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La matita si alza e si abbassa, va a destra e a sinistra, intenta a scarabocchiare qualche linea distratta per combattere la noia.

La osservo, assorta, mentre la mia mano continua a comandarla, anche se pare quasi abbia preso vita propria, come se non avesse più bisogno di una mano che la sorregga.

Il mal di testa non mi è ancora passato, anzi, sembra quasi ci sia un martello pneumatico che continua a scavare il mio cranio.

Vorrei alzarmi, chiedere al professore di matematica il permesso di andare in bagno, ma so che attirerei l'attenzione di tutti i miei compagni, e il semplice pensiero di dovermi fare largo tra i banchi e passare davanti a tutti per raggiungere la porta, mi fa venire la pelle d'oca, oltre che a un senso di nausea perenne.

Stack. La punta di grafite della matita si spezza con un suono secco, mentre sbuffo lievemente.

Cerco distrattamente il temperino nel mio astuccio, quando la voce ruvida del professore richiama la mia attenzione.

«Allen, tu sapresti commentare ciò che ho appena detto?».

Buio. Panico. Il cuore inizia a battermi forte in petto, crudelmente, senza lasciarmi il tempo di respirare. Le mie gambe tremano, le mie mani anche.

Non so rispondere, non ho ascoltato nulla.

Inizio a imprecare dentro di me, soffocando le lacrime di panico che si stanno raccogliendo sotto ai miei occhi.

«Allora?». Il professore sta diventando impaziente, il suo volto è scuro, credo si stia arrabbiando.

Sento il panico salire di più, le gambe aumentare sempre di più il loro incessante tremolio. Il silenzio nella classe inizia a torturarmi, così come i volti dei miei compagni chinati sugli appunti.

Mi arrendo, non posso fare nulla, neanche una divinità potrebbe aiutarmi in una situazione del genere.

Apro la bocca e faccio per parlare. Sulle prime le parole mi muoiono in gola, ma alla fine, con tanto impegno, riesco a emettere un debole filo di voce.

«Mi scusi, professore, non ho capito la domanda».

Il prof corruga la fronte e incrocia le braccia al petto, chiaramente infastidito.

Punto i miei occhi sul banco e cerco di stringere il mio ventre dolorante, che mi sta dando quasi la sensazione di dover esplodere da un momento all'altro.

«Non hai capito la domanda oppure non hai ascoltato?».

Fantastico, l'ha fatto apposta. Ha capito che non ero attenta e ha tentato di umiliarmi davanti a tutti, peggio di così non poteva andare.

Con la coda dell'occhio sbircio alcuni miei compagni, sui loro volti non è impresso nulla, ma mi pare quasi che stiano leggermente sorridendo.

È ovvio: si stanno prendendo gioco di me, staranno ridendo come matti. Appena sarà finita l'ora non faranno che parlare di questo e ridere. Ridere di me...

«Quindi, Allen?» borbotta il prof.

Cerco di sciogliere l'enorme nodo in gola e conficco le unghie nei palmi delle mani.

«E-ero distratta, mi scusi».

Il mio tono di voce è talmente tanto basso che neanche il fantastico udito di Superman riuscirebbe minimamente a percepirlo.

Il professore scrolla le spalle, fortunatamente ha sentito ciò che ho detto, non credo sarei riuscita a ripeterlo una seconda volta.

«Vedi di stare attenta la prossima volta, o ti faccio venire in prima fila».

La Fantasma ~E l'articolo NON é sbagliato~Where stories live. Discover now