4 - Nella tana del lupo

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La porta era ancora chiusa, quando io ero ormai pronta a scendere ed andare a scuola. Bussai insistentemente, finché Alexander disse, dall'altra parte: «Sta' indietro!». Il legno cominciò ad essere scosso, ma nulla. Sfondare la porta era fuori discussione, anche per uno come lui. Girai in tondo, riflettendo. Quella stupida di mia madre era sicuramente andata al lavoro dimenticandosi di me, e maniaca come era sicuramente aveva messo la chiave in un posto inaccessibile.

La voce di Alexander si fece sentire, ma stavolta non era sul mio stesso piano. Mi affacciai dalla finestra, e lo vidi osservare l'altezza fra la mia camera ed il giardino sottostante. Si era messo gli stessi vestiti del giorno prima, ed i capelli spettinati parevano più una scelta che un ritardo nel prepararsi. Annuì, e poi disse: «Buttati».

«Ma non dire scemenze! Cerca piuttosto una scala in garage!», risposi io. Un volo da quell'altezza non era proprio accettabile, che idee concepiva la sua mente distorta?!

Lui per tutta risposta rimase a fissarmi. «Vuoi scendere o no, femmina?». Eccola, la ciliegina sulla torta.

«NO!», poi abbassai il vetro e mi sedetti sul letto, come una furia. Ma possibile? Accesi il pc e navigai un po' su internet, tanto per passare il tempo. A corto di idee, mi addormentai.

Quando riaprii gli occhi era già buio, e mio padre mi stava scuotendo. «Vic, tesoro, alzati».

Dal sotto, al piano inferiore, si sentivano due voci litigare: Cordelia e mia madre. Senza rispondere alle mie domande, mio padre mi prese per mano e mi portò giù. Al mio arrivo, le donne smisero di urlare.

La presa sulla mia mano si strinse, mentre Cordelia mi guardava con odio, mia madre con dolore ed Alexander, appoggiato al muro, fissava la mia genitrice come se volesse incenerirla. Wladimir mi rivolgeva uno sguardo enigmatico, poi disse: «Victoria, ti andrebbe di passare le vacanze di Natale con noi?». Quelle semplici parole scatenarono nuovamente un putiferio fra le due donne. Era evidente che si odiassero, ma dai capelli neri e gli occhi dello stesso colore, parevano imparentate. Tutti sembravamo imparentati, con la chioma e le iridi scure.

Ero tentata di rifiutare l'offerta, ma lo sguardo di Wladimir era freddo, calmo, ma pareva un serpente pronto ad attaccare. «Mi farebbe piacere», sussurrai.

Mio padre lasciò la mia mano e si avvicinò a mia madre, che ormai era isterica. «Non puoi farlo!».

Wladimir sorrise. «A presto, allora», rispose ed uscì dal salotto, con passo fermo e calcolato fino ad oltrepassare la porta d'ingresso. La moglie lo seguì, non prima di avermi lanciato uno sguardo schifato, e subito dopo vi era Alexander, che mi ignorò completamente mentre mi passava davanti.

Quando la famiglia fu uscita, la rabbia di mia madre venne sfogata su di me. «Stupida! Il Demonio ti invita a casa sua e tu accetti!», e si avventò contro di me. Decisamente una madre modello. Siete liberi di invidiarmi, davvero.

Mi rintanai in camera mia, ma mia madre mi venne dietro, mentre papà cercava di calmarla. Chiusi la porta per non farla entrare, ma la chiave non era al suo posto. Nel terrore – visto che non era la prima volta che si avvicinava a me con intenzioni violente – cominciai a cercare qualcosa che potesse bloccare il suo arrivo. Afferrai la cassettiera, ma era troppo pesante da trascinare.

«Psst!», disse una voce fuori dalla finestra. Mi affacciai, sperando in un'ancora di salvezza, ed eccolo lì: nero, a gambe larghe e braccia aperte. «Serve una mano?». Tirai su completamente il vetro dell'imposta e valutai. Mia madre era molto violenta, e farmi ammazzare di botte non pareva il caso. Perciò chiusi gli occhi e mi tuffai, con il cuore in gola.

Il tempo si fermò, per poi ricominciare a scorrere a ritmo più veloce. Quando il dubbio di cadere su una parte sensibile e rompermi qualcosa cominciò ad annebbiarmi i pensieri, due ferme braccia mi presero, una per la schiena e una nella piega delle ginocchia. «Però, ti facevo più pesante», constatò. Aprii gli occhi, e mi ritrovai il suo viso vicino al mio.

Doveva essere davvero una situazione critica per rivolgermi a lui. «Portami via di qui», lo pregai. Lui non mi lasciò neanche andare: marciò verso la jeep e mi depositò sul sedile del passeggero. Mentre chiudeva la porta e girava intorno all'auto, annusai l'odore pungente – muschio, forse – che riempiva l'abitacolo. Era lo stesso che avevo sentito su di lui pochi attimi prima, ma evitai di pensarci.

Salì e mise in moto. «Dove andiamo?».

Mi voltai e vidi mia madre che usciva di casa, diretta verso di noi. Il mio tono si fece urgente. «Tu parti, al resto penseremo dopo». Lui seguì il mio sguardo ed annuì, premendo sull'acceleratore.

Dopo aver creato una distanza di circa cinque chilometri, mi rilassai. «Aveva intenzione di picchiarti?», chiese rompendo il silenzio.

Abbassai la testa. Odiavo parlarne, ma era grazie a lui che ora non mi stavo leccando le ferite. «Ultimamente era diventata più calma...».

Lui strinse i denti. «La cicatrice sulla tua gola è opera sua?».

La mia mano corse lì dove si trovava un taglio quasi invisibile, ormai. Nessuno lo notava, a meno che non fossi io a indicarlo. Non risposi, e lui lo prese come un «sì».

Fece inversione, ripercorrendo la strada che ci aveva portato lì. «Dove stai andando?», chiesi nel panico.

«A casa mia».

«Eh?».

«Vuoi tornare da lei stanotte?», chiese zittendomi. Aveva ragione, sarebbe stato meglio farla calmare.

Lo ringraziai timida, incerta su cosa lo spingesse ad aiutarmi. Era strano, questo ragazzo, ma arrivai a credere che diventasse aggressivo solo quando si sentiva sfidato, da bravo maschio alpha.

Accostammo nei pressi di una villa vittoriana, che stonava con la piscina in giardino e la jeep che Alexander aveva appena parcheggiato. Slacciai la cintura e scesi, mentre lui mi faceva strada all'interno della casa. Mi mostrò una camera, dicendomi che avrei dormito lì, e poi mi fece fare il giro delle altre stanze, tutte lucide e perfettamente in ordine.

Dopo avermi mostrato lo studio del padre – l'unico ad avere una parvenza di trascuramento – scendemmo nella grande sala. «Ti va una pizza?», chiese afferrando il telefono. Dopo aver posato i suoi pozzi neri nei miei, piuttosto interrogativi, spiegò: «I miei non ci sono questa settimana, sono partiti subito dopo che se ne sono andati da casa tua».

Annuii, e lo ringraziai ancora una volta. Chiamò la pizzeria e mi chiese che gusto volevo, e cercò di non ridere quando ripeté la mia ordinazione al cellulare: «Diavola».

Ci sedemmo sul divano a guardare qualcosa, aspettando la cena. Dopo un veloce zapping, Alexander optò per un reality di sopravvivenza, e cominciammo a commentare le azioni dei partecipanti. All'inizio mi sentii un po' tesa, ripensando a come ci eravamo conosciuti, ma poi tutto parve filare liscio. A quanto pare avevo ragione: mostrava i denti solo se sfidato.

Quando il fattorino arrivò, con due cartoni, Alexander pagò e portò tutto sul tavolo della cucina, insieme a due lattine di birra.

«Non hai l'acqua?», chiesi a disagio.

Lui rimase sorpreso, come se non si aspettasse una domanda simile, ed andò in cucina a prendermi una bottiglietta di acqua minerale.

Poi cominciammo a mangiare. La pizza era davvero buona, ed il salame era piccante al punto giusto. Poi mi offrì uno spazzolino nuovo e mi indicò la camera dei suoi genitori, dove avrei potuto trovare qualcosa da mettermi nel guardaroba della madre.

Il mio istinto mi mise in allarme, mentre un semplice pensiero non mi fece dormire tutta la notte, rigirandomi nel letto con una canottiera e dei pantaloni presi in prestito.

Forse sarebbe stato meglio tornare a casa.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora