Quattordici

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Seduta a gambe incrociate sul letto di Charlie, aspetto che lui torni da me. Dopo essermi congedata con Amanda, sono salita a testa bassa al piano superiore con Charlie, ma lui è sceso subito dopo per non so quale motivo. O almeno, potrei arrivarci tranquillamente al motivo... Tuttavia non ho voglia di farmi troppe ansie mentali, andrebbero solamente a peggiorare l'immenso peso sulle spalle che mi sto portando.

Non riesco a stare minimamente ferma, le mie mani tremano, il mio busto ciondola in avanti e indietro e i miei occhi continuano a seguire il perimetro della stanza, quasi fossero in cerca di qualcosa di prezioso e indispensabile.

Quanto vorrei gettarmi fuori dalla finestra, oppure sprofondare nella terra fino a diventare cibo per vermi. Tutta questa attesa mi sta uccidendo, sto iniziando a fare assurdi pensieri masochisti sul "come annientare questo fottuto senso di colpa che mi cresce dall'interno".

La porta si apre e con uno scatto, cerco di ricompormi come meglio posso. Assumo un'espressione meno ansiosa e mi sforzo di smettere di far tremare le mani. Tengo lo sguardo basso, dapprima puntato sul pavimento, poi lo sposto leggermente sui piedi scalzi di Charlie, tanto per curare i suoi movimenti senza doverlo guardare per forza in faccia.

Sento il suo sguardo su di me, simile al mirino di uno hitman pronto a farmi fuori. Non riesco a comprendere, però, il suo stato d'animo, per farlo dovrei guardarlo direttamente in faccia, ma riprendo a tremare al solo pensiero di farlo. Decido di lasciare perdere e rimanere con un dubbio innocente.

Charlie si avvicina, il suo passo è a malapena udibile e completamente differente dal mio, simile a quello di un mammut che indossa delle scarpe di piombo.

Si siede accanto a me e il suo peso fa inclinare leggermente il materasso verso di lui, facendomi così ritrovare attaccata alla sua spalla. Questo contatto non mi dispiacerebbe poi così tanto, se solo non avessi un orribile senso di colpa che mi sta divorando completamente. Vorrei staccarmi da lui, stargli lontano di qualche centimetro per rispettare i nostri spazi, ma se lo facessi mi sentirei solamente il triplo più in colpa: e se ci rimanesse male?

Il silenzio è pesante quanto un'ancora e ci avvolge entrambi, comprimendo i nostri animi trasandati e confusi.

«Credevo che non ti avrei più rivisto...». Le sue parole sono dure, il tono di voce abbattuto e malinconico, ma non trama rabbia, pare quasi essere calmo, e il che mi dona subito un lieve sollievo: forse non verrò insultata.

Sospiro. «Ho pensato la stessa identica cosa...».

Ancora silenzio, stavolta interrotto lievemente dal dolce cinguettio di alcuni uccellini invernali. Mi perdo in mille pensieri in poco tempo. La maggior parte di questi sono possibili frasi da poter utilizzare per rompere il ghiaccio definitivamente e arrivare al sodo, ma tutti sono davvero discorsi vergognosi, perché ammettiamolo, dire: "Alla fine mio fratello ti ha sfondato il naso oppure te l'ha fatto solo sanguinare?" è sicuramente una delle frasi più idiote di tutti i tempi, oltre che a essere un vero e proprio modo per determinare il fallimento assoluto della mia missione "metti a posto le cose con Charlie".

Decido di andare sul semplice e al contempo al sodo, cercando di mantenere la calma, ma ciò che mi esce dalla bocca è solo un'ammasso di parole accatastate l'una sull'altra, perdipiù pronunciate in modo non veloce, di più.

«Scusa-Charlie-non-so-cos'è-successo-quel-giorno. Mi-sono-così-spaventata-ed-ero-confusa. Mi-sono-messa-a-piangere-tantissimo-non-sai-quanto-ero-preoccupata. Ho-solamente-sperato-che-tu-stessi-bene... E... E...» annaspo, in cerca di aria per continuare, ma Charlie mi ferma prendendomi per le spalle e stringendole lievemente per non farmi male

«Zilla, sta' calma, ti prego, così rischi di esplodere».

Alzo gli occhi lucidi su di lui, scoprendo che mi sta guardando con aria molto preoccupata, forse ancor più preoccupata di quando eravamo in ospedale.

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