10.1 Vita da Strega

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Era notte, Chiara distingueva appena i contorni della stanza, la finestrella aperta da cui non entrava altro che la flebile luce delle stelle, in quella notte senza luna.

Isabella era in piedi davanti a lei, col suo solito vestito lacero e l’acconciatura rovinata da cui scappavano dei capelli di qua e di là, il suo viso era macchiato dalla polvere e rovinato dall’insonnia.

«Chiara» le disse, a bassa voce per non farsi sentire dal suo carceriere. «Ti avevo detto di venire qui. Cosa ci fai ancora tanto lontana? Devi sanare lo strappo.»

Lei sbatté le palpebre, incredula. L osservò mentre si avvicinava di un passo ma non si ritrasse. «Io… io non so come si fa. Devi aiutarmi.»

«C’è un incantesimo. L’ho lasciato io stessa negli archivi del Gran Consiglio tanto tempo fa, dev’essere ancora là. Il tuo compito è trovarlo e venire da me.»

«Non so come arrivare agli archivi del Gran Consiglio. Non conosco neanche l’incantesimo di cui parli!»

«Devi venire da me, qua dove tutto è cominciato. Solo tu puoi sanare lo strappo, è quello che sei destinata a fare. Non c’è più tempo.»

Chiara si svegliò, il fiato corto nel petto. Non aveva parlato con le streghe riguardo alle sue visioni, pensava che non fosse sicuro. Non sapeva ancora se poteva fidarsi di loro, non sino a quel punto, e si ritrovò a pensarci fissando il basso soffitto, ascoltando i respiri pesanti di Cassandra nel letto accanto a lei.

Cassandra, Veronica e Coumba erano convinte che per sanare lo strappo si dovesse piegare gli stregoni al loro volere, per fare in modo che loro ascoltassero le voci di quelle che a lungo erano state dimenticate. Gli stregoni, d’altro canto, non pareva avessero alcuna intenzione di ricucire lo strappo, loro che insegnavano ai figli che le streghe erano del tutto estinte senza considerare come degna la rete di donne che si era sviluppata intorno ai Consigli come una pianta rampicante e ormai le circondava da ogni parte minacciando di soffocarli.

A lei sarebbe toccato l’ingrato compito, quello di cucire davvero lo strappo che si era creato, e ancora non aveva idea di come. Da un lato il Gran Consiglio aveva eliminato ogni traccia di stregoneria femminile dalla memoria collettiva, aveva nascosto le streghe e le aveva cancellate dalla storia, senza ascoltare i loro bisogni e le loro voci. Dall’altro, le streghe intendevano rispondere al fuoco col fuoco, avevano colpito anche gli innocenti – Gennaro, che non aveva mai fatto nulla contro le streghe, era stato quello che aveva perso più di tutti – e intendevano continuare la spirale di ingiustizie e di violenza facendo la voce grossa e sostituendosi a quella degli stregoni.

Per quanto Chiara provasse simpatia per loro, dopotutto erano quelle che non le avevano mai mentito ma le avevano raccontato le cose come stavano, che l’avevano accolta e protetta da suo padre e dal Gran Consiglio, sapeva che la strada giusta per ricucire lo strappo non si nascondeva nel rubare i Libri in tutta Italia ma nel tornare indietro e fare qualcosa alla radice, là dove tutto era iniziato.

Si rigirò nel letto e chiuse gli occhi. Chissà se suo padre si era pentito di ciò che aveva fatto. Chissà che scusa aveva raccontato a sua madre per la sua partenza, sempre che non sapesse anche lei… chissà se aveva paura che lei non sarebbe più tornata.

Fu con questi pensieri che si addormentò di nuovo, cullata dai respiri della ragazza accanto a lei, scivolando in un sonno senza sogni.

Quando si presentarono a scuola, Cassandra impose a Gennaro di sedersi al suo stesso banco. Non avrebbe potuto controllare che lui non parlasse con Lorenzo altrimenti, non appena lui arrivò in classe si sedette dritto dritto nel secondo banco sulla sinistra, già a conoscenza di quella richiesta.

L'Ultima StregaWhere stories live. Discover now