Due

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Fisso lo stramaladetto orologio da parete appeso al muro della classe. Cinque minuti, trecento fottutissimi secondi separano lo squillo della campanella di fine lezioni. Insomma sono cinque minuti! Perché diavolo sembra un'eternità allora?! Sbuffo e continuo a fissare l'orologio. Il professore di matematica finisce la sua soporifera lezione sulle equazioni di secondo grado, mentre ordina agli alunni di prendere i diari per scrivere la "peste" alla "Renzo e Lucia" che ogni studente deve subirsi: i compiti. Mai una volta che il professore si dimentichi di darli, infame. Sto cazzone ci ha messo più di quattro mesi a ricordarsi il mio nome, mi chiamava Zoe, Zara, Zaira, una volta addirittura Sonia. Perché la sua stupida memoria non può funzionare così male anche sul fatto di ricordarsi di assegnare i compiti o meno? Io odio il destino.

Il cazzone ci assegna una palata di esercizi da fare, poi ci saluta:

«Buon weekend ragazzi».

Buon weekend un par de minchia, come minimo rimarrò a fare matematica per quattro ore intere, in cerca di capire cosa non vada in quella fottutissima materia inventata dai Sumeri. Maledetti stronzi! Non avevate nulla di meglio da fare anziché inventare questa roba? Siete spregevoli, meno male che vi siete estinti.

Finalmente la campanella suona e il mio cuore rimbomba di gioia e sollievo. Mi sento come un atleta che, dopo una lunga corsa, ha tagliato il traguardo aggiudicandosi la medaglia d'oro. Cerco di nascondere il mio sorriso vittorioso mentre metto via con assoluta calma i libri nella cartella. Non ho fretta, per una scopofobica come me non esiste la premura di buttarsi fuori dall'aula e unirsi alla calca di persone che si dirige verso il cancello. Che senso ha poi? Buttarsi sopra alla gente pur di raggiungere l'uscita il più fretta possibile? Quando invece puoi tranquillamente raggiungerla in modo normale? Come una persona dignitosamente a posto di testa?

Finisco di preparare la cartella e posiziono le mie amate cuffie sopra la mia testa. Mi alzo e con tranquillità mi dirigo verso i corridoi ormai deserti della scuola. Non vola una mosca, tutto è tranquillo e silenzioso. Se solo la scuola potesse essere così sempre... Ci andrei ogni giorno con un sorriso stampato in volto, anziché con la faccia di chi si è appena buscata un calcio rotante sulle gengive. E invece no! Sono destinata a sorbirmi urla da parte degli scimmioni di quinta, risatine idiote da parte di quelle di terza, primini che starnutiscono neanche fosse arrivata la stagione delle allergie, bidelle che giocano a Candy Crush con un volume tale da sentirsi fino in Alaska, professori che smanettano su quegli aggeggi infernali denominati come laptop e, cosa più orribile di tutte: il professore di ginnastica che mi urla da dietro di correre di più, un altro che dovrebbe estinguersi come i Sumeri.

***

Finito il pranzo mi getto sul letto e affondo la faccia nei cuscini. La mamma ha appena cambiato le federe, adesso profumano di lavanda.

Ping. Alzo svogliatamente la testa dai cuscini per acciuffare il mio telefono, lasciato ad ammuffire sul comodino accanto al letto. Lo accendo, ed ecco che compare il faccino di L di Death Note come sfondo. Se proprio dovessi paragonarmi a qualche personaggio di serie televisive oppure di anime, sceglierei assolutamente L: mangia dal mattino alla sera, si siede in modo strano, vive isolato dal mondo, combatte quell'idiota di Kira con fare svogliato, ha la faccia di uno che vorrebbe buttarsi dal quinto piano di un palazzo all'istante, ha delle occhiaie enormi ed è pallido, come se non avesse mai preso del sole in vita sua... Insomma, sono io.

Alzo lo sguardo sulla barretta bianca e leggo "Whatsapp, 78 Messaggi". Il cuore mi si stringe in una morsa, la sudorazione aumenta. Solo una causa può provocare così tanti messaggi in poco tempo... IL GRUPPO DI CLASSE. Tan tan taaan! E infatti ecco spuntare nuovi messaggi da ogni dove, da settantotto sono arrivati a novantasei. Oh un attimo! Ora sono centoquattro.

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