8. Scomparsi

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Chiara restò tutta la notte a fissare il telefono, nell’attesa che Edoardo le scrivesse che era tornato e che era andato tutto bene.

Non accadde.

Sentì suo padre tornare molto tardi, dopo mezzanotte, ma non si allarmò. Non era raro che passasse le nottate in ufficio sino a quell’ora, col lavoro che si accumulava.

Continuò a osservare lo schermo del cellulare e contare le ore scorrere sul display.

Mezzanotte, l’una, le due, le tre.

Le quattro e diciassette furono l’ultima ora che riuscì a leggere, per poi cedere alla stanchezza e addormentarsi col telefono in mano.

Quella notte ebbe il sonno agitato. Sognò di cadere in un lungo pozzo, avvolta nell’oscurità, una sensazione di vuoto sotto i piedi che le ribaltò le viscere.

Sognò anche Edoardo, anche se non ricordava bene cosa fosse accaduto. Le sembrava che fosse iniziato bene, come sogno bellissimo, e che si fosse in seguito trasformato in un incubo.

Lui aveva bisogno del suo aiuto, e quella sensazione angosciosa di preoccupazione e senso del dovere non la abbandonò neanche nel sonno, presa com’era dalle sue ansie e dai suoi sospetti.

Quando la mattina si svegliò, alle dieci, la prima cosa che fece fu controllare le notifiche. 

Di Edoardo ancora nessuna traccia, così come di Gennaro. Aveva due messaggi da Rebecca che le chiedeva se quella sera si sarebbero potute vedere, e poi un solo messaggio in una chat che non aveva mai avuto bisogno di usare.

[08:32] Coletti: Esci.

La ragazza si stropicciò gli occhi, ancora annebbiati dal sonno, ma scivolò giù dal letto. 

Se Lorenzo stava scrivendo a lei in privato, la situazione doveva essere davvero grave. 

Aveva male al petto, non riusciva a pensare, tutto quello che la sua mente ripeteva in loop era l’immagine di Edoardo il giorno precedente che le confessava di aver paura, lei che lo rassicurava sul fatto che sarebbe andato tutto bene.

Corse in bagno a darsi una sciacquata, si infilò un paio di jeans e un maglioncino, e si precipitò in salotto ad avvisare i suoi che sarebbe uscita subito.

Sarebbe dovuta suonare normale, naturale, altrimenti l’avrebbero scoperta. Doveva fare credere ai genitori di stare bene, o non le avrebbero mai permesso di uscire senza preavviso.

«Vado a fare colazione da Rebecca!» gridò, afferrando il cappotto dall’appendiabiti all’ingresso.

Raffaele alzò gli occhi dal suo giornale, in salotto. «Tutto bene, Chiara?» 

Lei lottò contro sé stessa per sorridere. «Tutto benissimo!»

I due si guardarono per qualche istante, gli occhi celesti e preoccupati di lei si posarono su quelli nocciola e analitici dell’uomo.

«C’è qualcosa che non mi stai dicendo?» chiese lui, dubbioso.

«No, papà! Vado a studiare, giuro!»

«Sicura di star bene?»

«Sì» mentì. In realtà la preoccupazione la stava rosicchiando viva, aumentandole il peso nel petto tanto che quasi sentiva le costole scricchiolare. «Tu? Stai bene? Sei un po’ strano.»

Raffaele le sorrise, un sorriso caldo e familiare. «Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.»

«Lo è!» rispose lei, con una fierezza del tutto fuori luogo. «Ciao, papà, ti voglio bene!»

L'Ultima StregaWhere stories live. Discover now