Dr Stone - StanXeno

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Dr Stone - StanXeno

Periodo pre-pietrificazione


La vita che non sai

Un verso diffidente riempie la cucina mentre il cucchiaio affonda nel riso e lo rimescola nella padella. Fa un rumore strano quando aggiunge le zucchine, sembra quasi sfrigolare inferocito, ma non è che Xeno sia così esperto di cucina da preoccuparsene. Tant'è che risolve sollevando le spalle e insistendo a mescolare quello che a breve dovrà mangiare, consolandosi col notare che anche il coltello sul tagliere era un rumore pressocchè nuovo, e per poco non lo era la scintilla del fornello e le pentole che cozzavano. Per poco.

Fosse per lui andrebbe avanti a fast food e cene fuori per il resto della vita, ma dopo quasi vent'anni di costanti «Xeno, mangia qualcosa di decente» e «Xeno, basta con il caffè» a ronzargli nelle orecchie, ha per forza di cose imparato a cucinare qualcosa che si possa definire commestibile. E anzi, forse ha sviluppato anche una sorta di senso di colpa a non seguire i consigli di quella sua fedele e (può dirlo?) premurosa costante di vita non appena se ne separa. Anzi sicuramente è così, altrimenti non si spiegano tutti gli eventi che lo hanno portato a fissare quasi con astio la padella piena di riso.

E nonostante siano quasi vent'anni che c'è chi gli ha trasmesso un'infarinatura generale di cucina, quello sfrigolare non si può in alcun modo definire familiare. Non quanto le chiavi che tintinnano e si infilano nella serratura, comunque, né il modo in cui la porta di casa cigola. Ci sono pochissime persone che hanno le chiavi di casa e comunque riconoscerebbe quell'apertura decisa tra mille, anche se soffocata dall'inquietante sfrigolare della padella che forse è il caso di spegnere. La riconosce eccome eppure la cosa lo sorprende più del suo risotto. «Stan!»

Mette il coperchio - chissà se serve a qualcosa - e si affaccia dalla cucina, affrettandosi verso l'ingresso. Sì, è sorpreso, ma soprattutto è felice e già sente le labbra che si trasformano in un sorriso. Che ci fa a casa così presto? «Potevi avvisare, avrei cucinato anche per te!»

Non ha ancora raggiunto la porta e già scuote la testa mentre lo immagina sollevare un sopracciglio scettico, magari una mano sul fianco. Perchè Stan che torna a casa in anticipo è strano, ma mai tanto strano quanto Xeno che si mette a cucinare qualcosa di sua iniziativa.

Comunque Stanley non sta alzando un sopracciglio né ha una mano su un fianco. O meglio forse sì ma Xeno non può vederlo, perchè è voltato di spalle a sistemare lentamente la giacca sull'appendiabiti. Molto lentamente, forse un po' troppo, registra una piccola parte del cervello di Xeno subito messa a tacere. Da quanto non si vedono, due, tre settimane? Anche se fosse sfrecciato da lui alla velocità della luce gli sarebbe comunque sembrato troppo lento.

Gli è proprio mancato.

«Mi sei mancato.» Snocciola infatti mentre Stan si gira.

Oh.

Come sempre è difficile muoversi quando lo può guardare in volto.

Ha già sentito tante, tantissime volte questa sensazione. Eppure sembra che non ci si abituerà mai. Un peso gli si forma alla bocca dello stomaco, come se lo avessero colpito con tutta la forza del mondo. Ironico.

Vorrebbe dire qualcosa ma, come sempre, non ci riesce. Come sempre non riesce a far altro che guardarlo, a fissare a occhi spalancati quel volto che per lui è e sempre sarà bellissimo, ma che mai vorrebbe vedere così... così...

«Non è grave, Xeno. Altrimenti starei ancora sotto i ferri.»

Indubbiamente non è grave ma non vuol dire che stia bene. Resta ad osservargli il volto un po' gonfio, un po' nero e pieno di cerotti. Poi lo sguardo scivola giù e si sofferma sulla mano fasciata, la sinistra, anzi no sembra più spessa di una fasciatura, forse è gesso.

Stanley fa un passo in avanti e kami, sta zoppicando, allora Xeno si ricorda che voleva andargli incontro, e che lo farà. Come sempre, lo stringerà forte e Stan ridacchierà nel suo orecchio e gli dirà che va tutto bene, e lui un po' ci crederà, un po' no, comunque fingerà di farlo e ricomincerà tutto daccapo.

Come sempre avrebbe mille cose da urlargli contro ma non le dirà. Perchè non è grave, e...

Però, questa volta...

«Ancora

Resta lì, a un soffio da lui con quella parola ancora sulle labbra. Quella non l'ha mai detta prima.

Non è così ingenuo da pensare che non sia mai finito all'ospedale. Stan fa un lavoro pericoloso e Xeno sa che fa tutto parte del pacchetto. E forse l'ospedale non c'entra ma c'è qualcosa di terribilmente sbagliato mentre Stanley sorride con un sorriso di scuse che gli ha già visto milioni di volte ma che oggi gli sembra tutta un'altra cosa.

Ma è adesso che inizia la recita. Adesso riderà, lo squadrerà dall'alto e gli dirà che... che... invece Xeno si sente carezzare il viso, piano, fino a dietro l'orecchio e poi di nuovo fino alle labbra, al mento, come lo stesse assaporando con le dita. Non può parlare, a malapena respirare. Poi Stanley fa scivolare la mano lungo la sua schiena e lo avvicina e se lo stringe al petto, forte forte come se potesse scappargli via, mentre invece lui è sepolto contro la sua camicia e sente il freddo della targhetta contro la sua guancia e un respiro, forse un sospiro, a trattenerlo ancora un attimo.

Allora si alza sulle punte per imprimere più a fondo il viso contro di lui, gli allaccia le braccia al collo e lo tiene stretto. L'istante prima gli sembrava tutto ghiacciato e invece adesso a sentirlo stretto stretto gli sembra impossibile restare in silenzio. Il viso gli scivola contro la sua spalla, fissa il vuoto. «Credevo che fossi ancora in missione.»

Non c'è un velo di rimprovero nelle sue parole, solo tanta preoccupazione, ma Stanley è ancora tra le sue braccia e non può non sentirlo irrigidirsi. E forse non doveva dirlo, perchè l'accordo è sempre stato lo stesso e Stan aveva tutto il diritto di non dirgli niente. Tanto non mi fanno entrare nel reparto militare dell'ospedale. Finchè non sei in pericolo, meglio non saperlo che preoccuparsi inutilmente. Queste le parole, fredde e razionali, che si sono promessi chissà quanto tempo fa. Che sì, gli hanno risparmiato tante notti di pena, ma che lo hanno sempre distrutto ad ogni inattesa e sgradita sorpresa. Quelle le parole, fredde e razionali, che lo guidavano quando non riusciva a esserlo.

E anche questa volta in ospedale non l'avrebbero fatto entrare, e comunque non avrebbe potuto fare niente, ed era davvero meglio fingere che andasse tutto bene fino a che non fosse tornato a casa. Finchè non c'è pericolo. Giusto?

«Mi sei mancato anche tu»

Eppure questa volta Stanley non lo lascia andare, non ride come sempre. Che cosa è successo? Cosa gli ha tenuto nascosto nelle ultime chiamate, nella voce stanca e rauca per cui aveva incolpato le notti insonni passate a far la guardia a non era ben chiaro chi?

Si sente come un burattino mentre gli prende di nuovo il viso con la mano destra, l'unica che può farlo, lo guarda e poi come volesse fuggire o rifugiarsi in lui chiude gli occhi e lo bacia, piano piano perchè anche il labbro è ferito, ha qualche punto qua e là. E Xeno lo sente protendersi tutto verso di lui, come a reclamare qualcosa che gli è stato troppo a lungo lontano, o peggio qualcosa che temeva di non riavere più. E solo il pensiero lo rende di nuovo pesantissimo, è con fatica che si allontana e gli carezza il viso, per fermarlo e guardarlo mentre qualcosa gli urla dentro: "Voglio sapere! Voglio sapere!"

«Stan... » Lo fissa, e sanno che non si schioderà fino a che non risponderà alla domanda che neanche c'è bisogno di porre.

Sempre più pesante, sempre più pesante, per poco non cade a terra in tutti quei lunghissimi istanti in cui Stan alza le sopracciglia, è un po' sorpreso, ha come un fremito e infine sorride a stento a labbra chiuse, e quando le riapre già non è più un sorriso: «Mi hanno sparato. » La sua voce è proprio lì, quasi dentro di lui, vibra un po' di non sa bene cosa. «Beh, preso di striscio, ma mi hanno preso.»

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