13.2 Ricucire lo Strappo

Comincia dall'inizio
                                    

«Io… io… cioè, se per voi non è un problema...»

«Per niente» commentò Edoardo che sembrava d’un tratto entusiasta.

«Proviamoci» insistette Cassandra, decisa. «Funziona per altri, può funzionare anche per noi.»

Chiara avrebbe chiesto chi erano questi altri, lei non li conosceva, ma le sembrava fuori luogo.

Edoardo e Cassandra, Cassandra e Edoardo. Non doveva scegliere allora, non era costretta a farlo. A loro stava bene. Sentì l’istinto di sorridere, aprì la bocca per dire qualcosa, quando la porta si spalancò.

«Cassandra?» chiamò Isabella, poi quando la vide sospirò. «Ti ho mandato a chiamarli dieci minuti fa. Che stai facendo?»

«Chiamarci? Perché?» chiese Edoardo, apprensivo.

«Leonardo si è svegliato. Dobbiamo sistemare le cose, e dobbiamo farlo subito. Tra poco tornerete da dove siete venuti.»

«Andiamo.»

Seguirono Isabella nel corridoio di quella casa che aveva appena perso il suo proprietario, che forse sarebbe stata occupata da Gennaro, da allora in poi.

La donna afferrò la maniglia e fece per spalancare la porta dietro cui si celavano gli altri due, per richiamarli all’ordine, ma Edoardo ordinò «Devi bussare, prima.»

Lei sospirò, ma obbedì.

«Smammate» venne da dietro la porta la voce rotta di Lorenzo.

A quella si aggiunse un mormorio di Gennaro, che sussurrò qualcosa tra i denti al suo compagno.

Silenzio.

«E va bene» fece Lorenzo, in tono strascicato. «Avanti.»

Isabella abbassò la maniglia, e la porta si aprì. Lorenzo teneva il volto nascosto nella curva tra il collo e la spalla di Gennaro, che lo stava abbracciando.

La Sibilla li guardò con aria grave, a Chiara sembrò stringesse l’altro in un gesto di protezione, poi disse solo «È sveglio.»

Isabella sbuffò. «Se lo sapevi perché non sei venuto subito?»

Lui alzò le spalle. «Avevo di meglio da fare. E poi sapevo che saresti venuta a chiamarmi» disse, poi il suo sguardo si addolcì e piegò il capo verso Lorenzo, mormorandogli un «andiamo?» dal tono morbido.

Il ragazzo si separò da lui controvoglia, e Chiara notò che avevano entrambi gli occhi lucidi. «Sì, sarà meglio.»

Quando giunsero al piano di sotto, Carbone era sveglio e sembrava parecchio contrariato. Era seduto per terra, dove Cassandra e Isabella l’avevano trascinato, e aveva le mani legate dietro la schiena. Era sorprendente quanto fosse simile a Edoardo. Gli stessi occhi, la stessa forma del viso, i colori identici. Leonardo era più basso, aveva il naso un po’ diverso, ma era simile abbastanza da sembrare suo fratello maggiore, o suo padre.

Umberto stava là, nella stanza, l’avevano spostato dalla pozza di sangue in cui era riverso poco prima e gli avevano pulito la ferita. Aveva gli occhi chiusi allora, e pareva dormire. Il senso di colpa ribollì in lei, acido e bruciante.

Un giovane uomo era morto quel giorno, ed era colpa sua.

Edoardo e Cassandra si strinsero intorno a lei come se avessero compreso cosa stava provando.

«Tu» sibilò Carbone, rivolto a Isabella. «Alla fine ce l’hai fatta. Sarai contenta.»

«Non ancora, no» rispose lei, gelida. «Prima di essere soddisfatta devi ordinare ai tuoi uomini di porre fine a tutto.»

L'Ultima StregaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora