aver messo dritto il cappellino grigio che le aveva regalato Ashton per il suo sedicesimo compleanno ed uscì dalla porta senza avvisare nessuno ne lasciare un biglietto, stava male a comportarsi in quel modo, come se fosse costantemente ingrata di tutto ciò che avevano fatto per lei, ma non riusciva a evitarlo, voleva l'odio, il suo cervello la stava convincendo che quello era l'unico modo perché tutti fossero felice e ormai anche la sua coscienza si era convinta, infatti si preoccupava che ogni giorno Elisea si sentisse in colpa per ogni cosa negativa nella vita dei suoi cari. Mentre camminava per strada ripensava alla sua vita a ciò che le era successo, a cosa l'aveva portata fin lì e si chiedeva perché le fosse stato dato un fardello così grande, ad ogni passo cedeva sotto il peso di quella disgrazia che incombeva su di lei, odiava la sua situazione non l'avrebbe augurata mai a nessuno per nessuna ragione; ogni pensiero e passo non erano pensati volontariamente da lei, bensì era un meccanismo che era scattato nel cervello e che stava facendo andare tutto in automatico e quando Elisea riprese coscienza di ciò che stava facendo, si ritrovò davanti alla sua prima e vecchia casa ormai praticamente abbandonata.

Niall non riusciva ad addormentarsi da giorni, rimaneva a fissare il soffitto per ore finchè il corpo non cedeva alla stanchezza, ma quella sera era stato diverso; il biondo si era alzato dal letto, quando aveva sentito dei leggeri passi davanti alla porta della sua camera. Luz dormiva beatamente rannicchiata sotto le calde coperte, mentre lui si trovava dietro la porta con l'orecchio appoggiato alla lastra di legno, stava aspettando che i passi che sulle scale terminassero, così da poter aprire la porta in modo furtivo; prima di uscire però prese la giacca e le scarpe, riponendo con cura il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, che aveva ancora indosso e che non aveva avuto la forza di togliere dopo la lunga e stressante giornata. Era stufo dei comportamenti di sua figlia, di vederla fredda e distaccata, era stato fortunato quando nella fase adolescenziale in cui si odiavano i genitori, non gli aveva dato alcun problema, ma in quel momento avrebbe preferito che l'avesse avuta, così magari si sarebbe risparmiato quei mesi di puro inferno per la sua mente; ci rimaneva male ogni volta che non si faceva toccare, che ignorava le telefonate, i messaggi e ciò che le si diceva, gli era balenato per la mente anche di darle uno schiaffo per la sua indisciplinatezza, ma per fortuna non l'aveva mai fatto, altrimenti se ne sarebbe pentito, in più sapeva che quei comportamenti non erano un atto di ribellione, bensì un modo per essere allontanata, ma ancora non capiva perché lo volesse.

Agoraphobia || Ashton IrwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora