13.1 Ile-et-Vilaine

Începe de la început
                                    

«Vattene!» Dal rumore che fece la porta, Arthur dedusse che Elara si fosse schiacciata contro di essa, quasi a volerla sbarrare col suo stesso corpo. «Non vogliamo parlare con te.»

«Elara, ti supplico!» Arthur sbatté il palmo sul legno. «Vai a chiamare tuo padre: lui mi conosce.»

Deimos Noyer era l'unica speranza di Arthur. Conservava un bel ricordo di lui da quando aveva preso in carico sua madre. Di tanto in tanto, nel singolo mese che aveva trascorso con loro, portava delle caramelle per Miranda. Lei le accettava sempre ma puntualmente le abbandonava sul bancone della cucina, senza neppure guardarle; Arthur di nascosto se le mangiava tutte.

Chandra aveva sempre detto che suo padre era il familiare più caro che avesse, l'unico che riuscisse a capirla fino in fondo. Dunque, se c'era qualcuno che poteva dare ad Arthur una traccia minima su dove fosse scappata, un misero indizio a cui aggrapparsi, quello era Deimos Noyer.

Tuttavia, anziché essere cacciato di nuovo o udire la voce dell'uomo che gli interessava, Arthur venne raggelato da una domanda spezzata dal pianto: «Elara, chi è?»

L'unico flebile suono che si udì dall'altro lato fu un cognome: Leblanc.

Arthur inspirò con gli occhi chiusi e fece un passo indietro. Se dall'altro lato non ci fossero state due persone, avrebbe tirato un pugno alla porta.

Lucine Noyer era la persona peggiore che potesse accoglierlo, una muraglia di donna contro cui non avrebbe mai voluto scontrarsi. Adesso era certo che Arthur non avrebbe potuto parlare con nessuno, che se c'era una minima speranza di capire dove fosse Chandra se l'era bruciata sul nascere.

Fece per voltarsi e andarsene, quando il cigolio della porta lo bloccò.

Lucine Noyer era sulla soglia, diversa da come Arthur se la ricordava. Sempre alta ed elegante, quasi fosse una nobildonna d'altri tempi, ma lo scintillio fiero nei suoi occhi neri era sparito. Al suo posto, una sclera arrossata dal pianto.

Lucine lo squadrò e si fermò, in particolare, sullo zaino che Arthur aveva in spalla. Lui strinse la tracolla destra, scaricando la tensione. Quella donna non rappresentava niente per lui, né una conoscente né tantomeno una suocera con cui dover fare bella figura – eppure si sentiva agitato in sua presenza.

E poi, contro ogni sua aspettativa, Lucine gli disse una parola: «Entra.»

Arthur non se lo fece ripetere due volte. Varcò la soglia di casa e seguì la donna fino alla cucina, mentre Elara richiudeva la porta e poi si accodava a loro.

Non era così che immaginava il suo ingresso in casa Noyer.

C'era un tavolino tondo e bianco al centro della stanza, molto più piccolo rispetto a quello in legno d'acero nel salone principale. Arthur poggiò lo zaino sul piede in plastica della sedia più vicina e prese posto.

«Vado a chiamare mio marito», comunicò Lucine, prima di sparire oltre la porta a scomparsa.

Arthur tamburellò con le dita sulle ginocchia. Era rimasto da solo con la sorellina di Chandra, quella che lei aveva descritto come una ragazzina esuberante ma che adesso lo stava fissando inferocita. Non sapeva bene come tirarsi fuori dall'imbarazzante silenzio, quali fossero le parole appropriate da usare e quelle che invece andavano assolutamente evitate.

Per quella che Arthur non seppe definire se fosse fortuna o sfortuna, la prima a esordire fra loro fu proprio Elara: «Che vuoi?»

«Aiutare tua sorella», si limitò Arthur.

Elara soffiò un ciuffetto rossiccio di capelli lontano dal viso, mal nascondendo il tremore che il solo nominare Chandra le aveva procurato. Arthur immaginava che avrebbe reagito in quel modo, ecco perché aveva preferito non citare la suddetta direttamente: avrebbe atteso che fossero i Noyer a farlo per primi, così da non rigirare il coltello nella piaga.

Come Acqua e FuocoUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum