Cassandra fischiò, impressionata. 

«Bello, vero? Quando sono venuto su dal Regno di Napoli, l’anno scorso, il Gran Consiglio per tenermi qui mi ha comprato questo posticino niente male. E dovete vedere quanto mi pagano bene per i miei servizi! Ho fatto un vero affare!»

«Vedo che non è cambiato molto» commentò Lorenzo, osservando quell’opulenza con diffidenza.

Chiara aggrottò la fronte, confusa. Fu Edoardo a spiegare cosa intendesse. «Pagano bene anche Genny, al Gran Consiglio. Ha una parcella stellare per le sue visioni del futuro. In un conto nascosto ai suoi genitori ha accumulato già migliaia di euro.»

Chiara fece una smorfia colpita. Gennaro non dava l’impressione  di essere ricco, andava sempre a scuola vestito con felpe oversize in inverno e magliette con stampe buffe in estate, non aveva il motorino e per la ricreazione portava sempre il cibo fatto a mano dalla mamma. 

«Venite, vi mostro le stanze. I servizi invece sono fuori in giardino. Lo so, non siete abituati a uscire fuori per i vostri bisogni, ma qui si userà così ancora per un po’. Le stanze sono fornite anche di vasi da notte comunque, anche se mi è sembrato di capire che non li userete. Sapete, non ho sbirciato molto il futuro per queste faccende, la gente lo trova inappropriato e imbarazzante.»

«Perché lo è» commentò Cassandra.

Umberto la ignorò e attraversò la ricca e stretta stanza sino a un corridoio con delle scale strette e molto ripide. Le imboccarono, il sole delle finestre le faceva scintillare davanti ai loro occhi, sinché non arrivarono al piano superiore.

Quel piccolo pianerottolo aveva lo spazio solo per una porta che conduceva a una camera, nulla più.

«Al terzo piano c’è la mia stanza, al piano di sopra quella dei ragazzi» disse, indicando le scale che salivano ancora. «Mentre questa è la stanza delle ragazze.»

Aprì l’unica porta del piano, rivelando una camera da letto. C’erano tre lettini con coperte in broccato scarlatto ricamato in oro, un alto armadio in legno che occupava una parete, una finestra senza vetri con delle grosse sbarre, e con pesanti tende dello stesso rosso delle coperte, e una toeletta con uno specchio opaco che mandava la loro immagine riflessa. Su tutti e tre i letti erano gettati alla rinfusa dei vestiti dell’epoca, Chiara riconobbe corsetti e gonne ampie, si avvicinò per sfiorarne i lembi. 

«Ho dovuto farli fare su misura. Siete… più grandi delle persone di questo tempo. Non so a cosa sia dovuto, forse alla dieta, ma siete altissimi per noi, sapete.»

Anche Cassandra iniziò a esplorare la stanza, e Umberto spiegò quello che aveva preparato per loro. Disse loro che avrebbe cercato di adattarsi ai loro gusti in fatto di cibo. Iniziò a parlare loro di come fare a non dare nell’occhio, da chi stare lontano e a chi rivolgersi e come. Fu allora che lui arrivò.

«No» sentirono, e si voltarono verso la fonte della voce. Gennaro stava là, in perfetta salute, e guardava il suo antenato tenendogli puntato il dito contro. «Assolutamente no.»

Il sorriso di Umberto si fece più tirato. «So cosa hai visto, ma…»

«Ho detto no. Dobbiamo evitarlo.»

«Non è detto che accada. Il futuro è volubile, lo sai. Ci sono troppe variabili, quello è solo uno dei futuri possibili.»

«Beh, deve diventare impossibile. Io non voglio.»

«E pensi che io lo voglia? Cercheremo di non farlo avverare nei limiti del nostro potere. Proveremo a impedirlo.»

«Che cosa? Di che state parlando?» chiese Chiara, che iniziava a essere ansiosa a riguardo. 

L'Ultima StregaWhere stories live. Discover now