15. Coming out

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Avevo sedici anni. A sedici anni il mondo è completamente diverso da quando ne hai sei o otto o dodici. A sedici anni il mondo ti ruota intorno velocissimo, una giornata non sembra avere più ventiquattro ore, ma dodici: la metà del tempo, per qualunque cosa.

La metà del tempo per fare i compiti, la metà del tempo per lavarti, per mangiare, per guardare la televisione... la metà del tempo per dormire. Mi sembrava normale, quando avevo sedici anni, ma oggi mi chiedo come ho fatto a sopravvivere.

Sopravviviamo tutti, ai nostri sedici anni? Credo di no. C'è chi non riesce mai a superarlo, chi viene spezzato dal brusco cambiamento che ci fa passare il tempo intorno a velocità stratosferica, chi non riesce mai a crescere e chi muore davvero.

A sedici anni non sei un bambino, non sei un adulto, e capire esattamente cosa sei è difficile.

Lo chiesi a Leon, in un giorno grigio. Lui mi guardò sorridendo, con la faccia di chi aveva capito tutto.

«A sedici anni sei un adolescente» Mi aveva risposto, con aria spensierata

«Sì» io avevo annuito «Ma cos'è un adolescente?»
«Che discorsi scemi da romanzetto di formazione»

«Ma cos'è un adolescente?» avevo insistito, tormentandomi le mani

«Un adolescente è quella persona che sta a metà fra quando sei bambino e quando sei adulto».

Mosse le mani lungo una linea immaginaria, rigide e dritte, come due asticelle gemelle.

Alle sue spalle, una pianta di falangio bianca e verde sembrava un fuoco d'artificio: era della madre di Leon, negata per la coltivazione delle piante d'appartamento, con il pollice nero più che verde, ma che riusciva miracolosamente a far diventare giganteschi solo i falangi. Li piantava sempre in questi contenitori improbabili: secchi di plastica decorati con disegni di gnomi, scatole da scarpe foderate all'interno con la pellicola trasparente, cesti per la biancheria, confezioni di metallo per i biscotti. E i falangi crescevano: ormai ce n'erano almeno una trentina in giro per casa, sopra le mensole, sul frigorifero, sui gradini delle scale, sulla credenza, sui davanzali delle finestre.

«Stai guardando me oppure stai fissando Giorgio?» Domandò Leon, schioccando le dita.

Oh, i falangi avevano tutti un nome e quello alle sue spalle si chiamava "Giorgio", come un famoso stilista italiano.

«Stavo guardando Giorgio» Confessai

«Beh, Giorgio non ti darà le risposte ai tuoi enigmi super noiosi sull'adolescenza, signorino!» mi disse lui, indicandomi con aria comicamente severa

«Sissignore»

«Perciò guarda me»
«Sissignore, sono qui»

«Ecco. Hai capito cos'è un adolescente?».

Presi un profondo respiro. Avrei voluto rispondere in modo comico, dire qualcosa tipo "è un'enorme pesca", oppure "è un gelato al gusto olio di oliva che rischia di sciogliersi da un momento all'altro perché il refrigeratore si è rotto", e invece mi uscì fuori: «Un adolescente è uno che sta crescendo e non sa ancora se vuole crescere, perché un po' fa paura diventare qualcosa di diverso, no?».

Leon sospirò, alzando gli occhi al soffitto.

«Ma tu non puoi parlare come gli adolescenti normali, Flo?» Commentò

«Non sono un adolescente normale» gli risposi, scoprendo i denti in un sorriso che, a pensarci bene, doveva essere proprio bruttino

«E poi abbiamo detto così tante volte la parola "adolescente" che sta perdendo di significato».

L'Inverno delle RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora