«Quanto hai preso?».

Bene, ora ho finalmente compreso che Margot non ha una vita, dato che è così interessata a ficcare il naso negli affari degli altri. Il motivo per cui lo fa è semplice: paragonarsi a me, mostrarmi che è migliore, perché io so, benissimo anche, che lei ha preso un voto "migliore" del mio, e ora non sta facendo che aspettare il momento per sventolarmelo in faccia vittoriosa, sperando che io ci rosichi. Ma ciò non succederà mai, considerando che non me ne frega niente di lei e della sua vita insulsa, attaccata solo ai voti e alla scuola.

Decido di far finire in fretta quel teatrino ridicolo, rivelandole non solo il mio voto, ma ponendole anche la domanda che vuole sentirsi dire.

«Otto e tu?».

Quasi riesco ad avvertire la sua gioia, mentre mi siedo al banco e prendo i libri dalla mia cartella per la prossima lezione.

«Dieci. L'ho trovata una verifica piuttosto semplice».

Ora, oltre che alla voglia di lanciarla fuori dalla finestra, vorrei prima tirarle una testata sul naso talmente tanto forte da tramortirla.

«Anche io l'ho trovata semplice» rispondo, tanto per dire qualcosa e scacciarla.

Per non si sa quale razza di miracolo divino, Margot finalmente se ne va. Tiro un sospiro di sollievo e mi accascio sulla sedia, esasperata e stanca. I miei occhi osservano il paesaggio dalla grossa finestra accanto al mio posto. Amo stare qui, accanto alla finestra, mi permette di estraniarmi dal mondo circostante, dalle preoccupazioni, dalle lezioni soporifere, dai compagni di classe noiosi, dai voti, dalle regole, dalla società.

***

Ha smesso di nevicare, ma ho da poco controllato il telefono e le previsioni del tempo dicono che presto riprenderà.

Nonostante sia uscita come una degli ultimi di tutto l'istituto, Eddie non si vede ancora. Si sarà sicuramente perso a parlare con qualche insegnante oppure starà friendzonando qualcuna, magari la tizia artefice di quel biglietto cretino.

Sento qualcuno che mi chiama, è una voce femminile, quindi non può essere Eddie. Stacco gli occhi dal telefono e mi guardo intorno per capire chi ha parlato. Vedo Penny in piedi a pochi passi da me, che si sbraccia per salutarmi. Penny è una mia amica di infanzia, se è così che la posso definire. Non ho mai avuto veri amici in tutta la mia vita, quindi non saprei se definirla come tale oppure no. Abbiamo fatto le elementari e le medie insieme, lei mi parlava, io le parlavo, ogni tanto uscivamo insieme, nulla di più, nulla di meno. Allora, quando conobbi Penny, non soffrivo di scopofobia, iniziai a soffrirne in terza media e in prima liceo scoprii cos'era quella brutta sensazione che provavo quando guardavo negli occhi qualcuno.

Ora Penny va in un'altra sezione rispetto alla mia e abbiamo un po' perso i contatti, anche se devo ammettere che la mia scopofobia non ha aiutato molto.

La saluto con un cenno della mano, ma non mi avvicino. Dopo pochi secondi è lei che si avvicina a me.

«E' da un po' che non ci si vede!» esclama, piantandosi davanti a me.

Sorrido timidamente, mentre scruto il suo mento.

«Già, come va la vita?»

«Abbastanza bene, non desidero di meglio».

«Buon per te che ti accontenti».

Mi vergogno subito di quella frase, mi è salita dal profondo e non sono riuscita a fermarla in tempo. Per fortuna Penny non la considera più di tanto e non fa domande.

«Come mai non ti vedo in cortile o nei corridoi? Non c'è mai una volta che ti becco per fare quattro chiacchiere».

Grazie al cactus, non metto mai il naso fuori dalla classe, salvo per le emergenze pipì.

«Non lo so... Neanche io ti vedo».

Sono davvero pessima a nascondere la verità.

«Allora dobbiamo senz'altro trovarci qualche volta, magari dopo scuola andiamo da Mary a scofanarci un chilo di gelato, come una volta, ricordi?»

«E come dimenticarselo...».

Penny fa per aprire nuovamente la bocca, ma viene interrotta dall'arrivo di Eddie.

«Scusa Zilly, mi ero perso un attimo, siamo ancora in tempo per l'autobus?» dice, appoggiando una mano sopra la mia spalla.

Si accorge dopo di Penny e appena la riconosce la saluta con un sorriso gentile stampato sulle labbra, uno di quei sorrisi in grado di sciogliere il cervello di una qualsiasi ragazza dell'istituto. Non a caso Penny sembra essersi di colpo rincitrullita.

«Io dovrei andare, se faccio tardi mia madre si incazza. A presto Zilla» dice lei ad un certo punto, riscuotendomi dall'abisso di pensieri in cui mi ero cacciata in pochi secondi.

«Ci si vede...» rispondo, con voce debole.

Non sono sicura che mi abbia sentita, non si è più voltata a guardarmi, ma meglio così. Faccio spallucce, guardo Eddie, che a sua volta mi studia con espressione strana.

«Che c'è?» sbotto divertita

«Nulla, ti guardavo, non posso guardarti?».

Scuoto la testa.

«Dai muoviamoci o perderemo il bus, se mamma scopre che l'abbiamo perso e ci siamo dovuti fare la strada sui ghiacciai dell'Alaska, ci cozza insieme. E sappi che presto mi vendicherò contro di te per avermi fatto attendere una vita, facendoti sculettare sul marciapiede come una majorette, sotto gli occhi di tutti».

Eddie si finge spaventato:

«No! Le majorette no!».

Scoppiamo a ridere entrambi e ci avviamo verso l'autobus che, per fortuna, non è ancora partito.

A casa abbandoniamo le cartelle davanti alla porta d'ingresso e andiamo in cucina, stremati dalla fame e desiderosi di mangiare di tutto e di più. I nostri genitori sono andati entrambi al lavoro, mamma ci ha lasciato due confezioni di lasagne preconfezionate in frigo. Ci scaldiamo quelle e le divoriamo in poco tempo.

Alla fine ci dividiamo, Eddie va a ripassare per una verifica del giorno seguente e io mi butto sul letto, assonnata e priva di voglia di vivere.

Accendo il computer e guardo qualche puntata di una serie televisiva che sto seguendo. Ma dopo un po' mi stufo e chiudo il portatile. Frugo sotto al mio letto e finalmente riesco a raggiungerlo: il mio diario. Lo prendo, lo apro e inizio a scrivere.

17 Novembre

Ormai ho perso il conto delle lamentele che sto facendo qui sopra, ma oggi ho bisogno di scriverne un'altra.

Perché le persone si devono paragonare sempre agli altri? Perché la società impone degli standard che tutti devono seguire? E specialmente: perchè, non appena usciamo un attimo dai binari, siamo visti e rivisti come pazzi dementi da rinchiudere?

Trovo tutto questo assurdo, imbarazzante. Ma purtroppo, dopo tanto tempo, mi sono accorta che anche io faccio parte di questi standard, e non posso uscirne.

La Fantasma ~E l'articolo NON é sbagliato~Where stories live. Discover now