1 - Tutor

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«Hai sentito il nuovo singolo di quel cantante?», chiese il ragazzo davanti a me sull'autobus che ci stava portando a quel posto bellissimo e pieno di arcobaleni zuccherosi - scuola, insomma. Il compagno seduto accanto a lui annuì, e cominciarono a cantare il ritornello insieme.

Una volta arrivati a destinazione, mi affrettai a scendere dal pullmino per evitare di ascoltare altra musica inutile. Mi diressi all'aula di latino, mentre alcuni banchi erano già occupati da adolescenti assonnati. Il posto accanto al mio era vuoto: quel drogato del mio compagno era sicuramente da qualche parte a smaltire lo 'sballo'.

La professoressa entrò. Era una donna alta e scheletrica, con capelli secchi e chiusi in una crocchia talmente stretta che solo a guardarla mi provocavo un mal di testa. Arricciò le labbra in quello che pareva un sorriso, increspando la pelle sopra il labbro, come una gonna a balze. «Spero abbiate il vostro dizionario, perché oggi ci sarà un test. A sorpresa», poi si avvicinò ad ogni banco, distribuendo i fogli ed osservando con gioia le facce degli studenti, dall'indignato all'impaurito. Un ragazzo esclamò: «Ma è legale tutta 'sta roba?», quando lesse la prima riga della versione. Nessuno provò ad appellarsi, non con la professoressa Domini.

Quando la donna fu davanti a me, strinse gli occhi. «Fuori il cellulare, Augustine», quasi ringhiò. Infilai la mano in tasca e glielo consegnai, mentre lei mi fissava arcigna. Sapevamo entrambe che il test sarebbe andato splendidamente, per me. Ma nessuna delle due ne capiva il motivo: il latino era come una seconda lingua, le declinazioni parevano essere idee innate nella mia mente. A volte non avevo bisogno neanche del dizionario, nonostante quello fosse il primo anno che studiassi quella materia.

Lei me lo strappò con le sue mani lunghe e rinsecchite, graffiandomi il palmo e voltandosi per rimproverare un ragazzo che tentava di suggerire. Venti minuti dopo, il mio foglio era completo: la traduzione era stata piuttosto semplice, e conoscere il mito di Narciso non mi aveva aiutato poi molto, data la semplicità del testo.

Consegnai il test alla professoressa Domini, che dalla cattedra troneggiava come un gargoyle consumato, e mi guardò con odio, mentre afferrava il compito e mi restituiva il cellulare. «Puoi uscire», disse in tono gelido. Aprii la porta e mi gustai l'aria invernale, fredda e pungente sul viso. Avevo quaranta minuti liberi, visto che avevo finito in anticipo. Mi avvicinai ad una delle panchine libere, sedendomi ed aprendo il libro di matematica, altra materia in cui non avevo problemi.

«Tu, femmina», disse una voce. Mi voltai, sicura che stesse parlando con me: ero l'unica nel cortile ad aver finito prima la lezione.

Un ragazzo alto e muscoloso si stagliava dietro di me, vestito completamente di nero, colore che predominava anche nei capelli e negli occhi. Non indossava giacchetto: una maglietta a manica corta che evidenziava i bicipiti e che era piuttosto tesa sul petto, evidenziando le forme scolpite anche lì.

Alzai gli occhi al cielo. Ladies and gentlemen, ecco a voi un altro esemplare di maschio alpha! Non ce n'erano mai abbastanza alla Norhen High School, non con tutte le ochette pronte a regalargli attenzioni - e qualcos'altro su cui non intendevo soffermarmi.

Quel 'femmina' aveva reso il mio tono decisamente più accogliente. «Che cazzo vuoi?», chiesi tornando a girare il busto e a dargli le spalle. Sì, decisamente molto accogliente.

«Dove si trova la segreteria?», chiese con quel tono di voce che avrebbe fatto sciogliere una cheerleader. Peccato che facessero dieci gradi e che non indossassi una gonnellina azzurra.

Tirai fuori dallo zaino il quaderno degli esercizi e cominciai ad esercitarmi con le disequazioni goniometriche. Mentre stavo svolgendo una formula, il mio mento venne afferrato e tirato su, trovandomi faccia a faccia con il ragazzo in nero.

«Ti ho fatto una domanda, femmina», esordì in modo furioso. I suoi occhi erano davvero neri: non c'era distinzione fra pupilla ed iride. Fossi stata un'altra persona, avrei balbettato la risposta. Ma il mio caratteraccio mi impediva di farmi mettere i piedi in testa dal primo Mister Muscolo in circolazione. Poi aggrottò le sopracciglia e mi fissò con sguardo confuso, e si avvicinò ad annusare la porzione di pelle sotto il mio orecchio. La mano si richiuse su se stessa, e ritirai il braccio per assestargli un colpo dritto in faccia, quando lui si scostò e velocemente intercettò il mio pungo, circondando le mie dita con le sue. «Per questa ora passi, ma la prossima volta la considererò insubordinazione», spiegò guardandomi ancora con quegli occhi nero furia.

Alzai gli occhi al cielo, ridendo. «Patetico», borbottai, senza alcuna intenzione di dargliela vinta. Ma scherziamo?

Lui strinse i denti, a quanto pare non era abituato ad un simile comportamento. La mano lasciò la presa del mio pugno e si trasferì sulla gola. «Tu, piccola impertinente», ringhiò mentre stringeva la presa, impedendomi di respirare. La testa cominciò a pulsare, mentre le sue dita parevano scavare nella pelle, fino alla trachea, e polverizzarla. Aprii la bocca, alla disperata ricerca di ossigeno, mentre con le mani cercavo di colpirlo, di spostarlo. Quando i polmoni cominciarono a bruciare lui mollò la presa, ma non per compassione: il preside si stava avvicinando, salutando il nuovo arrivato. Espirai ed inspirai in modo meccanico, massaggiandomi la gola. L'uomo mi guardò, e disse: «Oh, bene, signor Valentine, ha già fatto delle conoscenze. Signorina Augustine, la prego di fare da tutor al nostro nuovo studente. Mi raccomando, lo faccia mettere a suo agio!», disse sorridendo. Poi si ritirò, chiamato dalla professoressa Domini che ormai aveva finito il test.

«Suppongo la segreteria non mi servirà più», disse lui con un sorriso storto. «Il preside ti ha appena nominata mia segretaria personale».

«Tutor», ringhiai mentre ero ancora piegata in due, ringraziando per l'aria che entrava dalle mie narici.

Lui strinse le spalle, tranquillo. «Chiamalo come ti pare», rispose noncurante. Mi afferrò un polso e mi trascinò verso l'edificio scolastico.

Puntai i piedi, decisa a non farmi trascinare, e quando lui si accorse della mia resistenza mostrò i denti. «Seguimi», disse. Dopo aver capito che tutto ciò che avrebbe avuto da me sarebbe stato silenzio, mollò il polso e si diresse da solo dove diavolo doveva andare.

Di esaltati ne avevo incontrati parecchio, ma lui li superava tutti.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora