Capitolo 29.

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Mi sentivo stanca e annoiata, la giornata a lavoro si stava concludendo in questo modo, con la testa sovrappensiero e gli hamburger surgelati che stavo rimettendo dentro la cella frigorifera dove qualche tempo fa io e Barley eravamo rimasti bloccati.

Non ci eravamo rivolti la parola per tutta la giornata, e a me andava assolutamente bene così.
Era stato strano da una parte, perché era come se ormai mi fossi abituata al suo modo di fare sfacciato o ai nostri battibecchi, ma dall'altra un sollievo perché per come ero messa non avevo le forze di litigare anche con lui per stupidaggini.

La mia testa non faceva altro che pensare a Gerald, al fatto che potesse avermi mentito un'altra volta e che si stesse prendendo gioco di me, sentivo una sensazione angosciante addosso e l'idea che potesse essere tutto vero e non dentro alla mia testa mi faceva sentire male, mi faceva sentire una cretina.

Non ero riuscita a rispondere ai suoi messaggi e alle sue chiamate, era da giorni che lo stavo ignorando, e lui non sapeva nemmeno il motivo.

Non sarei mai riuscita a nascondergli i miei dubbi e come mi sentivo, anche perché lui mi conosceva fin troppo bene per capire se qualcosa non andasse.
E non avrei potuto farglielo capire, non dovevo, o altrimenti sarebbe riuscito a raggirarmi, io che ancora palpitavo per lui, che ancora non riuscivo a smettere di amarlo nonostante mi avesse tradita, che ancora non riuscivo a lasciarlo andare soltanto perché eravamo cresciuti assieme e avevamo attraversato tutto assieme.

Soltanto perché mi aveva fatta sentire importante per metà della mia vita, solo perché era stato l'unico a darmi l'amore che nessuno mi aveva mai dato.

E quell'amore mi era stato sottratto da un momento all'altro, mi era stato tolto e distrutto nel momento in cui avevo più bisogno di lui, l'unica persona di cui mi sarei mai potuta fidare, l'unica in cui credevo, l'unica che pensavo che non mi avrebbe mai colpita alle spalle.

Come potevo andare avanti e lasciarlo andare, quando una parte di me sapeva che cosa soltanto lui aveva fatto per me, sapeva quanto mi aveva amata e come diceva di fare tutt'ora.
Ma come potevo non tenere conto della sensazione che in questi giorni mi stava martoriando dentro, la stessa che avevo provato quando lo avevo visto con la mia coinquilina.

<< Scusa >> borbottai, quando mi resi conto di essermi scontrata con qualcuno.

Alzai lo sguardo e vidi Barley sulla soglia della porta degli armadietti, che mi guardò confuso, forse per il mio modo di fare strano, diverso dagli altri giorni.

Avevamo lavorato in silenzio, quasi mi pareva di non ricordarmi più la sua voce.

<< Non ti preoccupare Marrow >> mi disse lui con un tono totalmente diverso dalle altre volte, come se avesse percepito che non fosse giornata.

E sembrava non esserlo per entrambi.

Mi sorpassò senza aggiungere altro ed io entrai per cambiarmi velocemente e ritornarmene a casa.
Una volta uscita da quella stanza, guardai Barley dietro la cassa contare i soldi e quasi provai imbarazzo nel doverlo salutare.

<< Io vado >> pronunciai, mentre lui alzò lo sguardo come se mi avesse notata solo in quel momento.

<< Ci vediamo >> mi fece un cenno, ritornando a fare le sue cose.

Uscii dal FastFood e mi avvicinai alla mia bicicletta, parcheggiata poco più in là.
Fu in quel momento che una mano mi toccò il fianco e feci un salto improvviso spaventata.
Mi voltai con la mano appoggiata sul cuore e quando riconobbi Gerald feci un sospiro di sollievo rendendomi conto non fosse un malintenzionato.

<< Sei pazzo Gerarld? >> squittí io, quando riuscii a calmarmi per un secondo << Da quando si saluta così? >> gli chiesi senza aspettarmi una vera e propria risposta.

Poco più di uno scherzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora