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[narratore esterno]
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<<And take my hands, they'll understand
    Take my heart, pull it apart
    And take my brain, or what remains
    And throw it all away, all away
   'Cos I've grown tired of this body
   A cumbersome and heavy body>>

1 anno prima:

Non era che un giorno come gli altri, quel 17 novembre.
Più o meno freddo, più o meno nuvoloso, nulla di minimamente diverso da ogni altra giornata autunnale.
Nulla di minimamente diverso per una ragazza come Adelyn Moore.

Entrò in casa, non appoggiò lo zaino a terra, camminò spedita fino al bagno e rigirò la chiave nella serratura, fino a che non si bloccasse.
Si guardò allo specchio e senza una sola espressione che le sfiorasse il volto si sfilò la felpa e la lasciò cadere in un angolo della stanza.

La canotta nera dalle spalline sottili le lasciva le braccia pallide scoperte.
Fece scorrere una mano dal polso alla spalla di una di esse.
La pelle era liscia, perfetta, finché non raggiungeva qualche centimetro sopra al gomito.
Tanti piccoli segni orizzontali imbrattavano quella perfezione.
Traslucide, violacee, ancora fresche, le guardò, prendendo un respiro profondo come se per un impercettibile attimo l'aria avesse cessato di attraversarle i polmoni.

Si chiese perché lo avesse fatto, si sentii colpa, gli occhi le divennero lucidi e rossastri.
Che fosse l'unico modo? Probabilmente no, ma non ne conosceva altri.
Il solo sentire quella sottile lama argentea scorrerle sulla pelle le creava dipendenza.

"Farà male solo per poco" , si ripeteva.

Qualche secondo e tutto sarebbe tornato come prima.
Il senso di colpa, la rabbia, l'odio che provava per il suo stupido corpo, sarebbero tornati ma per un istante sarebbe stato come se non fossero mai esistiti ed era questo ciò di cui aveva bisogno.

Aveva iniziato il giorno in cui ogni stabilità nella sua vita era crollata a pezzi, per quanto "stabilità" non fosse minimamente la parola adatta.

Era più un abitudine a cui, in tutta la sua nocività, aveva permesso di costruire la sua vita intorno.
Un giorno quelle mura però, quel castello così apparentemente perfetto crollarono, lasciando un interminabile ammasso di mattoni dispersi in ogni angolo della sua mente.

Il momento in cui Blake Moore aveva varcato quella soglia, la notte in cui lei rimase sola sotto la pioggia, le settimane seguenti in cui il senso di colpa aveva cominciato a farsi strada nel suo cervello, ogni singola cosa l'aveva segnata.
Era come macchiata, imbrattata di sangue sempre in espansione che lasciato scorrere su quel così bianco tessuto restava indelebile.

Si voltò lasciando che quelle braccia le accarezzassero lo stomaco, la pelle, stringendo quel quasi inconsistente, eppure per lei così tanto evidente, eccesso.

"Grassa"
"Fai schifo"
"Guardati le spalle"
"Guardati lo stomaco"
"Guardati le gambe"

Se lo ripeteva, costantemente, giorno dopo giorno.
Non sapeva bene se a sussurarglielo fosse lei stessa o quella voce che come un virus si era infiltrata in ogni centimetro del suo essere, sapeva solo che il semplice dare un morso ad un pezzo di pane era più doloroso della fame stessa.

Era consapevole che quel morso si sarebbe moltiplicato fino a che non ci sarebbe stato più spazio.
Smettere era impossibile, iniziare era impossibile.
Nessuna via di mezzo.

O bianco o nero.
Niente sfumature.

Avrebbe voluto cambiare, scappare, scomparire.
Voleva essere libera da se stessa ma era terrorizzata che non sarebbe mai stata in grado di esserlo.

Si ritrovava seduta sul tetto di quel palazzo sul quale saliva la notte per riflettere.
Fissava il vuoto, quell'infinità buia e che la faceva sentire così piccola ed insignificante.
Faceva cadere lo sguardo sui piedi penzolanti e li immaginava cadere, portandosi dietro il suo intero corpo, giù, fino al marciapiede.
Lo pensava senza però fare mai nulla per avverarlo.
Qualcosa in lei la bloccava ma non capiva cosa.

Cosa la tratteneva?

Si chiedeva senza trovare alcuna risposta.
Allora si allontanava dal cornicione e come uno zombie poi, scendeva dalla scaletta antincendio e ritornava a casa, dove entrava da quella grande finestra di legno bianco.
Si sporgeva da essa, accendendo una sigaretta.

Il fumo, così amaro e così dolce, così tossico e così necessario, le circondava il volto.
Creava una piccola nuvola grigiastra nella notte, imprimendosi in essa, salendo fino alle stelle che lei guardava con quegli occhi persi, che sembrano trovare riparo in quelle piccole palle di luce così distanti.

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You can trust me || Eddie MunsonWhere stories live. Discover now